Italia
Riportiamo di seguito l”intervento di Linda Lanzillotta, Direttore Dipartimento Innovazione e Sviluppo DL Margherita, ad apertura del convegno Innovare per competere in corso a Roma, oggi 3 Marzo 2005.
di Linda Lanzillotta
Un mese fa, a Torino, la Margherita ha indicato le linee e le idee forza che saranno alla base del contributo che intende dare alla elaborazione del programma con cui il Centrosinistra, nel 2006, tornerà a governare il Paese. Oggi, con questo Convegno, vogliamo cominciare a rendere più concrete quelle idee, a declinare con analisi e proposte una, se non la principale idea che guida la nostra visione del futuro: vale a dire l¿innovazione. L¿innovazione come chiave per tornare ad essere competitivi ma anche come condizione indispensabile per rendere effettivi i diritti di cittadinanza nell¿era della globalizzazione.
E¿ forse impietoso, e tuttavia indispensabile, ricordare la sequela dei dati che registrano un arretramento delle posizioni italiane in tutti gli indicatori significativi ai fini della misurazione della nostra capacità di competere sui mercati internazionali, della capacità di innovare il sistema produttivo e dei servizi, e il nostro downgrading in tutti gli indici che dovrebbero segnalare la capacità di reazione del sistema, che ci dovrebbero dire che si stanno costruendo le condizioni di contesto per fare ripartire l¿economia italiana: e invece liberalizzazioni al palo, livello di istruzione inadeguato, scarsa diffusione dell¿ICT nei processi organizzativi, bassi investimenti in ricerca, caduta dei brevetti, peggioramento delle performance della pubblica amministrazione.
Due dati per tutti: nella classifica della e readiness – ovvero l¿indice sintetico elaborato dall¿ONU per misurare la ¿prontezza¿ dei Paesi ad affrontare la società dell¿Informazione – l¿Italia risulta al 26° posto scendendo di ben sei posizioni in un solo anno. L¿indice di competitività dell¿OCSE vede l¿Italia, in meno di quattro anni, scendere dalle prime venti posizioni a ben oltre il quarantesimo posto nella classifica della competitività globale. Peccato che il Governo nel 2002 si era impegnato ¿ cito testualmente ¿ ¿a condurre il Paese in una posizione di leadership nella società dell¿informazione¿ (13 febbraio 2002: Prima riunione del Comitato dei ministri per la società dell¿informazione del Gov. Berlusconi).
Non vogliamo indulgere alla retorica del declino o all¿autocommiserazione ma guardare in faccia la realtà, senza alibi o falsi ottimismi; dire la verità ed affrontare la situazione quale essa è, perché ciascuno faccia la sua parte in modo serio e responsabile. L¿Italia è ormai in stagnazione: non se ne sono voluti vedere i sintomi che emergevano chiari già dalla fine del 2001 e si sono fatte politiche che partivano da un¿analisi sbagliata della crisi che si sarebbe manifestata con sempre maggiore nettezza nei tre anni successivi. E oggi, nonostante l¿evidenza dei fatti, il Governo continua pervicacemente a far finta di non capire: cosicché impiega mesi a mettere a punto alcune misure per la competitività ¿ peraltro parziali e insufficienti ¿ che avrebbe dovuto lanciare nei primi cento giorni di legislatura e che, invece, se tutto va bene, cominceranno ad avere effetto negli ultimi cento giorni. E che tutto andrà bene è lecito dubitare visto che il testo che circola è già un omnibus di 63 articoli che rischia di arrivare ad essere, alla fine dell¿iter parlamentare, un provvedimento mostre, come la legge finanziaria, un provvedimento senza un¿anima, senza una chiara indicazione di marcia.
Peraltro, per questa operazione si riescono a trovare sì e no 800 milioni di euro (risorse che in realtà non sono aggiuntive ma solo sostitutive di altre misure); nello stesso tempo però già oggi, alla vigilia delle elezioni regionali, si è in grado di annunciare un taglio fiscale di circa 13 miliardi di euro per il 2006, anno delle elezioni politiche. Il segnale è chiaro: le politiche per le imprese e per alleggerire le tasse sul lavoro sono secondarie; ciò che conta è l¿effetto (prima di tutto propagandistico) della riduzione delle imposte sul reddito delle persone fisiche. Per noi la gerarchia delle priorità sarà diversa perché siamo convinti che il primo problema per l¿Italia è quello di ricominciare a crescere, di rivitalizzare il sistema produttivo, di sviluppare i fattori fondamentali della competitività.
Dunque, è per guardare al futuro che vogliamo interrogarci, con i nostri ospiti, che ringraziamo di essere qui, su cosa voglia dire oggi, nell¿economia globale, per un Paese come l¿Italia, innovare per ritornare ad essere competitivi.
E¿ evidente che qualcosa si è inceppato nel nostro sistema produttivo: un sistema che è sempre stato caratterizzato da una forte capacità creativa, che anzi si è distinto nel mondo per la identità ben riconoscibile della sua produzione (il Made in Italy) e nel quale oggi si è diffusa una sorta di depressione, l¿impressione di non riuscire più a misurarsi con la dimensione globale, di non avere più chiara la propria missione nell¿economia mondiale. Eppure l¿Italia, nei secoli, ha vissuto fasi di profonde trasformazioni dovute alla introduzione di tecnologie nuove e ne è sempre uscita riaffermando la propria leadership; ma ciò è generalmente avvenuto con una riaffermazione di identità e di specificità legata al suo territorio e alla sua identità culturale.
Nel corso del Novecento ha vissuto mutamenti radicali e velocissimi; e ancora ciò è avvenuto negli anni Novanta dell¿ultimo secolo. E¿ impressionante pensare ai cambiamenti di struttura sociale ed economica che il nostro Paese ha affrontato con esito positivo per entrare nell¿euro, per flessibilizzare l¿occupazione, per ridisegnare e asciugare il settore pubblico e delle partecipazioni statali e come ha accolto la nuova era delle telecomunicazioni settore nel quale, grazie alla liberalizzazione del mercato, i consumi sono esplosi trainando una profonda innovazione di sistema. Per questo noi siamo convinti che, certo, bisogna fare in modo che anche la Cina che è entrata nel WTO rispetti le regole del commercio internazionale ed è giusto attrezzarsi a farlo; ma il nostro futuro non si costruisce competendo con la Cina sui costi della manodopera. Noi potremo rimettere in moto il Paese, ancora una volta, stimolando la sua creatività, la sua capacità di innovazione, la sua originalità, le sue energie. E questo potrà avvenire se, di nuovo, l¿Italia saprà coniugare innovazione, genio, qualità, estetica e capacità di leggere i bisogni della persona umana.
Tre sono le aree fondamentali in cui occorre accelerare l¿innovazione: il sistema delle imprese, i servizi al cittadino, il tessuto sociale e la sua cultura.
Sappiamo ormai quali sono i problemi delle nostre imprese: fare sistema con il mondo della ricerca, innovare i processi per aumentare la produttività. Un problema del tutto analogo si sta affrontando in Francia dove si è posto con forza il tema della perdita di competitività dell¿industria francese. Bene: in pochi mesi la Commissione Beffa ha presentato il suo rapporto al Presidente Chirac ed è stata messa punto una strategia in parte coincidente con quella già individuata dal Rapporto Blanc (gli ecosistemi della crescita). Individuare le missioni dell¿industria francese a partire dai suoi poli di eccellenza, focalizzare su quelle missioni le energie del sistema di ricerca pubblico e privato, lì concentrare gli investimenti, la formazione, l¿innovazione tecnologica, istituire un¿Agenzia nazionale per mettere in campo le risorse necessarie alla ricerca pubblica e per rilanciare i settori prescelti (a questo proposito sarebbe interessante sapere cosa stia facendo l¿Istituto Italiano di Tecnologia cui sono state assegnate le uniche risorse fresche destinate in questi anni alla ricerca e che avrebbe, in teoria, potuto svolgere un ruolo di volano in alcuni settori della ricerca avanzata).
Ovviamente la struttura del sistema produttivo italiano è assai diversa da quella del sistema francese e dei suoi campioni nazionali. Ma il metodo deve essere lo stesso: occorre scegliere, coinvolgere nella scelta tutti gli attori del contesto produttivo e concentrare risorse finanziarie ed umane su quelle scelte strategiche. Che anche per noi non potranno non partire da ciò in cui l¿Italia eccelle e definisce la propria identità: design, cultura, qualità ambientale, turismo, avamposto dell¿Europa nel Mediterraneo. E intorno a questi fattori di identità sviluppare tecnologia, ricerca, servizi avanzati, formazione. Con questo non si intende che l¿Italia debba abbandonare settori di punta in cui ha maturato know how e capacità competitiva ma significa che, probabilmente, questi settori devono essere sviluppati insieme ad altri partner europei, condividendo con questi la leadership, per la creazione di poli più ampi e in grado di misurarsi con player globali.
Ma occorre anche che si attivino tutti gli strumenti capaci di mettere in relazione il mondo della ricerca con le nostre imprese, anche quelle medie e piccole, e di stimolarle a investire in ricerca. In questo senso la Confindustria, con Pasquale Pistorio, ha indicato un¿agenda in gran parte condivisibile: incentivi fiscali, agevolazioni per i trasferimenti dalle imprese alle università per commesse di studio, contributi per acquisizione di nuove competenze, creazione di laboratori misti pubblico-privato, borse di studio, dottorati, training di impresa, progetti di ricerca; creazione, al servizio delle imprese, di una banca dati e di una rete informativa sulle attività delle università italiane. E infine un monitoraggio costante dell¿impatto degli interventi per valutarne o correggerne gli effetti. Purtroppo di tutto questo c¿è poco o nulla nelle misure per la competitività presentate alle parti sociali dal Governo e che, a quanto pare, subirà altri rinvii.
Ma le imprese devono anche innovare i processi di produzione con l¿introduzione massiccia delle tecnologie dell¿informazione. La realtà è oggi sconfortante: se è vero che il 70 % delle aziende ha una connessione a internet è altrettanto vero che questo dato crolla se si analizza il grado di diffusione delle tecnologie nelle piccole e medie imprese che, peraltro, rappresentano circa il 90 % del sistema produttivo italiano; e se si considera che, complessivamente, solo il 25 % della popolazione aziendale opera con un livello di integrazione elevato delle connessioni on line a livello B2B. A quanto pare i microincentivi a pioggia di Tremonti e di Stanca non hanno prodotto effetti significativi. Non basta infatti finanziare l¿acquisto di un computer; è necessario creare le condizioni di sistema che stimolino e creino convenienza ad utilizzare il computer: disponibilità di banda larga, formazione qualificata, standard certi, assistenza e tutoraggio per seguire e sostenere i processi di riorganizzazione connessi all¿uso delle tecnologie, monitoraggio continuo. Questo è ciò che ci impegniamo a realizzare.
I servizi al cittadino sono l¿altro settore in cui è urgente innovare: offrire ai cittadini e alle imprese servizi di qualità e, soprattutto, farli conoscere. L¿obiettivo che il governo si era prefissato per il 2005, cioè di fornire on line il 100 % degli 80 principali servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche era sin dall¿inizio una boutade e tale è rimasta. Perché non si è lavorato in modo appropriato né sul versante dell¿offerta ¿ le amministrazioni ¿ né su quello della domanda ¿ i cittadini.
Ciò che non si è capito è che non si tratta solo di costruire dei buoni portali ma di pensare a servizi che siano fruibili, semplici, vicini, accessibili da parte di tutti. Dunque il problema non è scrivere altro software ma legare lo sviluppo tecnologico allo sviluppo organizzativo. Il peccato originale di questo Governo è avere separato l¿innovazione dai processi: quello industriale e quello amministrativo. Come Marzano, due giorni dopo la costituzione del Governo, si è visto scippare da Gasparri il settore dell¿informatica, così l¿innovazione nella pubblica amministrazione è stata separata dalla funzione pubblica precludendosi così la possibilità (e la forza) di incidere sull¿organizzazione e sui processi. E basta leggere la bozza di codice delle amministrazioni digitali (per fortuna radicalmente corretto dal Consiglio di Stato) per comprendere come tutte e due ¿ innovazione e amministrazione ¿ siano tornate indietro di quattro anni.
E¿ necessario a questo punto, citando il mio amico De Brabant, una cura da cavallo, a partire dal profilo istituzionale. E bisognerà farlo già nelle amministrazioni regionali in cui il centro sinistra governerà (e noi pensiamo che saranno molte). Nelle Regioni occorre innanzi tutto integrare la ricerca con le politiche dell¿innovazione tecnologica e fare di questa competenza integrata la leva per orientare le altre politiche settoriali nei settori strategici dello sviluppo: sanità, trasporti, turismo, ambiente, macchina amministrativa. Altrettanto dovrà avvenire a livello nazionale dove, come abbiamo già proposto nel Libro Bianco, ci dovrà essere una forte regia politica a guidare i processi di innovazione.
Inoltre, anche qui, occorre, tutti insieme – Governo, sistema locale, imprese – definire priorità ed obiettivi, rinunciando alla casualità, all¿estemporaneità e all¿assenza di visione sistemica, per privilegiare invece un approccio concertato ma cogente sui traguardi. Diversamente il federalismo diventa un sistema non governato, fonte di inefficienza del sistema paese e di spreco di denaro: non possiamo permettercelo. Per tutti i livelli istituzionali dovranno valere alcuni principi base: investimenti e responsabilità risorse pubbliche solo a fronte di obiettivi misurabili. E a questo proposito, ci piacerebbe conoscere come sono stati spesi e cosa hanno prodotto gli 825 miliardi lasciati generosamente in eredità dal centrosinistra a Berlusconi e a Stanca per l¿eGovernment. Non ne abbiamo saputo più nulla.
Vivian Reding, Commissario europeo per la Società dell¿informazione ha illustrato la nuova Agenda di Lisbona che ha riformulato i suoi obiettivi sostituendo la desueta ¿e¿ di electronic la ¿i¿ di ¿inclusion¿. Non si tratta di un cambiamento di poco conto. Questo ci dice che non c¿è innovazione, non c¿è competitività e quindi sviluppo se la società non cresce tutta insieme.
L¿Europa si pone oggi l¿obiettivo di coniugare crescita , competitività e salvaguardia del modello sociale europeo; di tornare ad essere competitiva senza però perdere il senso delle proprie radici, della propria cultura, della propria storia, del proprio umanesimo. La prima condizione perché ciò avvenga è che non ci siano, nel futuro, barriere nell¿uso delle nuove tecnologie e, di conseguenza, non si creino barriere nell¿accesso alla conoscenza. Dobbiamo quindi ripensare criticamente, alla luce dei nuovi scenari, concetti che sembravano consolidati: il diritto d¿autore, la privacy, i modi di reperire le informazioni. La società del futuro ha bisogno di regole nuove che proteggano i diritti e al tempo stessa non escludano. Questa è la grande sfida dell¿Europa per la quale devono mobilitarsi non solo i singoli Stati ma la stessa Unione Europea con un¿azione di coordinamento, di stimolo, di finanziamento.. Gli obiettivi di Lisbona per il 2010 dovranno essere al primo posto perché è lì che si deciderà la vitalità o il declino non dell¿Italia ma del modello europeo. Occorre più concretezza e più incisività dell¿Europa su questi temi.
Ma c¿è anche un grande cambiamento culturale da fare perché la tecnologia rivoluziona il nostro modo di vivere, di lavorare, di emozionarci; anywhere, anytime non è più l¿eldorado prossimo venturo ma è il risultato della convergenza digitale che molti di noi già vivono quotidianamente. Ciò implica mutamenti sociali profondi che vanno capiti e governati e di cui i cittadini devono essere consapevoli. La politica ha talvolta difficoltà a misurarsi con questi cambiamenti. Sia per coglierne la forza in termini di sviluppo e di crescita, sia per vedere come essi generino un nuovo modo di comunicare e di esercitare la democrazia. Eppure, è da questi cambiamenti che dipendono le nostre possibilità di reinserirci nel meccanismo dello sviluppo globale ed anche la possibilità di dare nuova vitalità alle istituzioni.
Affrontare con decisione questi temi e metterli al centro dell¿agenda politica vuol dire guardare al futuro non tanto pensando a ciò che inevitabilmente accadrà ma progettando ciò che noi, con la nostra azione, stiamo per far accadere. Questo è il modo con cui vogliamo proseguire, nei prossimi mesi, il lavoro che abbiamo avviato.
Per ulteriori approfondimenti, leggi:
Innovare per competere. Margherita a convegno su innovazione, imprese ed eGovernment
© 2005 Key4biz.it