Gli utenti consacrano il successo della musica digitale, ma il modello di business resta poco redditizio

di Raffaella Natale |

Europa


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La strada da fare è ancora tanta, ma sembra sempre più vicino il momento che consacrerà il pieno successo del mercato della musica digitale.

Sono ormai tanti gli operatori che usano Internet come canale di vendita e i risultati sono già sorprendenti.

Le case discografiche si sono convinte che per sconfiggere la pirateria bisogna combattere sul suo stesso campo, vale a dire Internet, dov’è maggiore la diffusione di musica illegale.

Nel volgere di pochi anni, sono diventate tante le piattaforme legali che con pochi soldi consentono di scaricare musica originale, di ottima qualità, al riparo anche dalla possibilità di prendere dei virus durante l’operazione di downloading, come spesso succede sui siti di file-sharing.

 

Ma alcuni problemi rischiano di mettere in discussione il successo del mercato della musica digitale. Si tratta delle difficoltà legate a un modello di business, ritenuto poco adatto per questa nuova forma di distribuzione della musica.

Lo sottolinea Virgin Megastore, un anno dopo aver lanciato la seconda versione del proprio sito, Virgin Megastore.

Jean-Noël Reinhardt, presidente del direttorio di Virgin Megastore, ha evidenziato che il maggiore problema resta la ricerca di un modello di business stabile.

Paghiamo 0,16 euro di IVA, 0,70 ai produttori, 0,07 euro alla Sacem e 0,05 di spese di transazione‘, ha commentato Reinhardt, limitando la sua considerazione al mercato francese. Aggiungendo che per ogni brano venduto a 99 centesimi di euro, non resta che 1 centesimo di euro di margine operativo al commerciante, vale a dire un po’ più dell’1%.

Sul mercato tradizionale, sfioriamo una margine del 30%’, ha detto Reinhardt, annunciando che il gruppo ha avviato nuove trattative con i produttori per ottenere una riduzione di questi pagamenti.

 

La Fnac ha riconosciuto che si tratta di un modello poco redditizio, ma preferisce per adesso insistere sull’importanza di ritagliarsi un posto su questo mercato emergente.

Le case discografiche restano tuttavia reticenti di fronte alla possibilità di abbassare i prezzi.

Jérôme Roger, direttore generale dell’Unione dei produttori fonografici francesi indipendenti (Upfi), parla di margine è equivalente ‘tra mondo fisico e virtuale‘.

Una differenza c’è, però: nel commercio online, è il distributore che paga direttamente i diritti alla Sacem, mentre nel mercato classico sono a carico del produttore.

Roger ritiene invece che la riflessione deve riguardare il prezzo di vendita della singola traccia.

Nei fatti, il prezzo di 99 centesimi è uno standard imposto da Apple su scala mondiale, quando ha lanciato l’iTunes, che ha obbligato le piattaforme di musica ad allinearsi.

 

Inizialmente, VirginMega commercializzava i propri brani a 1,19 euro. Bisogna allora aumentare il prezzo?

 

La situazione sembra molto complicata, anche perché una delle ragioni che spiega il successo dei siti legali di musica è proprio la convenienza del prezzo. I giovani comprano spesso musica pirata perché ritengono i prezzi poco accessibili alle loro possibilità.

Non sarà facile trovare un punto d’accordo, questo è sicuro.

 

Intanto Virgin Megastore, che per fine anno prevede di aumentare la propria offerta dai 600.000 brani attualmente disponibili a 900.000, ha venduto 1,5 milioni di tracce in dieci mesi. Ma considerando gli investimenti necessari e il modello di business poco stabile, il gruppo prevede di raggiungere la redditività non prima del 2008.

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