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Ad appena una settimana dall’inizio del Summit sulla società dell’informazione si riaccende a mezzo stampa la guerra di parole sull’Internet governance, argomento che sarà al centro delle discussioni della seconda edizione del WSIS.
Le colonne dei maggiori quotidiani americani, il Wall Street Journal e il Washington Post, hanno infatti ospitato il botta e risposta tra il senatore repubblicano Norm Coleman e il Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan.
Il primo ha accusato le Nazioni Unite e i Paesi emergenti di costituire una “grave minaccia” per il futuro di Internet.
“Sembra una trama di Tom Clancy – ha scritto Coleman – un anonimo gruppo internazionale di tecnocrati tiene incontri segreti a Ginevra. La loro copertura: sviluppare un programma per aiutare i paesi emergenti a partecipare pienamente alla rivoluzione digitale. La loro vera missione: usurpare la governance di Internet agli Usa e politicizzare il World Wide Web”.
Troppo strano per essere vero? “Sfortunatamente è quello che l’ONU sta facendo”.
Coleman, da tempo molto critico nei confronti dell’ONU, chiama, dunque, le truppe a raccolta: “Dobbiamo difendere questo mezzo di comunicazione e informazione senza precedenti, che promuove la liberta e l’intraprendenza. Non possiamo permettere che le Nazioni Unite prendano il controllo di Internet”.
Ne ha anche per l’Unione europea, il senatore, secondo cui il punto più basso della vicenda si è raggiunto proprio con il “vergognoso sostegno della Ue a un piano assecondato dalla Cina, l’Iran, l’Arabia Saudita e Cuba” con l’intento di “mettere fine alla supervisione degli Usa su Internet, relegare ai margini le imprese private e le organizzazioni non-governative e piazzare un gruppo controllato dall’ONU a gestire le operazioni e il futuro di Internet”.
La posizione della Ue, ha aggiunto Coleman, “è stata definita un ‘colpo politico’ anche dal quotidiano londinese Guardian” che ha predetto che una volta che i governi avranno ottenuto il controllo di Internet, “agli Stati Uniti non resterà altro da fare che sottomettersi”.
Secondo Coleman, non esiste giustificazione razionale alla politicizzazione del Web sotto l’egida di un organismo Onu: lo stesso presidente del WSIS Internet Governance Subcommittee ha infatti ammesso che i meccanismi esistenti “hanno funzionato efficacemente per rendere Internet lo strumento robusto, dinamico e geograficamente differenziato che è oggi, con il settore privato alla guida delle operazioni giornaliere”.
“Non possiamo permettere che Tunisi diventi una Monaco digitale”, ha dichiarato poi Coleman, riferendosi all’accordo da Hitler con i rappresentanti di Gran Bretagna, Francia e Italia che consentì ai tedeschi di occupare il territorio cecoslovacco abitato dalla forte minoranza tedescofona dei Sudeti.
Coleman conclude che il governo americano non è solo a perseguire questo obiettivo: la maggior parte delle compagnie tlc europee si sono già opposte alla posizione Ue, considerandola un “dietrofront allarmante e senza precedenti”.
Kofi Annan, da canto suo, ha ribadito che il principale obbiettivo del WSIS è quello di “assicurare che i Paesi poveri ottengano i massimi benefici che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione – incluso Internet – possono portare allo sviluppo sociale ed economico”.
Sbaglia però chi pensa che l’Onu voglia ‘usurpare’, politicizzare o controllare Internet: “niente potrebbe essere più lontano dalla verità, le Nazioni Unite vogliono solo garantire la portata globale del Web”.
Internet, ha spiegato Annan, è diventato “agente di un cambiamento rivoluzionario nella sanità, nell’educazione, nel giornalismo, nella politica e in molti altri settori”.
E non è che l’inizio: il Web potrà aiutare in modo efficace le vittime dei disastri, gli abitanti delle aree remote del pianeta e le persone intrappolate in regimi autoritari, “fornendo aiuti più rapidi e meglio coordinati, preziose informazioni sanitarie, accesso a informazioni non censurate”.
Difendere Internet è, dunque, come difendere la libertà stessa: censurare il cyberspazio, compromettere le sue basi o sottometterlo al controllo dei governi, “vorrebbe dire voltare le spalle a uno dei maggiori strumenti di progresso”, ha aggiunto il Segretario Generale.
Internet, però, è anche utilizzato per fomentare il terrorismo, disseminare pornografia, incitare all’odio razziale, diffondere spam e trappole di ogni tipo. La gestione di queste materie è stata finora “dispersiva e frammentaria”, mentre la gestione dell’infrastruttura è stata affidata alla “collaborazione, informale ma efficace, tra azienda private, società civile e comunità accademiche”.
I Paesi emergenti, dunque, trovano “difficoltà a seguire questi processi e si sentono esclusi dalle strutture di gestione della Rete”.
Gli Stati Uniti, ha spiegato Annan, “…meritano il nostro grazie per aver sviluppato Internet e averlo reso disponibile a tutto il mondo. Per ragioni storiche, gli Usa hanno l’ultima parola su alcune risorse essenziale essenziali di Internet”.
Il bisogno di cambiamento – che implica la condivisione di questa autorità con la comunità internazionale – riflette le future evoluzioni del Web, che conoscerà una crescita impressionante nei Paesi emergenti. La Rete, infatti, è diventata così importante per l’economia e l’amministrazione nazionale “che sarebbe ingenuo credere che i governi non siano interessati, soprattutto da quando le applicazioni di servizio pubblico come l’educazione e le cure sanitarie si diffonderanno ulteriormente”.
“Quello che cerchiamo è l’inizio di un dialogo tra due diverse culture: la comunità non governativa e il più strutturato e formale mondo dei governi e delle organizzazioni intergovernative”.
I governi, in pratica, dovrebbero essere messi nella condizione di poter elaborare delle policy e di coordinarsi tra loro e con la comunità Internet, pur non potendo, da soli, stabilire delle regole.
“I Governi devono imparare a lavorare con gli stakeholder non-statali che, dopo tutto, sono quelli che hanno svolto un ruolo essenziale nella costruzione e nel coordinamento di Internet e rimarranno la forza trainante dell’ulteriore espansione e innovazione”.
Il Working Group on Internet Governance – creato nell’ambito del primo WSIS a Ginevra – ha proposto la creazione di “un nuovo spazio per il dialogo”, ossia un forum che riunisca “tutte le parti coinvolte per condividere informazioni e best practice e discutere delle questioni più difficili, ma senza potere decisionale”.
Per quanto riguarda la questione della supervisione, il Gruppo ha proposto diverse alternative, con vari livelli di coinvolgimento governativo.
“Nessuno dice che l’Onu ambisca a usurpare le funzioni dell’attuale organismo tecnico che gestisce attualmente Internet; nessuno propone di creare una nuova agenzia Onu e alcuni suggeriscono che l’Onu non debba avere proprio alcun ruolo. Tutti sono concordi che la gestione giornaliera debba restare appannaggio di un’istituzione tecnica, quanto meno per proteggerla dalla quotidianità della politica”.
Conclude Annan: “Tutti riconoscono il bisogno di una maggiore partecipazione internazionale nelle discussioni sulla governance di Internet, il disaccordo è su come raggiungerla. Lasciamo perciò da parte le paure sulle ‘mire’ dell’Onu e impegniamoci a Tunisi per colmare il digital divide e costruire una società dell’informazione aperta, che arricchisca e dia maggiore potere alle persone”.
Nel merito della questione, è entrato anche Lawrence Lessig, professore della scuola di legge di Stanford che da tempo si batte per la libertà di espressione su Internet e molto spesso ha criticato l’ICANN.
In un’intervista al magazine Foreign Policy, Lessig definisce la questione non un problema di “cyberlegge, ma di sospetto dell’Europa nei confronti degli Usa”. Non si tratta, dunque, soltanto di dissapori legati alla gestione di Internet, ma di una questione politica.
L’ICANN, per Lessig, ha finora svolto bene i suoi compiti e non bisogna essere filo-americani per sostenerlo.
“Sarei preoccupato – ha concluso Lessig – se l’autorità di gestione della rete venisse trasferita, poiché qualsiasi nuovo organismo subentrasse, esso immaginerebbe di poter usare il suo potere sui nomi di dominio per regolare ogni sorta di obiettivo politico. Staremmo tutti peggio se ciò accadesse”.
Il WSIS prenderà il via il 16 novembre. Speriamo che tutta questa bagarre sia lasciata alle colonne dei giornali e che, quando le discussioni inizieranno, esse convergano sui problemi reali dei Paesi emergenti e non finisca tutto, come sempre, in un mero festival della politica.
Per ulteriori approfondimenti, leggi:
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