Italia
L’Italia attraversa una delle crisi più difficili della sua storia recente. I dati sono noti e non è il caso di riproporre tutte le classifiche europee e internazionali che vedono il nostro Paese arrancare e perdere posizioni in termini di competitività, di capacità innovativa delle sue imprese, di attrattività di investimenti esteri. Un dato riassume tutti gli altri e fa giustizia degli ottimismi preelettorali che il nostro Governo sparge di questi tempi a piene mani: ed è il dato relativo all’andamento della produzione industriale.
L’Istat ci dice che dopo il calo generalizzato seguito alla crisi del 2000/2001, dalla metà del 2003 la produzione industriale risale in Francia, in Germania e in Spagna mentre continua drammaticamente il suo andamento discendente in Italia. E’ questo il dato che con maggiore evidenza e crudezza dimostra quanto sia infondata e infantilmente autoconsolatoria la lettura che Berlusconi e Tremonti hanno tentato di accreditare.
L’Italia non è solo parte della crisi che coinvolge tutta l’Europa e in particolare le economie più lente e dirigiste dell’Europa continentale; l’Italia non è come la Francia o la Germania e come loro prima o poi si riprenderà.
No, l’Italia ha problemi suoi, drammaticamente suoi che hanno, certo, radici lontane ma che in questi anni si sono enormemente aggravati perché non solo non sono stati affrontati ma, almeno fino a pochi mesi orsono, non sono stati neppure diagnosticati. E’ stato Tremonti, nella sua nuova veste di vicepremier e rinato ministro dell’economia, a riconoscere l’errore ammettendo di avere sbagliato la diagnosi e quindi la terapia di politica economica nel 2001; di avere cioè creduto che la crisi si potesse risolvere sostenendo la domanda con il taglio delle tasse senza capire che si era di fronte ad una grave crisi della struttura produttiva del Paese incapace di reggere la competizione in un mercato globalizzato e senza la protezione della svalutazione competitiva della lira che aveva permesso per decenni ai prodotti italiani di fronteggiare la concorrenza sui mercati esteri. Ma l’errore di Tremonti lo stiamo pagando caro, molto caro: in questi anni di crescita piatta le poche risorse disponibili le abbiamo buttate in inutili e iniqui tagli fiscali e abbiamo rinunciato a investire sulla competitività delle nostre imprese, sul sistema formativo, sulla ricerca. E nello stesso tempo una destra liberale a parole e statalista e corporativa nei fatti ha bloccato la liberalizzazione dei mercati – a cominciare da quelli dei servizi – ha abbandonato il processo di riforma e di semplificazione amministrativa, ha consentito che l’attuazione del Titolo V procedesse senza una regia, senza una visione d’insieme determinando sprechi, inefficienze, aumento del carico burocratico. E così mentre l’Europa ricomincia a crescere l’Italia no; l’Italia continua ad avere livelli di crescita sotto l’1 per cento e questo aggrava il divario, allontanandola dai suoi partner europei e facendola scivolare ormai non solo tra gli ultimi dell’Europa dei 15 ma nel drappello di coda anche dell’Europa a 25.
Ecco perché diciamo che non c’è più tempo da perdere: che è urgente, anzi urgentissimo invertire la tendenza in atto, immettere nel sistema un’iniezione di risorse, di iniziative, di progetti che scuotano il sistema Paese e rimettano in moto i meccanismi della crescita. Noi pensiamo che questa debba essere la missione del prossimo Governo se, come ci auguriamo e come – ad oggi – abbiamo motivo di ritenere sarà il Governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi ad avere la responsabilità, tra pochissimi mesi, di guidare l’Italia fuori dal tunnel della stagnazione. E a questa missione la Margherita intende dare oggi un contributo la cui caratteristica fondamentale è quella della concretezza.
Noi crediamo che l’Italia tornerà a crescere se saprà adeguare la sua struttura produttiva alle nuove caratteristiche dei mercati, se saprà immettere innovazione nei prodotti del made in Italy traghettando il sistema delle piccole e medie imprese, che sono la ricchezza della imprenditorialità italiana, nell’era della conoscenza, se saprà formare il capitale umano di cui la produzione di eccellenza ha bisogno, se saprà trasformare in prodotti vendibili sul mercato globale i suoi asset sicuramente non delocalizzabili: bellezza, arte, cultura, qualità; se saprà ottimizzare la propria posizione strategica nel Mediterraneo.
Si tratta di ridefinire la missione dell’Italia nell’economia globale, la sua vocazione, la sua specialità sapendo che la società della conoscenza è una eccezionale opportunità per un Paese che ha le tradizioni culturali che l’Italia possiede a patto che le tradizioni sappiano rigenerarsi attraverso l’innovazione tecnologica. Una politica di innovazione è indispensabile dunque per rinnovare la nostra struttura produttiva ma anche per realizzare tutte le condizioni di contesto che condizionano e determinano la capacità e la forza competitiva di un Paese. Per questo sarà la priorità strategica – del nuovo Governo. Nei primi cento giorni, cioè nel periodo in cui la luna di miele tra Governo, elettori e partiti che lo sostengono, consente di dare il via, superando di slancio le possibili resistenze, ad azioni che modifichino gli assetti costituiti, che introducano criteri innovativi nella allocazione delle risorse, nella selezione delle priorità, nella valutazione dei meriti. Perché l’innovazione politica è la precondizione delle politiche di innovazione.
In questa materia il Dipartimento innovazione e sviluppo insieme all’Osservatorio ICT ha svolto in questi anni un importante lavoro di elaborazione, di confronto con i protagonisti dei diversi settori, di coinvolgimento delle amministrazioni e dei territori. Questo grande lavoro ci ha consentito di maturare una visione del cambiamento di cui il Paese ha urgente bisogno, di selezionare alcune priorità, di identificare le azioni che sono in grado di dare corso a queste priorità. Abbiamo sintetizzato questa riflessione e questa proposta in un documento al quale abbiamo voluto dare un carattere di forte operatività perché esso possa costituire lo scheletro dei provvedimenti e delle azioni che a nostro avviso il nuovo Governo dovrebbe adottare o avviare per dare al Paese quella scossa di cui esso ha bisogno per invertire la tendenza al declino, per uscire dalla depressione, per ritornare ad avere fiducia nel futuro. E dovrà essere uno sforzo collettivo che dovrà coinvolgere le imprese, le amministrazioni, i cittadini perché l’innovazione è un processo che in tanto produce effetti in quanto ha carattere pervasivo. Oggi non ci interessa polemizzare con il Governo perchè riteniamo che il centrodestra abbia concluso il suo ciclo. Ci interessa però analizzarne gli errori per meglio orientare e focalizzare la nostra azione futura: da questo punto di vista non c’è dubbio che l’errore più grave commesso dal centro destra è quello di avere marginalizzato e mortificato le politiche per l’innovazione senza farne una leva per la modernizzazione del sistema Paese. A ben vedere la disillusione di coloro che avevano creduto in Berlusconi è proprio qui: l’uomo nuovo si è rivelato vecchio, incapace di capire la direzione del mondo, di cogliere il vento del cambiamento , incapace di catturarlo e farne la spinta propulsiva anche per l’Italia.
Il documento che oggi sottoponiamo alla discussione si fonda invece su questa idea: in primo luogo l’innovazione come politica di sistema, come visione d’insieme da cui si dipartono linee di intervento settoriale rimesse ad una pluralità di attori, pubblici e privati, ma tenute insieme , coordinate ed integrate da un sistema di governance allo stesso tempo unitario e plurale. In secondo luogo un’agenda delle azioni prioritarie da attivare nei primi cento giorni per potere sviluppare , con coerenza e consequenzialità, nel corso dell’intera legislatura una politica mirata capace di realizzare risultati significativi in termini di recupero di competitività, di produttività del sistema, di efficienza, di qualità della vita per i cittadini, di trasparenza e partecipazione democratica.
Con il Masterplan che oggi presentiamo vogliamo innanzi tutto proporre un metodo di lavoro che sappia tradurre le idee e i progetti in concrete azioni di governo. Un documento che rappresenta una traccia di quello che potrà essere il lavoro futuro; la base per un confronto con gli stakeholders che dovranno essere attivamente coinvolti nella sua messa a punto . Perché il Masterplan definitivo quello su cui in concreto si svilupperà l’azione del Governo in tanto sarà uno strumento forte e incisivo e non diventerà uno dei tanti documenti ministeriali (un nuovo PICO, per intenderci) in quanto diventerà un’agenda di lavoro condivisa e impegnativa per tutti: non solo per il Governo, ma per le aziende, per le istituzioni regionali e locali, per le università, per gli enti di ricerca, per i consumatori, per le associazioni. Se, in altre parole, diventerà la base di un patto per l’innovazione alla cui attuazione legare l’obiettivo affascinante di costruire nel nostro Paese la società della conoscenza.
Mi limiterò qui a citare alcuni punti chiave del progetto che il Masterplan cerca di sviluppare in dettaglio.
La governance. Non da oggi sottolineiamo la necessità da una parte di dare centralità, nell’assetto di governo, alle politiche dell’innovazione e, dall’altra, di ricomporre la frattura tra Funzione pubblica e innovazione nella pubblica amministrazione, una frattura che ha determinato, in questi cinque anni, il sostanziale stallo delle politiche di e governement, la loro debolezza, l’erosione delle risorse destinate all’informatizzazione della pubblica amministrazione centrale.
La nostra idea è che debba spettare ad una figura dotata di una forte legittimazione politico-istituzionale il ruolo di direzione strategica, di coordinamento, di monitoraggio e di valutazione delle politiche per l’innovazione integrando in tale figura (un viceministro o un ministro con delega su una serie di materie (reti, ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico, ICT) oggi frammentate tra una pluralità di dicasteri. Ma l’autorevolezza della figura istituzionale è indispensabile anche per svolgere un ruolo di direzione strategica e di coordinamento nei confronti del sistema delle autonomie territoriali che , pur nel pieno rispetto delle prerogative costituzionali, devono tuttavia essere chiamate alla responsabilità di operare entro un quadro di riferimento nazionale. Questo vale per l’interoperabilità dei sistemi informativi, per la diffusione delle best practices, per la valorizzazione delle eccellenze scientifiche presenti nei territori, per la diffusione dei servizi on line, per la lotta all’esclusione e al divario digitale.
Partecipazione, confronto, coordinamento. Questo è l’altro criterio di organizzazione che dovrà da una parte dare forza e sostanza alla impostazione e alla progettazione dell’azione di governo e dall’altra effettività ed efficacia alla sua implementazione: al Consiglio nazionale dell’innovazione, che coinvolgerà tutti gli esponenti del sistema dell’innovazione, spetterà quindi la progettazione strategica delle politiche mentre il Comitato strategico sarà la sede del coordinamento delle politiche pubbliche la cui attuazione dovrà essere unitariamente gestita da parte di un organismo operativo nel quale dovranno essere integrate e razionalizzate le competenze dei molteplici soggetti che oggi operano a vario titolo.
Proponiamo sei linee d’azione che dovranno costituire gli assi di una politica che nell’arco di cinque anni sia in grado di realizzare un vero salto di qualità.
Innanzi tutto le infrastrutture di rete: non c’è innovazione se non c’è accesso e connettività. Primo obiettivo quindi è l’estensione all’intero territorio della banda larga per consentire a tutte le famiglie, alle imprese, alle istituzioni di accedere ad internet veloce E’ inutile dare computer, offrire servizi se non si garantisce l’universalità dell’accesso in banda larga. Nell’era della conoscenza l’accesso alla rete globale è ormai parte essenziale dei diritti di cittadinanza perché il divario digitale genera nuove esclusioni, nuove fratture tra territori e ceti sociali. E’ necessario allora da un grande piano nazionale per le infrastrutture che parta da un rapporto di sinergia e cooperazione tra Stato centrale, regioni ed enti locali per ottimizzare le risorse mettendo a sistema i piani di sviluppo dei territori. Allo stesso tempo va portato a compimento il processo di liberalizzazione delle tlc ponendo maggiore attenzione alla distinzione tra rete e servizi.
Secondo punto. Una ripresa decisa della politica di e government. Si è perso molto tempo e il fallimento dell’azione del Governo è sotto gli occhi di tutti ed è simboleggiato dal disastro della carta di identità elettronica. Aldilà di ogni altra considerazione circa l’errore strategico commesso nel separare l’eGov dalla funzione pubblica, cioè l’innovazione tecnologica dall’organizzazione dei processi (davvero singolare che tale errore sia stato compiuto da un presidente imprenditore e da un Ministro manager che almeno di organizzazione se ne dovrebbero intendere !!), aldilà di questo, come si diceva, per fare sì che i servizi ai cittadini siano davvero forniti in rete sono essenziali due precondizioni: un sistema di identificazione certificato per tutti i cittadini e un sistema di pagamento universale ed affidabile. Nessuna di queste precondizioni è stata realizzata ed oggi, anche nei casi – sporadici e a macchia di leopardo – in cui i servizi sono offerti in rete l’offerta non si incontra con la domanda perché i cittadini non li utilizzano. Dunque : in primo luogo reingegnerizzare i processi, e poi carta di identità elettronica, sistemi di pagamento sicuri , identità digitale per tutti i cittadini con assegnazione a tutti di digital mailbox con cui la p.a. possa comunicare con tutti i cittadini.
Innovazione amministrativa come strumento di riorganizzazione, di trasparenza amministrativa , di efficienza nella gestione della spesa. In questa chiave la diffusione dell’innovazione tecnologica dovrà essere un traguardo decisivo anche ai fini delle politiche di risanamento finanziario e, dunque, essere assunto come parametro del patto interno di stabilità e di crescita
Ma l’innovazione deve essere anche la leva con cui attivare alcuni grandi progetti di modernizzazione e di sviluppo del Paese mobilitando su specifici obiettivi la creatività delle nostre imprese: sanità, giustizia, turismo, mezzogiorno sono i settori sui quali concentrare gli investimenti pubblici e stimolare la ricerca, pubblica e privata, perchè l’investimento in questi settori si trasformi anche in creazione nel nostro Paese di soluzioni innovative che caratterizzino, anche sui mercati internazionali, la nostra industria e l’industria multinazionale che opera nel nostro Paese.
Ma l’innovazione è anche la chiave per il recupero di competitività del nostro sistema produttivo. Negli ultimi dieci anni più del 50 % dell’aumento di produttività dell’industria statunitense è dipesa dalla diffusione dell’ICT. In Italia siamo a livelli drammatici. Qui come nella P.A c’è un problema di cultura innanzi tutto, di difficoltà delle piccole e medie imprese a rinnovare i loro modelli di produzione a innovare i loro prodotti. Ma non è solo questo . C’è innanzi tutto la difficoltà a trasformare in valore economico la nostra produzione intellettuale. E’ vero i sistemi territoriali non riescono a fare rete, a mettere in connessione impresa e ricerca; ma, ancor prima, è la ricerca che non trasforma in brevetti e in valore aggiunto il prodotto dell’ingegno. E’ su questi nodi che il masterplan indica una serie di azioni mirate volte alo stesso tempo alla diffusione della tecnologia nelle imprese, alla utilizzazione di criteri strettamente meritocratici nella assegnazione dei fondi di ricerca come nella attribuzione degli incarichi di direzione negli enti di ricerca, alla creazione di strutture dedicate a stimolare la produzione di brevetti da parte delle università e dei centri di ricerca e la produzione di spin off. Ma per incentivare la ricerca applicata occorre innanzi tutto sostenere i ricercatori: il problema non è tanto o solo che i nostri ricercatori vadano all’estero ma che i ricercatori di altri paesi non vengano da noi. Dobbiamo pareggiare il saldo di questa bilancia export/import dei ricercatori da una parte adeguando i loro salari alla media UE e dall’altra ripristinando i fondi destinati all’attività di ricerca falcidiati da questo Governo.
Altro capitolo è quello dello sviluppo dei contenuti digitali. Qui da una parte c’è da sviluppare una normativa contro la contraffazione, modificare le norme sul copyright e, al contempo, regolamentare la proprietà intellettuale sulla rete seguendo il modello dei Creative commons. Ma dobbiamo sapere che il nostro Paese può trovare una miniera nel mercato dei contenuti digitali con la diffusione in rete di contenuti artistici e culturali e grazie alla la valorizzazione del nostro patrimonio museale, archivistico e bibliotecario. E in questo il ruolo di traino del servizio pubblico radiotelevisivo deve essere fondamentale così come sta avvenendo in altri Paesi europei. Ma se questa prospettiva ha per noi carattere strategico e può rappresentare una fonte di crescita e di occupazione, allora l’Italia non può rimanere fuori dal progetto del motore di ricerca europeo lanciato dalla Francia. Il nostro Governo si è fatto scappare il treno e noi dobbiamo fare di tutto per riacchiapparlo.
Infine i giovani che nella rete possono trovare enormi opportunità di formazione, di relazione, di conoscenza , di lavoro e di impresa. La diffusione della ricerca, di attività d’impresa innovative, di utilizzo delle tecnologie possono moltiplicare queste opportunità e rendere concreta la riconversione del modello produttivo italiano nell’economia globale . Di contro sono i giovani i sono più aperti all’innovazione, i più capaci di utilizzare le tecnologie: dunque se da una parte innovare può aiutare ad accelerare quel ricambio generazionale che è a sua volta condizione per la modernizzazione della nostra società e della nostra economia.
Ci sarà il problema delle risorse: non si fanno le nozze coi fichi secchi. Ma su questo punto il programma dell’Unione ha una posizione chiara. Gli investimenti in innovazione e ricerca avranno la priorità e non ci potrà essere politica dei due tempi. Perché anche il risanamento finanziario ci sarà e non sarà apparente od effimero solo se sapremo rimettere in modo la crescita: e i risultati di questi cinque anni sono, d’altra parte, lì a dimostrarlo. E per farlo, a nostro avviso, è indispensabile investire in questi settori ai quali dovranno essere destinati , a nostro avviso, 2 mld di euro l’anno per tutti gli anni della legislatura. Solo così sarà possibile imprimere quella “scossa” di cui il Paese ha bisogno
Queste sono le idee e le proposte che abbiamo maturate nel corso di questi anni grazie a un lavoro collettivo che la Margherita ha svolto non solo dentro il partito ma soprattutto confrontandosi con aziende, amministratori, operatori, cittadini, giovani. Queste sono le idee con cui ci apprestiamo a governare se gli elettori premieranno il centrosinistra. Noi siamo fermamente convinti che l’innovazione è la chiave per modernizzare l’Italia, per farlo uscire dalle difficoltà in cui versa, per riaprire il suo futuro. Ma innovare – deve essere chiaro – non è solo utilizzare più tecnologia: è innovare vuol dire modificare profondamente le relazioni sociali, i meccanismi produttivi, abbattere gerarchie fondate sulla esclusione dal sapere e dall’informazione e imparare a vivere, ad operare, ad eccellere in un “mondo piatto” dove ciò che conta è il valore che ciascuna persona esprime con la propria intelligenza, con la propria creatività. Per questo innovare significa anche riuscire a riconoscere, a fare emergere, a valorizzare le capacità di chi oggi è escluso, significa liberalizzare la nostra economia e la nostra società e renderla più aperta e democratica, non riservata a coloro che sono da tempo insediati nelle aree di privilegio aldilà dei loro meriti e delle loro capacità. Per questo siamo convinti che l’innovazione sia la chiave grazie alla quale l’Italia – che di intelligenza, creatività, conoscenza, cultura ha ( o ha avuto) il primato nel mondo – possa ritrovare la sua capacità competitiva e divenire protagonista di un nuovo umanesimo digitale. Per questo ci impegneremo perché l’innovazione esca dalla retorica delle buone intenzioni e divenga, a partire dall’estate prossima, l’agenda della nostra azione quotidiana.
Un Masterplan per l’innovazione – Reinventing Italy: i primi 100 giorni per i prossimi 5 anni
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