Italia
Nell’assetto ancora in atto, ispirato al modello della televisione analogica, l’impresa radiotelevisiva è un’impresa integrata verticalmente che dispone di tre ordini di risorse: frequenze, programmi, pubblicità.
Il passaggio alla tecnologia digitale già iniziato e lo sviluppo futuro del TDT, oltre a favorire la convergenza tra le reti e la nascita di nuove piattaforme, ha avviato un percorso di superamento dell’integrazione verticale delle imprese che sta conducendo alla distinzione tra l’ “operatore di rete” (come soggetto titolare del diritto di installazione, esercizio e fornitura di una rete di comunicazione elettronica) ed il “fornitore di contenuti” (come il soggetto che ha la responsabilità editoriale nella predisposizione dei programmi).
Nell’ordinamento italiano la nuova realtà si trova già da tempo rispecchiata in leggi dello Stato (Legge 66 del 2001; Legge 112 del 2004; T.U. 177 del 2005) o in regolamenti dell’Agcom (Delibera 435 del 2001). Queste nuove discipline, definite per garantire modi e tempi del passaggio alla tecnologia digitale, prevedono, infatti, differenti titoli abilitativi e differenti obblighi per gli operatori di rete e per i fornitori di contenuti. In particolare, la disciplina più recente (v. art. 5 del TU della radiotelevisione 177 del 2005) prevede per gli operatori di rete l’obbligo di garantire “parità di trattamento ai fornitori di contenuti” e per i fornitori di contenuti l’obbligo di “osservare, in caso di cessione dei diritti di sfruttamento degli stessi, pratiche non discriminatorie tra le diverse piattaforme distributive”.
Nella nuova prospettiva della televisione digitale viene, dunque, ad assumere un rilievo centrale il “diritto di accesso alle reti” riconosciuto ai fornitori di contenuti ed il “diritto di accesso ai contenuti” riconosciuto agli operatori di rete, titolari delle varie piattaforme.
Si tratta, in pratica, dello sviluppo nella legislazione interna del regime di “must carry” e di “must offer” già delineato – anche se con forme non sempre determinate – a livello di norme comunitarie.
La prospettiva che si sta oggi aprendo al mercato televisivo attraverso il passaggio alla tecnologia analogica investe, dunque, – ai fini dell’arricchimento della concorrenza e del pluralismo – due ordini di problemi:
a) come favorire e determinare il superamento dell’attuale integrazione verticale, in direzione della distinzione tra i due tipi di impresa (tecnologica e di programmi);
b) come garantire il diritto di accesso, nelle due forme di accesso alle reti ed accesso ai contenuti.
Da qui le possibili domande per il mondo degli operatori:
1) Quali sono le condizioni di mercato che possono favorire il percorso verso il superamento dell’attuale integrazione verticale? Quali gli strumenti giuridici in grado di favorire o determinare la separazione tra i due tipi di impresa (di rete e di contenuti)? Separazione contabile, societaria o proprietaria? Quali sono gli ostacoli maggiori che oggi si oppongono a questo percorso? Cosa della disciplina varata, su questa materia, dal recente TU della radiotelevisione funziona e cosa no? Quali le realtà di mercato degli altri paesi europei da tenere più presenti?
2) Come configurare in concreto il “diritto di accesso alle reti”? La disciplina tracciata dal TU della radiotelevisione e dai regolamenti dell’Agcom è sufficiente o va integrata? E’ giusto prevedere forme differenziate (o privilegiate) di accesso in ragione di particolari contenuti (news; canali per bambini, etc..)?
3) Come configurare in concreto il “diritto di accesso ai contenuti”? Che livello di garanzia offrire a questo “diritto” (legislativo, regolamentare, contrattuale)? Come definire i contenuti pregiati e che regime giuridico prevedere per gli stessi? Come incrociare l’accesso ai contenuti con il diritto di cronaca, con le esclusive, con il diritto di autore? La linea adottata in questa materia a livello comunitario (caso Newcorps – Telepiù) e a livello nazionale è condivisibile o andrebbe corretta e integrata?
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