ICT: è ora di interrogarsi sul possibile ruolo di un’Autorità Ue, che favorisca i processi di liberalizzazione

di di Roberto Barzanti (Docente di Istituzioni e politiche audiovisive nella Ue - Università di Siena) |

Unione Europea


Roberto Barzanti

In vista della riunione del Consiglio Ecofin di Vienna del 7-8 aprile, il cancelliere dello scacchiere Gordon Brown aveva ipotizzato davanti alla Commissione affari monetari del Parlamento britannico la richiesta di mettere allo studio l’istituzione di un’Authority europea, indipendente dalla Commissione esecutiva, preposta ad esaminare nei vari settori – a partire dall’energia – gli impedimenti che si frappongono via via ad una più dinamica e leale concorrenza.

 

E aveva motivato l’idea con argomentazioni tutt’altro che peregrine. Ora, stando ai commenti rilasciati a conclusione dell’informale Consiglio dei ministri, l’idea sembra molto ridimensionata, se non ritirata del tutto. In attesa di ulteriori, e più mediate, prese di posizione, conviene riflettere sulla proposta e lumeggiarne il retroterra. Già nel famoso rapporto del 1994 che prende il nome da Martin Bangemann – firmato anche da Romano Prodi e da Carlo De Benedetti – si prospettava l’utilità di insediare un’Autorità europea che favorisse i processi di liberalizzazione in calendario per le ICT ed in genere per il rapido avvento di una società dell’informazione globale, un’Autorità contro il prevedibile protezionismo di ritorno. Non se n’è fatto nulla e nel frattempo in materia di comunicazioni elettroniche e dei relativi servizi si è andato definendo un quadro normativo molto ricco e di grande impatto.

 

Così non è stato per altri settori e non c’è bisogno per dimostrarlo di evocare il tormentato dibattito sulla direttiva Bolkestein, nonché le mosse francesi in tema, appunto, di energia. A quel che par di capire, Brown pensa ad un’Autorità unica articolata per settori e destinata ad occupare in buona parte il ruolo che oggi svolge direttamente la Commissione tramite la Direzione concorrenza (commissario l’olandese Kroes). Le opposizioni che al momento il cancelliere britannico ha incassato sono più che discutibili. Via via che la Commissione di Bruxelles ha assunto un volto sempre più marcatamente politico e non abbastanza al di sopra degli interessi nazionali in gioco – Romano Prodi docet – è non solo comprensibile ma decisivo che si vogliano affidare compiti tanto delicati di sorveglianza – di sapore arbitrale ed in certa misura giurisdizionale – ad una sede organicamente espressa dal quasi-governo dell’atipica architettura dell’Unione europea.

 

Limitandosi al campo delle comunicazioni e dell’informazione salta agli occhi un paradosso. Mentre i testi comunitari richiedono ai governi che le Autorità del settore siano rigorosamente indipendenti dal potere politico, a Bruxelles si continua ad adottare un sistema che oggi fa acqua da tutte le parti. Un tempo la Commissione assomigliava ad una sorta di agenzia e l’interesse europea ne costitutiva la ragione fondante e la costante finalità. Oggi non si può dire che quella fisionomia, coerente con la filosofia funzionalistica delle origini, sia ancora in pieno vigente. Non è questione di qualità e di rigore, e neppure di onestà. La condotta di Mario Monti o il comportamento a fronte di giganti come Microsoft attestano una forza indubbia e la capacità di giocare un ruolo autonomo e di grande incidenza sulla scena internazionale. Quando però i dossier coinvolgono linee e controversie interne all’Unione si avverte la necessità che i compiti di tutela della concorrenza e di controllo delle concentrazioni o fusioni siano affidati ad una sede terza, dal momento che la “terzietà” della Commissione è seriamente – forse inevitabilmente – compromessa.

 

Le tradizionali procedure non sono adeguate a un mondo in sconvolgente, quotidiana, trasformazione. Credo che l’uscita di Gordon Brown sia un’ottima occasione per riprendere, ad esempio, un tema che è in varie situazioni emerso e che il Parlamento europeo aveva messo a fuoco almeno una ventina d’anni fa. È l’ora di interrogarsi sul possibile ruolo di un’Autorità europea incaricata di occuparsi delle condizioni di un’efficace competizione nell’universo delle ICT e – contestualmente – non ignori il rapporto che intercorre in forme sempre più percepibili tra gli aspetti economici ed il rispetto – se non la garanzia, affidata primamente agli Stati – del pluralismo nei mezzi d’informazione, in particolare di quelli audiovisivi.

 

Il Gruppo che coordina i vari organismi di regolazione delle reti di comunicazione elettronica e dei servizi da esse forniti (ERG, European Regulators Group) potrebbe esser superato da un organismo più definito e compiuto, il quale, non certo esautorando i livelli statali, potrebbe agire con maggiore sistematicità e trasparenza, limitandosi agli aspetti sovranazionali, ma non ignorando le basilari precondizioni, necessarie perché anche il pluralismo non rimanga una bella parola, evocata di tanto in tanto per scarico di coscienza. Il modello Authority si confà all’Unione ed è il migliore perché il complesso quadro normativo europeo sia continuativamente esaminato e se ne verifichi e stimoli l’attuazione, al di là di troppo incidentali disegni o sospettabili pressioni, nell’energia e nei vari ambiti per i quali la dimensione europea è, da tempo, la dimensione minima da tenere in considerazione.

 

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