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Anche se fanno affari in Paesi che fanno della censura una bandiera in nome dell’interesse nazionale, i big di Internet non vogliono passare per collaborazionisti e hanno deciso di cooperare con le associazioni a difesa dei diritti umani e della libertà di stampa per realizzare un codice di condotta atto a proteggere la libertà di espressione e la privacy dei loro utenti.
Tra gli altri, Microsoft, Google, Yahoo! e Vodafone mirano a realizzare un documento entro la fine dell’anno per accelerare un’inversione di tendenza per spiacevoli fenomeni quali l’arresto di giornalisti, il tracciamento delle attività online dei cittadini e la censura dei contenuti.
L’impegno verso il rispetto della libertà di stampa e di espressione, vede coinvolte non solo le web company, ma anche molte associazioni e università, dal Center for Democracy and Technology di san Francisco a Human Rights Watch, dalla University of California all’International Business Leaders Forum.
Il processo – che ambisce a determinare un set di regole che guidino il comportamento delle aziende che hanno per forza di cose a che fare con leggi e atteggiamenti volti a limitare i diritti umani – segna una nuova fase del percorso che molte web company avevano intrapreso già dallo scorso anno con l’obiettivo di raggiungere una maggiore comprensione della relazione tra nuove tecnologie e libertà di espressione e tutela della privacy in giro per il mondo.
“Le web company – ha spiegato Leslie Harris, direttore esecutivo del Center for Democracy and Technology – hanno svolto un ruolo vitale nel fornire importanti strumenti di riforma democratica nei Paesi in via di sviluppo, ma alcuni governi hanno trovato la maniera per usare la tecnologia contro i cittadini, monitorando le attività online legittime e censurando le informazioni sulla democrazia”.
E’ dunque di vitale importanza – ha aggiunto Harris – “identificare soluzioni che preservino l’enorme valore democratico fornito dai progressi tecnologici, proteggendo allo stesso tempo i diritti umani e le libertà civili di coloro che invece dovrebbero avvantaggiarsi ancora più degli altri di questa espansione dei mezzi di comunicazione”.
Secondo i dati di Reporters sans Frontierès, sono 59 i cyberdissidenti arrestati per le loro attività su internet. I gruppi a difesa dei diritti umani hanno spesso accusato le web company di collaborazionismo, come nel caso dell’arresto dello scrittore cinese Shi Tao, condannato grazie alla presunta collaborazione di Yahoo, a 10 anni di prigione per aver diffuso sul web informazioni ritenute “segreti di Stato” dal governo di Pechino.
Yahoo, come del resto molti big player della Rete, ha accettato di censurare la versione cinese del proprio sito per non incorrere nelle ire del governo di Pechino, ragion per cui, se si digitano sul motore di ricerca parole come “libertà”, “democrazia”, “indipendenza di Taiwan”, i risultati saranno nulli o accuratamente selezionati.
Anche Google – che invece negli Usa difende strenuamente i diritti di riservatezza e libertà degli internauti – ha ceduto alle pressioni dei regimi repressivi come la Cina ed è stata per questo accusata di sostenere la politica del ‘due pesi due misure’.
Il gruppo si è ovviamente difeso ammettendo che la stessa politica di accondiscendenza ai dettami governativi è applicata anche in Europa e negli Stati Uniti, che impongono limitazioni all’accesso a informazioni relative al nazismo e alla pedopornografia. Si tratta, però, di cose ben diverse e richieste da governi non certo repressivi.
Anche Microsoft censura la versione cinese del suo servizio blog, Msn Space. Parole come ‘democrazia’ e ‘diritti umani’ vengono infatti rifiutate dal sistema. Microsoft avrebbe poi chiuso il blog di un giornalista cinese in seguito alle pressioni subite dal governo di Pechino.
Pratiche aspramente criticate dall’opinione pubblica internazionale e che hanno fortemente oscurato l’immagine di aziende simbolo – a occidente – di un nuovo corso dell’informazione.
Un’inversione di tendenza, dunque, che dovrebbe portare alla realizzazione di una serie di guide lines che aiuteranno le web company a rapportarsi con i dettami dei regimi repressivi, dalla Cina all’Iran, dalla Turchia alla Thailandia.