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La Giornata Parlamentare. Terzo mandato, la Lega chiede una nuova legge

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L'Ue sospende i dazi per tre mesi e punta a negoziare con Trump. I Sindacati si aspettano un incontro con Meloni sui dazi. Terzo mandato, la Lega chiede una nuova legge. Le mozioni sul riarmo dividono le opposizioni, la maggioranza a fatica tiene.

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L’Ue sospende i dazi per tre mesi e punta a negoziare con Trump

L’Ue ha risposto prontamente alla mano tesa di Donald Trump sui dazi con una decisione equivalente, ovvero sospendendo per 90 giorni le contromisure approvate mercoledì. Ursula von der Leyen poco dopo mezzogiorno e dopo aver saggiato gli umori dei 27 ha deciso: “Vogliamo dare una possibilità ai negoziati”, ha sottolineato, rimarcando come si tratti solo di una sospensione: “Se i negoziati non saranno soddisfacenti, scatteranno le nostre contromisure. Tutte le opzioni sono sul tavolo”. Poco prima dell’annuncio il suo braccio destro, il capo di gabinetto Bjorn Seibert, aveva comunicato le intenzioni di Palazzo Berlaymont ai Paesi membri in una riunione d’urgenza con i Rappresentanti Permanenti. Il sostegno politico alla sospensione, spiegano fonti europee, è stato netto, seppur con diverse sfumature. Un ruolo di primo piano l’ha esercitato l’Italia, che continua a guidare le capitali dialoganti. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha sentito il commissario al Commercio Maros Sefcovic per concordare un’accelerazione della sospensione. 

I mercati europei hanno apprezzato, così come il sistema produttivo. Ma è la stessa Commissione Ue ad aver sempre chiarito come la messa in campo delle tariffe non sia mai stata un obiettivo negli attuali rapporti commerciali con gli Usa. La sospensione di Usa e Ue riguarda tuttavia due tipologie di tariffe differenti: Washington il fatidico 2 aprile ha fermato quelli considerati da Trump “dazi reciproci” ma ha lasciato operativi quelli precedentemente imposti su acciaio e alluminio. Bruxelles ha sospeso la sua risposta a questi ultimi, in attesa di mettere a punto un piano più ampio. Dalla Commissione Ue hanno respinto qualsiasi accusa di debolezza: “Il nostro atteggiamento è sempre stato fermo, tranquillo e coerente”, viene sottolineato. Lunedì il collegio dei Commissari formalizzerà la sospensione, che va ratificata ex post, entro 14 giorni. Nel frattempo, però, Bruxelles si aspetta un passo verso i negoziati da parte degli Usa, magari riesumando la proposta dei “zero dazi per zero” sui beni industriali. 

La situazione resta complessa anche perché, per il momento, nessuno oltreoceano ha un vero mandato a negoziare. In agenda, al momento non è fissato alcun incontro tra von der Leyen e Trump, a Washington per il momento andrà Giorgia Meloni. A ogni modo Bruxelles ha giudicato la distensione di Trump un passo importante, ma non si fida e non smetterà di preparare le contromisure, incluso lo strumento anti-coercizione. Nel frattempo, continua ad allargare la sua rete: in un colloquio con il presidente degli Emirati Arabi Mohamed bin Zayed Al Nahyan, von der Leyen ha concordato il lancio dei negoziati per un accordo di libero scambio focalizzato, tra l’altro, su rinnovabili e materie critiche. Sull’intesa Ue-Mercosur Bruxelles sta “dialogando” con i Paesi più reticenti, Francia e Italia prima di tutto; poi c’è la Cina con cui il confronto si è rasserenato. 

I Sindacati si aspettano un incontro con Meloni sui dazi

Donald Trump sospende i dazi, ma non spegne il fuoco delle polemiche in Europa e in Italia. La premier Giorgia Meloni si prepara al viaggio negli Stati Uniti il 17 aprile prossimo, ma di sicuro andrà a Washington con uno spirito diverso dopo lo stop di 90 giorni ai dazi. “È un segnale che vogliamo interpretare positivamente, è auspicabile che il rinvio di 90 giorni favorisca il negoziato”, commenta infatti il ministro degli Esteri Antonio Tajani. La vigilia della missione negli States, comunque, non sarà semplice per la presidente del Consiglio che, dopo aver incontrato le imprese e le associazioni di categoria del mondo agroalimentare, non ha consultato i sindacati. La segretaria della Cisl Daniela Fumarola non esclude che la convocazione possa arrivare sul filo di lana, anche se la priorità è altro: “Dobbiamo monitorare la situazione e nessun posto di lavoro deve essere messo in discussione, con forme di protezione per i lavoratori e le imprese che hanno effettive difficoltà e non a pioggia”. Ma non condivide l’idea del leader Cgil Maurizio Landini, che ha definito un “saccheggio” la rimodulazione dei fondi di Coesione e di quelli Pnrr per aiutare le imprese: “Assolutamente no, non è nel nostro stile”. 

Pierpaolo Bombardieri scrive una lettera alla Meloni: “La sua proposta di costruire un patto contro i rischi derivanti dai dazi e dalle guerre commerciali può rappresentare un’opportunità importante per il nostro Paese, ma solo se accompagnata da misure concrete, serie e condivise” e offre collaborazione al Governo se sul piatto ci saranno proposte concrete: “Il piano da 25 miliardi annunciato merita un’attenta valutazione. In particolare, riteniamo potenzialmente utile la quota di 14 miliardi derivanti dalla revisione del Pnrr, ma solo a condizione che le imprese beneficiarie s’impegnino a non licenziare e a mantenere gli attuali livelli occupazionali”. Tuttavia, “non ci trova d’accordo, ed esprimiamo forte preoccupazione, l’ipotesi di destinare gli 11 miliardi delle politiche di coesione europee ad altri fini”, sottolinea Bombardieri, che non condivide nemmeno di usare parte del Fondo europeo per il clima: quelle risorse sono “destinate a tutelare i lavoratori colpiti dalla transizione ecologica”. 

I sindacati hanno ribadito le rispettive posizioni anche negli incontri con le forze politiche. Ieri al Nazareno Elly Schlein ha incontrato la Cgil, poi la Cisl e infine la Uil, mentre nelle prime ore del mattino c’è stata la videocall con Confindustria. La segretaria dem conferma la disponibilità ad attivare un’interlocuzione con l’esecutivo, ma solo “su proposte concrete”. A Meloni, in vista del viaggio in Usa, suggerisce di sostenere il negoziato Ue: “Non possiamo lasciare lo spazio a Trump di pensare che può dividere i Paesi dell’Ue facendo trattative bilaterali”. Non sembra convinta neanche di una webtax come soluzione, perché “riguarda pure le aziende italiane”. Meglio concentrare le forze sulle “multinazionali del Big Tech, che pagano meno tasse in Italia e in Europa di una fabbrica della provincia di Torino”. Altre proposte arrivano infine da Iv, con Matteo Renzi che esorta a cancellare Transizione 5.0 e tornare ai criteri di Industria 4.0; il leader di Italia viva chiede al Governo di sbloccare anche l’accordo Ue-Mercosur.

Il terzo mandato agita i partiti. La Lega chiede una nuova legge

All’indomani della sentenza della Consulta sulla legge della Regione Campania, sfuma il possibile terzo mandato per il governatore Vincenzo De Luca e, di riflesso, anche per Luca Zaia in Veneto. In Campania “Ora serve aprire una pagina politica nuova”, suggerisce il capogruppo del Pd al Senato Francesco Boccia. Ma il presidente campano ha convocato intanto per sabato una riunione con i capigruppo della maggioranza in Consiglio regionale per capire il da farsi. Le diplomazie dei partiti sono al lavoro per la scelta del candidato: fonti parlamentari dem danno per scontata una coalizione con il M5S visto che in pole sarebbe l’ex presidente della Camera Roberto Fico, ma sottolineano anche che sarà difficile escludere De Luca dalla partita: con lui bisognerà trattare per evitare rotture che rischierebbero di consegnare la Regione al centrodestra. 

Fra le questioni più delicate c’è poi quella del Veneto. “È innegabile che i veneti chiedano di poter semplicemente scegliere i candidati a presidente. Al sottoscritto viene negata quest’opportunità come in altre Regioni, ne prendiamo atto”, è il commento di Luca Zaia. Che poi aggiunge: “Abbiamo capito dalla sentenza della Corte che cinque Regioni non hanno nessun problema, quindi sei presidenti non hanno il blocco dei mandati, tutti gli altri sì. Quindi, solo alcuni sindaci e solo alcuni governatori hanno questo blocco di mandati”. A spingere per cambiare la legge sul terzo mandato è la Lega, mentre a più riprese da Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno espresso contrarietà su questo tema: “Il limite ai mandati o vale per tutti o non vale per nessuno. Se questa legge non permette a presidenti di Regione e sindaci di ricandidarsi, penso sia giusto che in futuro la legge cambi”, è l’idea dal senatore del Carroccio Gian Marco Centinaio. Dal canto suo, il capogruppo leghista al Senato e segretario della Lega Lombarda Massimiliano Romeo non le manda a dire agli alleati: “In un’ottica di centrodestra nazionale, se la Lega governa le sue Regioni è tranquilla e serena, tutto procede per il meglio”. 

Ma al contempo dice senza mezzi termini: “Le Regioni dove governa alla Lega a nostro giudizio devono rimanere alla Lega”. Dopo il verdetto della Consulta, anche gli altri governatori del Carroccio esprimono dei dubbi: “Speravo che la Corte si esprimesse in modo diverso ma tant’è. Alla base di tutto c’è la decisione della gente, però ci inchiniamo di fronte alla Corte”, dice il lombardo Attilio Fontana, che considera comunque “ovvio” il fatto che la Regione nel 2028 resti alla Lega. Il presidente del Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga non nasconde il desiderio di puntare al terzo mandato, puntando sul fatto che quella che governa è una Regione a statuto speciale: “Spetterà al Consiglio regionale decidere. Mi piacerebbe poter ricandidarmi e risottopormi alla volontà degli elettori”. A questo punto, nel centrodestra toccherà ai leader, Giorgia MeloniAntonio Tajani e Matteo Salvini, vedersi per trovare la quadra e sciogliere tutti i nodi. 

Le mozioni sul riarmo dividono le opposizioni, la maggioranza a fatica tiene

Il piano di riarmo europeo divide sia la maggioranza, sia l’opposizione. Nel primo caso le spaccature interne agli alleati di governo, con la Lega che resta sulle barricate contro l’investimento di “800 miliardi in armi e proiettili”, vengono stemperate in una mozione unitaria, approvata dalla Camera, che non cita mai la parola riarmo. Nel secondo, le divergenze nel centrosinistra emergono chiaramente dalla presentazione di ben sei mozioni diverse, tutte bocciate: M5S e Avs contro il Rearm Europe; +EuropaIv e Azione a favore; il Pd critico su un piano che va “radicalmente revisionato”. La sintesi del centrodestra, frutto di ampia mediazione, impegna il Governo “a proseguire nell’opera di rafforzamento delle capacità di difesa e sicurezza nazionale al fine di garantire, alla luce delle minacce attuali e nel quadro della discussione in atto in ambito europeo in ordine alla difesa Ue, la piena efficacia dello strumento militare”. 

Il punto di partenza della Lega, messo nero su bianco in una serie di mozioni fotocopia da presentare nei Comuni e in Ue, era “la ferma opposizione” al “Rearm Europe”, piano su cui alla fine il documento di maggioranza glissa. Per il resto, viene confermato il sostegno a Kiev e l’impegno ad “operare affinché si giunga nel più breve tempo possibile” alla pace; successivamente alla tregua, l’obiettivo è “la costituzione di una forza multinazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite”. Dei sette documenti presentati la maggioranza approva solo il suo (con l’astensione di Azione e la contrarietà degli altri) e FdI esulta: viene “riconfermata nei fatti la nostra unità”, invece “le opposizioni si sono divise”. Eppure, le divergenze, anche in seno al centrodestra, vengono a galla durante le dichiarazioni di voto: “Una difesa comune è impossibile perché la Ue è divisa, inefficiente e governata da burocrati”, insiste la Lega. E il Pd punta il dito: “In un’altra epoca si sarebbe andati al Quirinale per una verifica di Governo”. 

La maggioranza “non ha neanche il coraggio e la dignità di scrivere la parola riarmo”, l’affondo di Giuseppe Conte. L’incrocio dei voti disegna un quadro quanto meno variegato: i 5S si compattano con l’Avs e si astengono sulla mozione del Pd, che, a sua volta, si astiene su tutti gli altri documenti di opposizione, compreso quello del Movimento. Fanno eccezione tre dem che si schierano contro il documento dei pentastellati: Lorenzo GueriniMarianna Madia e Lia Quartapelle. Intanto, proprio nel centrosinistra, monta la polemica per la richiesta fatta dal M5S di audire in Senato, sul tema delle ingerenze straniere, anche l’ambasciatore russo.

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