Sicurezza

Riarmo europeo, il Piano Ursula da 800 miliardi di euro

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La Lettera ai 27 capi di Stato della Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, poi il vertice di giovedì a Bruxelles. Nel Piano 650 miliardi di euro in quattro anni e 150 miliardi da un "nuovo strumento" comunitario. C'è anche la Banca della Difesa (e i missili).

Riarmare l’Europa, Ursula von der Leyen annuncia piano da 800 miliardi di euro

Siamo in un’era di riarmo. E l’Europa è pronta ad aumentare massicciamente la spesa per la difesa“. 

La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato stamattina un piano di riarmo per l’Europa da 800 miliardi di euro complessivi.

Punto chiave è l’allentamento del Patto di stabilità e crescita per quei Paesi che aumenteranno mediamente la spesa in armi e Difesa di 1,5 punti di PIL.

In questo modo, secondo la von der Leyen, “avremo 650 miliardi di euro in quattro anni”.

A questi si aggiungeranno 150 miliardi di euro da raccogliere tramite un “nuovo strumento” comunitario, che potrebbe benissimo essere la Banca per la Difesa, la sicurezza e la resilienza (Dsr) di cui la stampa internazionale parla da tempo.

I dettagli del piano saranno contenuti in una Lettera che la Presidente della Commissione invierà ai capi di Stato europei e che poi saranno discussi il 6 marzo a Bruxelles, in occasione del Consiglio europeo speciale convocato dal presidente Antonio Costa.

Fondamentalmente, ha proseguito von der Leyen, “si tratta di spendere meglio e di spendere insieme. E stiamo parlando di ambiti di capacità paneuropei come, ad esempio, la difesa aerea e missilistica, i sistemi di artiglieria, i missili e le munizioni, i droni e i sistemi anti-drone, ma anche di rispondere ad altre esigenze, dalla mobilità informatica a quella militare, ad esempio. Ciò aiuterà gli Stati membri a mettere insieme la domanda e ad acquistare congiuntamente“.

E naturalmente, aggiunge la Presidente della Commissione, “con queste attrezzature, gli Stati membri possono aumentare in modo massiccio il loro sostegno all’Ucraina. Quindi equipaggiamento militare immediato per l’Ucraina. Questo approccio di appalti congiunti ridurrà anche i costi. Ridurrà la frammentazione, ma aumenterà l’interoperabilità e, naturalmente, rafforzerà la nostra base industriale di difesa“.

La Banca europea per la Difesa, la sicurezza e la resilienza

Una banca per il riarmo dell’Europa, di cui si è parlato domenica scorsa a Londra, che potrebbe partire con una dotazione di oltre 100 miliardi di sterline, secondo quanto riportato dall’agenzia Bloomberg. Potrebbe partire così il piano per la nuova Difesa europea, incentrato su una spesa crescente in armi e sistemi per la sicurezza collettiva, che la Presidente von der Leyen ha annunciato oggi.

Dopo il summit straordinario del 2 marzo e in attesa del prossimo in calendario il 6 marzo a Bruxelles, l’Europa continua nella sua settimana della Difesa nel cercare disperatamente di trovare una sintesi tra le necessità di potenziare i propri sistemi difensivi militari e tecnologici e convincere tutti gli Stati membri e gli alleati a tirare fuori i soldi necessari, oltre che decidere cosa fare per l’Ucraina.

Proprio per risolvere quest’ultimo punto, è saltata fuori l’idea di una Banca per la Difesa, la sicurezza e la resilienza (Dsr), la prima banca multilaterale di sviluppo per la difesa che offrirà ai creditori del settore privato garanzie sui rischi e aiuterà a standardizzare le norme sugli appalti in Europa in questo delicato e redditizio settore industriale.

Una banca di missili e bombe per “riarmare l’Europa”

Una banca per i missili e le bombe. Provocazione a parte, in fondo questo rappresenta il nuovo ipotetico strumento finanziario congegnato dall’Europa, la Gran Bretagna e gli alleati NATO. Anche perché, ad oggi, l’Europa sembra esser stata capace di trovare solo questa strada. L’unica idea che è venuta a tutti, in questo continente, è riarmarsi. La diplomazia, qui, non ha mai trovato il giusto spazio per affrontare le grandi sfide del nostro tempo, tra cui Ucraina e questione arabo-israeliana (vedi Gaza).

L’obiettivo della Banca Dsr, è spiegato su thebanker.com del Financial Times, è quello di emettere obbligazioni con rating AAA garantite dalle nazioni azioniste per immettere rapidamente “capitale a basso costo” per gli appalti della Difesa in tutti i Paesi della NATO (quindi anche gli Stati Uniti), dell’Unione europea e delle nazioni alleate dell’Indo-Pacifico, ovviamente senza aumentare il debito pubblico. 

D’altronde, von der Leyen sembra vedere una sola via d’uscita dall’impasse politico-militare dell’Ucraina: “Abbiamo bisogno di un massiccio aumento della difesa senza alcun dubbio. Vogliamo una pace duratura. Ma una pace duratura può essere costruita solo sulla forza. E la forza inizia con il rafforzamento di noi stessi. E questo è lo scopo del piano che presenterò agli stati membri domani: ‘Rearm Europe’“.

Banca operativa nel 2027? Così è stato deciso dai promotori

Il percorso della nuova banca, però, sembrerebbe esser partito a fine dicembre, con un documento sottoposto a peer review dall’Atlantic Council, in cui si specificava che dopo “l’adesione di un piccolo gruppo di nazioni” fondanti e la successiva adesione di altre nazioni come “azionisti”, le operazioni potrebbero iniziare nel 2027” circa.

La Banca ha già dei “convinti sostenitori, secondo Fortune Italia, tra cui: Robert Murray, ex capo dell’Innovazione della Nato ed ex ufficiale britannico, e Lord Stuart Peach, ex Presidente del Comitato Militare della NATO e Capo di Stato Maggiore della Difesa del Regno Unito.

Tra gli altri promotori ci sono anche Mircea Geoană (ex Vice Segretario Generale della NATO ed ex Ministro degli Esteri rumeno) e Richard Burr (ex Senatore degli Stati Uniti e Presidente Repubblicano del Comitato di Intelligence del Senato degli Stati Uniti), il Generale Rick Hillier, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa canadese, Giedrimas Jeglinskas, Presidente del Comitato di Difesa della Lituania ed ex Assistente Segretario Generale della NATO, e Rebecca Harding, economista esperta di commercio internazionale e supply-chain.

Quale Piano per la Difesa europea?

Abbiamo quindi un nome del piano al momento, “riarmare l’Europa”. Ora c’è da scoprirne i contenuti. Secondo un focus Ansa, a metà mese è atteso il Libro Bianco sulla Difesa e dunque la discussione di giovedì prossimo è l’occasione per i leader europei di dare le ultime indicazioni.

Per quanto riguarda i finanziamenti, la Commissione sta lavorando a tre livelli d’intervento:

  • nazionale (con l’attivazione appunto della clausola di salvaguardia);
  • europeo (con la possibilità di usare fondi comunitari non spesi per progetti d’impatto Ue, come lo scudo aereo);
  • finanziario (maglie più larghe per la Bei, la creazione di una banca per il riarmo, il completamento del mercato dei capitali con un occhio ad un mercato unico della Difesa).

Sui finanziamenti, la bozza sottolinea la necessità che gli Stati membri “continuino ad aumentare in modo sostanziale la spesa per la difesa“, invitando “la Commissione a proporre ulteriori fonti di finanziamento per la difesa a livello europeo, anche attraverso una maggiore flessibilità nell’uso dei fondi strutturali, e a presentare rapidamente proposte pertinenti“. Una formulazione vaga, che potrebbe aprire la strada agli eurobond, da un lato, e al riciclo di tutti i fondi Ue, ad esempio del PNRR o di coesione, ancora rimasti in cassa.

Motivo per cui il Movimento 5 Stelle già ha chiaramente denunciato “uno scippo all’Italia”, Paese destinatario dei maggiori finanziamenti comunitari, che a questo punto potrebbero venir “deviati” verso il fondo europeo per le armi.

Il bilancio italiano per la Difesa ammonta nel 2025 a 31,295 miliardi di euro (circa l’1,5% del PIL del nostro Paese), registrando una crescita di oltre 2 miliardi di euro (il 12,4%) rispetto al 2024 e del 60% rispetto a dieci anni fa.

Gli italiani a rischio di povertà assoluta costituiscono il 23% della popolazione (oltre la media europea del 21%) e oltre 4,5 milioni di persone non si curano perché non possono più permetterselo.

In Europa si contano più di 94 milioni di persone sulla soglia della povertà.
Anche qui c’è un tragico problema di sicurezza e difesa della persona, ma a quanto pare poco importa.

L’Europa unita nasceva sul principio della pace, oggi si propone “un’altra Europa fondata sulla guerra”? Chi invoca questa necessità?

Per porre fine ai ricorrenti e sanguinosi conflitti culminati nella Seconda guerra mondiale, i politici europei avviano il processo di costruzione di quella che oggi conosciamo come Unione europea”.

Così inizia la pagina web della Storia dell’Unione europea.
Il primo passo verso una pace duratura è stata la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, fondata nel 1951.

Nel 1957 il trattato di Roma istituisce la Comunità economica europea (CEE) e dà inizio a una nuova era di cooperazione sempre più stretta in Europa. È anche, però, il periodo della guerra fredda, destinata a dividere il continente per oltre 40 anni.

Tutti si lamentano, giustamente, che l’Europa è al momento tagliata fuori dai negoziati (non ancora ufficiali, ma certamente in corso) tra Stati Uniti e Russia sulla fine della guerra in Ucraina. La domanda da farsi però dovrebbe essere la seguente: come è possibile che l’Europa non sia in grado di far sentire la sua voce? Per quale motivo le potenze (o medie-potenze) europee non sono riuscite a mettere “un tavolo della pace” al centro di questo scontro tra placche imperiali? Qualcuno dice che non c’è stata la minima volontà di far questo, qualcun’altro sostiene che a mancare sono le personalità politiche del giusto spessore storico-culturale. Di fatto, l’unico tavolo che gli europei sono riusciti a creare e a cui sono seduti è quello del riarmo.

Si sente dire ovunque che l’Europa è “senza Difesa”. Sicuramente non c’è una Difesa comune, ma ciò non vuole dire che i Paesi dell’Unione non spendano già una cifra elevatissima in armi e sistemi di Difesa: per i soli Paesi UE (e quindi escludendo, in particolare, Regno Unito, Turchia e Norvegia), la spesa militare è stata di 547,5 miliardi di dollari internazionali nel 2024, pari all’1,95% del Pil, il 18,6% in più di quella russa (destinata in gran parte oggi a rimpiazzare le ingenti perdite sul campo di mezzi e munizioni sostenute dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina).

C’è da chiedersi, quindi, per quale motivo sia necessario un forte aumento della spesa militare in Europa. Chi è che lo chiede? Chi sta facendo davvero pressioni invocando una necessità che a quanto pare, nei numeri, non c’è?

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