Unione Europea
La scadenza del 2012 per la piena operatività del programma di radionavigazione satellitare Galileo deve essere rispettata, ma si deve ripensare alla partnership pubblico-privato che, evidentemente, non ha funzionato come avrebbe dovuto.
La Commissione europea è intervenuta sulla spinosa questione con una comunicazione sullo stato di avanzamento del sistema, su richiesta del Consiglio dei ministri dei Trasporti e del Parlamento europeo.
Per la Ue, Galileo rappresenta “un’infrastruttura essenziale per garantire applicazioni fondamentali come il controllo delle frontiere, la logistica dei trasporti, le operazioni finanziarie o ancora la sorveglianza delle infrastrutture critiche dell’energia e delle comunicazioni”, ha spiegato il vicepresidente della Commissione trasporti, Jacques Barrot, sottolineando che il sistema offre “un contributo importante alle politiche comunitarie e sostiene le ambizioni europee in materia di politica spaziale, tecnologia e innovazione”.
Il mancato accordo all’interno del consorzio concessionario del sistema – che ha chiesto alle autorità pubbliche di farsi carico del 100% dei rischi e dei debiti – rischia però di far saltare i programmi e le scadenze stabilite nonché di avere serie ripercussioni finanziarie per il settore pubblico.
Il sistema di radionavigazione europeo Galileo comprende una costellazione di 30 satelliti, ma attualmente, solo uno è stato mandato in orbita e il contratto ventennale tra le 8 società concessionarie del sistema – AENA, Alcatel, EADS, Finmeccanica, Hispasat, Immarsat, TeleOp e Thales – che avrebbe dovuto essere firmato nel 2005 non è ancora stato sottoscritto.
Barrot ha quindi invitato la Commissione a presentargli, per la sua prossima riunione di giugno, una relazione dettagliata sui progressi dei negoziati con il consorzio nonché su possibili alternative per uscire al più presto da questa imbarazzante empasse.
Il sistema, secondo la valutazione della Commissione, si trova a un bivio di fronte al quale bisogna rapidamente prendere una decisione “per controllare meglio le scadenze e i costi e offrire una maggiore sicurezza alle industrie delle applicazioni e dei servizi di radionavigazione circa l’effettiva disponibilità dei segnali Galileo”.
La soluzione più vantaggiosa e realista, secondo la Commissione è dunque quella di cui si è già discusso intensamente nei giorni scorsi: realizzare l’infrastruttura iniziale completamente con fondi pubblici e affidare gestione del sistema a un concessionario privato.
Il repentino cambio di programma per Barrot non è comunque indice di un fallimento: il sistema non costerà un euro in più ai cittadini se si avanzerà spediti col ‘piano B’, mentre nella situazione attuale, con i contractor che rifiutano di accollarsi i rischi dell’impresa – forse per l’eccessiva ingerenza di alcuni Stati – la Ue si sarebbe trovata a pagare interessi sui debiti delle aziende.
“Praticamente – ha spiegato Barrot – avremmo costruito Galileo in leasing, invece così paghiamo direttamente tutto ma lo costruiamo noi”.
Su come avverrà il finanziamento restano tuttavia ancora molti dubbi: oltre al miliardo di euro già stanziato, servono altri 2,4 miliardi da far uscire dall’attuale bilancio 2007-2013.
Allo studio una possibile soluzione ‘intergovernativa’, con l’intervento degli Stati membri oppure – se al prossimo consiglio del 27 giugno non filasse tutto liscio – si potrebbe proporre di finanziare con fondi pubblici soltanto 18 dei 30 satelliti che compongono la costellazione.
Bisogna, in ogni caso, recuperare il tempo perduto ed evitare ulteriori sprechi e per questo l’esecutivo ha invitato gli Stati membri ad accelerare l’adozione delle decisioni politico-finanziarie per garantire un rapido sviluppo del progetto, che avrebbe dovuto affrancare l’Europa dalla dipendenza dal Gps americano che dal 2013 offrirà servizi avanzati di nuova generazione. Senza contare che anche Russia e Cina sono al lavoro nel settore della radionavigazione, la prima per rimettere in sesto i 21 satelliti del sistema Glonass – come il Gps realizzato per scopi militari – la seconda nello sviluppo di un sistema alternativo (battezzato ‘Beidou’) composto da 35 satelliti che dovrebbe essere operativo già dal 2008, come doveva esserlo Galileo secondo i progetti iniziali.
L’Italia, da canto suo, “crede molto a questo progetto, non solo come impresa tecnologica ma come elemento di democrazia planetaria per il fatto che il controllo del territorio non sia un monopolio” e “lavora affinché si riprenda speditamente il passo per arrivare alla sua realizzazione”. Lo ha dichiarato il ministro per la Ricerca scientifica e l’Università, Fabio Mussi, sottolineando che l’Italia non è “scoraggiata” dagli ostacoli sorti sul cammino del sistema e continuerà a spingere per realizzare nel nostro Paese la sede dell’agenzia centrale del sistema.