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Zuckerberg si piega a Trump e appoggia Musk sulla moderazione dei contenuti: “Basta controllo” e attacca l’Europa

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Il capo di Meta attacca anche l'Europa e le sue leggi che se la prendono con le società americane e premono per una censura maggiore "che istituzionalizzano la censura e rendono più difficile realizzare qualsiasi innovazione lì".

Il fondatore e ceo di Meta, Mark Zuckerberg, si inchina a Donald Trump e al nuovo clima ideologico della destra, che privilegia l’assoluta libertà di espressione sulla lotta contro la disinformazione e l’odio in rete.

In un video postato ieri sul proprio account Facebook, Zuckerberg ha annunciato la fine del politicamente corretto: ormai non conviene più a nessuno moderare le fake news che piacciono tanto ai sovranisti.

Una svolta che ha riscosso subito il plauso sia del presidente Trump (“Meta ha fatto molta strada”) che del suo braccio destro Elon Musk (“Cool”, ossia “figo”). “Ci libereremo dei fact-checker e li sostituiremo con note della comunità simili a X, a partire dagli Stati Uniti”, ha spiegato il capo di Meta in un video sui social (dopo aver preavvisato il team di Trump), escludendo piani immediati per l’Ue e la Gran Bretagna, dove vigono leggi più restrittive che impongono alle società di Big Tech di assumere maggiore responsabilità per i loro contenuti, pena sanzioni pesanti.

L’attacco di Zuckerberg all’Ue

Non a caso il ceo di Meta, nella sua rinnovata battaglia per la libertà di espressione a fianco di The Donald, ha attaccato anche il Vecchio continente. “Lavoreremo col presidente Trump per respingere i governi di tutto il mondo che se la prendono con le società americane e premono per una censura maggiore”, ha dichiarato, accusando l’Europa di avere “un sempre crescente numero di leggi che istituzionalizzano la censura e rendono più difficile realizzare qualsiasi innovazione lì”. Per il portavoce della Commissione Europea “Prendiamo atto dell’annuncio di Meta relativo alle sue pratiche di moderazione dei contenuti negli Stati Uniti e non abbiamo commenti da fare. Nell’Ue si applica il Digital Services Act (Dsa). Continuiamo a monitorare la conformità delle piattaforme online di grandi dimensioni ai loro obblighi nell’Ue previsti dal Dsa”.

Zuckerberg contro Biden

Zuckerberg ha puntato il dito anche contro l’amministrazione Biden, che a suo dire “ha premuto per la censura andando contro di noi ed altre compagnie Usa”. Il patron di Meta ha spiegato la svolta sostenendo che “i fact checker sono stati troppo politicamente di parte e hanno distrutto più fiducia di quanta ne abbiano creata. Quello che è iniziato come un movimento per essere più inclusivi è stato sempre più utilizzato per mettere a tacere le opinioni ed escludere le persone con idee diverse, ed è andato troppo oltre”.

Sostanzialmente ha sposato le accuse che Trump e la destra facevano ai suoi social. Ma ha ammesso che la svolta rischia di far apparire sulla piattaforma più contenuti dannosi: è il prezzo da pagare per il “free speech”.

Dal 2016 Meta aveva un programma di fact-checking basato su organizzazioni terze indipendenti che valutavano i post apparentemente falsi o fuorvianti e li etichettavano se necessario come inaccurati offrendo agli utenti più informazioni. Ora ci si affiderà al sistema delle ‘community notes’, introdotto da Musk dopo l’acquisto di X: esso coinvolge persone con punti di vista diversi che concordano su note che aggiungono contesto o chiarimenti a post controversi.

Un sistema che non ha impedito il dilagare della disinformazione e dell’odio su X, dove peraltro Musk imperversa notte e giorno con controversi attacchi al veleno contro leader europei (alleati) su cui oggi Trump ha sorvolato.

Ora quindi tutte le principali piattaforme social globali, almeno negli Usa, sono senza freni, creando un terreno fertile per l’emergente destra tecnocratica che concentra potere politico e grandi monopoli.

A suggellare l’allineamento di Zuckerberg a Trump – cui ha già donato un milione di dollari per la sua cerimonia di insediamento – anche l’ingresso nel cda di Meta, oltre che di John Elkann e Charlie Songhurst, di Dana White: il re degli eventi di arti marziali miste e storico alleato del tycoon.

Una nomina che si aggiunge a quella del repubblicano Joel Kaplan al posto dell’ex vice premier liberal britannico Nick Clegg come global affairs chief di Meta. Ma ormai sul carro del vincitore sono saliti tutti i magnati americani, da Jeff Bezos a Tim Cook, da Sam Altman a Satya Nadella e Sundar Pichai.

Il caso della vignetta censurata dal Washington Post

Il Washington Post, giornale di proprietà di Jeff Bezos, ha scelto di non pubblicare una vignetta di Ann Telnaes, collaboratrice dal 2008 e vincitrice del Premio Pulitzer. La vignetta ritraeva la corsa dei magnati della tecnologia a ingraziarsi il presidente eletto Donald Trump, nonostante i loro passati contrasti con lui.

Nell’illustrazione, Telnaes rappresentava Bezos, Sam Altman di OpenAI, Mark Zuckerberg di Meta, e Patrick Soon-Shiong, proprietario del Los Angeles Times, inginocchiati insieme a Topolino davanti a una statua di Trump, mentre offrivano sacchi di denaro. Dopo il rifiuto della pubblicazione, Telnaes ha deciso di dimettersi, denunciando il caso online e definendolo “una svolta epocale e pericolosa per la libertà di stampa”. La disegnatrice ha inoltre ricordato che, pur avendo avuto frequenti scontri con l’editorial team nel corso degli anni, mai prima d’ora un suo lavoro era stato respinto per via dei soggetti o dei temi trattati.

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