Il secondo tomo 12/B TECHNÉ Innovazione, media e comunicazione pubblica del dodicesimo fascicolo di Democrazia futura dell’autunno 2023 (anno III (12), ottobre-dicembre 2023, pp. 1679-1800), è finalmente caricabile ai seguente link: http://digital.casalini.it/5855916.
Cosa offre TECHNÉ, seconda parte di questo dodicesimo fascicolo
Presentazione. Questo numero
Parte seconda TECHNÉ Innovazione, media e comunicazione pubblica. Storie di media e società
In primo piano. La fine dei burattinai e il tramonto della cultura nazionalpopolare. Un secolo fa: uno sguardo sulla storia della radiofonia in Italia. Dall’Uri all’Eiar sono alla Rai
Bruno Somalvico prosegue per Democrazia futura la ricostruzione di Cento anni di radiofonia e settant’anni di televisione in Italia. Dopo aver pubblicato vari contributi sulla nascita della radiofonia, l’età del monopolio radiofonico Uri-Eiar Rai (1924-1954), l’età del monopolio radiotelevisivo pubblico della Rai (1954-1974), a partire da questo dodicesimo fascicolo inizia la ricostruzione della terza stagione ovvero dell’età del sistema radiotelevisivo misto (1976-2004) che a sua volta conosce principalmente al suo interno due fasi: da un lato gli anni dell’a-regulation (1976-1992), dalla terza sentenza della Corte Costituzionale nel 1976 sino all’applicazione della Legge Mammì del 1990 coincidente con la fine della prima Repubblica, dall’altro gli anni dal 1993 al 2004, ovvero il primo decennio della Seconda Repubblica dalla fase di avvio di Internet e della rivoluzione digitale sino all’approvazione dell’ultima legge di sistema, la Legge Gasparri (1994-2004) che sancisce il perfezionamento di un sistema radiotelevisivo sempre più complesso e competitivo. A fare da spartiacque fra la vecchia stagione del monopolio e l’avvio del sistema misto eoggetto del primo contributo “1. La Legge n. 103 del 14 aprile 1975”[1] di riforma della Raidi cui evidenzia i dieci punti essenziali soffermandosi anche sulla riorganizzazione interna.
Segue un secondo articolo “2 Le prime avvisaglie del caos radiotelevisivo italiano”[2] in cui, dopo averne esaltato i pregi, si sofferma sui limiti della Legge di riforma della Rai, in particolare quelli relativi a La disciplina prevista dalla Legge n. 103 per le trasmissioni via cavo” e a “La disciplina per la ripetizione su reti terrestri di programmi esteri e nazionali” Il monopolio è stato riformato. Ora va chiarito come superarlo. Le concessionarie pubblicitarie dei giornali sono pronte a raccogliere la sfida. Molti italiani iniziano a seguire i programmi televisivi esteri diffusi dai cosiddetti ripetitoristi. Capodistria, Montecarlo, Televisione Svizzera trasmettono una parte crescente della loro programmazione a colori mentre in Italia il governo sin dai primi anni Sessanta non riesce a decidere quale standard adottare.
Nel terzo scritto “3 L’anno zero del sistema misto”[3] Somalvico descrive l’anno zero del sistema radiotelevisivo misto partendo dal contesto politico che favorisce ora equilibri più avanzati ovvero “La spinta alla deregulation fra istanze imprenditoriali e obiettivi di superamento del monopolio e allargamento della libertà di espressione e dello spazio pubblico”. L’autore ripercorre i mesi estivi e autunnali del 1975, caratterizzati da un lato da “L’approvazione della Convenzione tra il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e la Rai” dall’altro da quello che definisce l’inizio de “Il valzer di sequestri/dissequestri degli impianti delle nuove emittenti radiofoniche e televisive”, un valzer destinato a proseguire per quasi un decennio.
Segue “4 1976, anno uno del sistema misto prima ancora della svolta politica nel Paese[4], quarto contributo che ripercorre i primi mesi del 1976 in cui appare evidente come il nuovo clima emerso dopo la legge di riforma della Rai nonostante misure tendenti a garantire la salvaguardia del regime di monopolio crea i presupposti non solo per l’avvio della lottizzazione in seno alla Rai che – scrive Somalvico – si realizza sotto il segno della professionalità e del rispetto del pluralismo, ma per la nascita de facto di un sistema radiotelevisivo misto anche al di fuori dell’ambito locale. Prova ne siano da un lato i primi progetti di legge e iniziative per regolamentare l’emittenza radiotelevisiva privata locale senza operare distinzione fra trasmissioni via cavo e su reti terrestri, dall’altro le piccole e grandi manovre che caratterizzano il nascente settore delle radio e televisioni private, coinvolgendo sempre più da vicino il mondo delle grandi aziende, quello dell’editoria e della carta stampata.
Nel quinto articolo “5. L’inizio della competizione sugli ascolti in seno al servizio pubblico riformato”[5], rileva come la Rai, senza quasi accorgersi dei nuovi potenziali concorrenti, inizia una competizione al proprio interno. Mentre due deputati il noto giornalista Rai Ruggero Orlando e il liberale Antonio Baslini con lungimiranza presentano un progetto di legge con “La proposta di regolamentazione dell’emittenza privata ispirata al modello britannico”, ponendo “La questione radiotelevisiva al centro della scena politica nazionale”, la riorganizzazione della Rai vede nel 1976 “L’avvio dei nuovi telegiornali e giornali radio sotto il segno del pluralismo interno al servizio pubblico ma anche delle polemiche intorno alla legittimità della nuova emittenza privata”.
Con il sesto contributo dedicato a “6. La ricerca di equilibri più avanzati nel sistema politico e in quello della comunicazione”[6] si conclude la ricostruzione dei quattordici mesi che caratterizzano una sorta di intermezzo, ovvero di transizione fra l’approvazione della legge di riforma della Rai che ribadisce sostanzialmente il monopolio del servizio pubblico e l’inizio della fase di cosiddetta a regulation di un sistema radiotelevisivo misto che una terza Sentenza della Corte Costituzionale inviterà a disciplinare dopo aver stabilito la legittimità per l’emittenza privata di trasmettere anche su reti terrestri, purché l’area di copertura del segnale non superi la dimensione locale.
Nel settimo articolo “7. La terza Sentenza della Corte costituzionale del 28 luglio 1976”[7], l’autore ne analizza gli effetti e in primis “L’invito della Corte Costituzione al legislatore a regolamentare l’emittenza radiotelevisiva”. Consentendo agli operatori privati l’installazione e l’esercizio di impianti di radiodiffusione sonora e televisiva “di portata non eccedente l’ambito locale”, “equiparando il sistema di trasmissione via cavo a quello via etere” e creando una fascia liberalizzata in potenziale contrapposizione con il sistema pubblico, la sentenza crea le premesse per l’apertura del mercato, facendo dell’Italia “Il laboratorio per la deregulation in Europa”. Il contributo analizza la reazione negativa della Rai “che rimane come Giano bifronte, metà servizio, metà impresa”:
“Questo carattere bicefalo appare evidente analizzando la programmazione che risponde certamente ai vecchi criteri di gradimento del pubblico oltre che di assolvimento della propria missione di servizio pubblico ma contemporaneamente acquisisce una mentalità competitiva facendo emergere una volontà tenace da parte delle singole reti e testate di voler raggiungere fette crescenti di telespettatori e quindi di voler sempre più competere anche sugli ascolti”.
Una sorta di ircocervo, dunque, che ha rappresentato un tratto caratteristico della Rai destinato a prolungarsi nei cinque decenni successivi e che per molti versi non è mai stato cancellato.
Comunicazione pubblica e politiche per l’audiovisivo
Apre questa seconda parte della rivista l’articolo di Stefano Rolando, docente di Comunicazione pubblica e politica alla Università IULM (Milano), condirettore di Democrazia Futura e membro del comitato direttivo di Mondoperaio, dal titolo “Il futuro della comunicazione pubblica in Europa (e quindi anche in Italia)”[8], in cui l’autore – traendo un bilancio della trentasettesima edizione del Club di Venezia, mette in chiaro che «alla parola comunicazione è attaccata la parola Europa», la quale «ha bisogno di una comunicazione forte, sia verso l’esterno sia verso l’interno. Per spiegarsi in un quadro che per tutti resta quello democratico. E per negoziare le proprie posizioni, i propri valori e i propri interessi con un mondo in cui la democrazia è a chiazze e i conflitti sono crescenti». Ciò significa che, secondo Rolando, si è arrivati al punto di dover spingere oltre la comunicazione sull’Europa, andando a toccare il «rapporto identitario e di appartenenza che c’è tra la fonte della comunicazione e i destinatari. In poche parole, si tratta del rapporto tra Nazioni ed Europa. Ma più antropologicamente si dovrebbe dire tra patria e patrie».
Marco Gambaro, docente di Economia dei Media all’Università degli Studi di Milano, in “Le politiche per l’audiovisivo, la situazione italiana tra mercato e pregiudizi”[9] è esplicito fin dall’occhiello: “Negli ultimi 15 anni i miglioramenti del nostro cinema sono stati relativi: la quota di mercato dei cinema nazionale sul mercato interno delle sale rimane del 20-21 per cento con un certo calo rispetto all’andamento del decennio precedente la pandemia”. A fronte di un aumento considerevole dei finanziamenti alla produzione cinematografica negli ultimi vent’anni, i risultati sono stati tuttavia modesti, dato che «tanti piccoli film funzionano meno di pochi grandi» e se il modello francese è la stella polare che dovrebbe guidare le nostre scelte di investimento è vero altresì che al momento «la nostra propensione all’export, cioè la relazione tra biglietti venduti all’estero e quelli venduti sul mercato interno è tra le più basse dei grandi paesi europei».
Secondo Renato Parascandolo, giornalista, saggista, già direttore di RAI Educational, “La legge europea per la libertà dei media” potrebbe essere, come recita il titolo dell’articolo, “Un’occasione per la riforma della governance Rai“[10]. «L’accordo raggiunto dai 27 paesi dell’Unione europea sulla libertà dei media (EMFA) a garanzia del pluralismo e della trasparenza potrebbe riaprire la discussione […] su come sottrarre il controllo della Rai all’esecutivo di turno». L’autore individua senz’altro due progetti: «quello che affida la proprietà della Rai a una Fondazione e quello duale che si prefigge di tenere distinti l’indirizzo del servizio pubblico dalla gestione aziendale grazie un Consiglio di sorveglianza, composto da quindici membri, che funge da intermediario con il potere politico, e a un Consiglio di gestione ristretto con compiti operativi». Ed è proprio «partendo da questi progetti – continua Parascandolo – si potrebbe sviluppare un testo condiviso non solo dalle minoranze parlamentari, ma anche da quelle componenti dell’attuale maggioranza che riconoscono l’importanza del servizio pubblico e il suo ruolo cruciale nel panorama industriale e culturale del nostro Paese».
Il giornalista e saggista Marco Mele, fondatore del sito www.Tvmediaweb.tv, in “Agcom, presentata la relazione al Parlamento 2023”[11] commenta il testo dell’intervento del Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni Giacomo Lasorella, riassunto nell’occhiello: “La par condicio per Internet e gli influencer. Quasi niente sul servizio pubblico. I prezzi crescono, a volte più dei mercati, ma non se ne parla”. E si domanda pertanto se «può l’Agcom sottrarsi a qualsiasi riflessione davanti al Parlamento sulla trasformazione della stessa Rai in Media company pubblica, o in Fondazione, superando l’attuale governance della legge Renzi e l’attuale assetto che vede la Rai proprietà del Governo?».
Il Presidente dell’Istituto Italiano per l’Industria Culturale Angelo Zaccone Teodosi in “Approvato contratto di servizio: entusiasmo Rai ma scenari incerti[12] analizza dunque il contratto di servizio della Rai per il 2024-2028, ritenendolo «ancora più evanescente del precedente». Da una parte si ha «prevale la passiva registrazione dell’entusiasmo manifestato dalla triade apicale: la presidente Marinella Soldi, l’amministratore delegato Roberto Sergio, il direttore generale Giampaolo Rossi», mentre poche sono state le voci di dissenso. E gli entusiasmi, secondo Zaccone Teodosi, non sono in effetti giustificati, considerando ad esempio che «la Rai ha accolto alcune modifiche che il Mimit (guidato da Adolfo Urso di Fratelli d’Italia) ha imposto, ignorando il parere (giustappunto obbligatorio ma non vincolante) espresso dalla Commissione di Vigilanza Rai il 3 ottobre 2023, per esempio in materia di vincoli agli appalti e produzioni esterne». Per quanto riguarda la riforma del tax credit cinematografico e audiovisivo il ministero ha invece preso coscienza che «molte opere vengono realizzate “per” il tax credit, e non “con” il tax credit» e introdotto dei correttivi affinché il credito di imposta sia «uno strumento che incentiva gli investimenti» o che sia di stimolo a «un’elevata qualità culturale». Rimane il problema – conclude Zaccone Teodosi – delle magre risorse destinate a festival, rassegne e premi: solo 7 milioni
Paolo Anastasio, giornalista e content manager presso Key4biz, in “Censis: 9 italiani su 10 usano Internet e smartphone. Tv tradizionale in calo (ma tiene), cresce la web tv”[13] rileva come «la dieta mediatica degli Italiani è sempre più orientata alla web tv e alla smart tv, ma tiene anche la tv tradizionale che guadagna terreno su altri device. Il 93 per cento dei giovani usa Whatsapp». A farne le spese sono i quotidiani, soprattutto quelli cartacei, passati dall’essere letti dal 67 per cento degli italiani nel 2007 all’attuale 25,4 per cento. E se «i telegiornali, pur mantenendosi in testa nella graduatoria dei mezzi utilizzati dagli italiani per informarsi, sono passati da una utenza del 60,1 per cento al 51,2 per cento. Facebook ha recuperato terreno: dal 30,1 per cento al 35,2 per cento».
Sul rapporto del Censis torna Michele Mezza, docente di Epidemiologia sociale dei dati e degli algoritmi presso l’Università di Napoli, con l’articolo dal titolo “Una politica sonnambula esorcizza il rapporto del Censis”[14]. Prendendo spunto dalla definizione data dai ricercatori dell’istituto, relativa a una società italiana che «sembra affetta da sonnambulismo», Mezza commenta che «siamo proprio immersi in una rivoluzione passiva – direbbe Gramsci – in cui il disagio sociale, che pure è avvertito, non innesta movimenti di protesta o rivolta, ma solo il brusio, ancora meglio un ronzio, di sciami in cui ogni singolo si industria per sfuggire alla propria condizione di subalternità», aggiungendo che «siamo in un clinamen al contrario, in una sorta di paralisi di ogni protagonismo pubblico, in cui, a differenza di quanto aveva intuito Epicuro, non si procede per correzioni progressive del destino, mediante un’azione polemica, conflittuale, ma si galleggia nel proprio ‘particulare’ da integrare con prebende o privilegi del momento».
Intelligenza artificiale tra algoretica e politica
Arturo Di Corinto, che opera nell’ambito della direzione Rapporti Istituzionali, Relazioni esterne e comunicazione, dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, affronta il tema doppio delle tematiche militari e tecnologico-digitali in “Cyber-Babel. La guerra fredda cibernetica è diventata calda”[15]. E lo fa osservando, da una parte, come si stiano ampliando i fronti di guerra nel mondo, dall’altro mostrando che i governi ormai «guerreggiano tra di loro con gli strumenti tipici della guerra ibrida, disinformazione, dazi, spionaggio e sabotaggio per conseguire i loro obiettivi politico-militari». L’autore cita alcuni esempi di questa guerra ibrida, dalla Palestina ad Israele, passando per hacktivisti e cyberkatiuscia, finendo con «gli Houti che minacciano di tranciare i cavi sottomarini di Internet, mentre Israele, guidata dall’Intelligenza Artificiale, colpisce con precisione i centri dell’intelligence siriana, le postazioni di Hezbollah in Libano e i tunnel di Hamas». Più a nord, «l’Esercito informatico ucraino rivendica interruzioni di corrente, blocco dei conti bancari e perfino di attività militari russe. I cyber-attivisti russi, filorussi e russofoni, fanno lo stesso, ogni giorno, tutti i giorni». Se ancora si sta tentando di valutare i danni di tali attacchi, si assiste al contempo alla saldatura e «sovrapposizione tra la criminalità informatica e la propaganda politica». Come se non bastasse, conclude Di Corinto, «ai problemi geopolitici vanno affiancati quelli regolamentari», esito della normativa sempre più stringente varata dagli Stati Uniti d’America e dall’Unione Europea.
Pieraugusto Pozzi, ingegnere, offre una lunga e approfondita analisi su “Le regole europee per lo spazio digitale. Pregi e difetti dell’AI Act prossimo venturo“[16], in cui si legge che «diverse modalità di definizione delle regole e dei rapporti tra governi e attori tecnologici definiscono tre modelli di tecnopolio digitale: Big State (Cina), Big Tech (Stati Uniti), Big Democracy o Big Rule (Europa)», specificando che «1. In Cina (e più limitatamente in Russia, per la dimensione ridotta dell’economia) il tecnopolio digitale è caratterizzato dal controllo sempre più stringente del potere politico (Big State) sulle imprese tecnologiche; 2. Negli Stati Uniti, le imprese tecnologiche sono state ampiamente finanziate nel loro sviluppo da programmi governativi per diventare portatori dell’innovazione a livello globale; 3. L’Europa nel digitale è un nano tecnologico con l’esclusione di alcune nicchie: seguendo la linea tracciata nel 2018 con il regolamento sulla tutela dei dati personali e nell’ampio quadro della Dichiarazione europea sui diritti e i principi digitali per il decennio digitale sottoscritta da Parlamento, Consiglio e Commissione, sta diventando un gigante regolatorio (Big Rule), all’avanguardia nella elaborazione delle nuove regole per il digitale».
A tal proposito, “Sicurezza fa rima con trasparenza”[17] è l’articolo di Michele Mezza in cui si mette in evidenza che, secondo quanto recita l’occhiello, “L’agenzia italiana di cybersecurity segue il Regno Unito sull’intelligenza artificiale”. In che senso? L’Agenzia Nazionale di Cibersicurezza (ANC) ha aderito alle “linee guida per uno sviluppo sicuro dell’Intelligenza Artificiale” promosse dal National Cyber Security Centre del Regno Unito, esattamente nel «mentre affioravano i nuovi progetti che lo stesso Altman con Microsoft stava incubando, che spostano ulteriormente la frontiera tecnologica dall’intelligenza artificiale generativa […] a quella definita “generale” che dovrebbe possedere la capacità di ragionare in maniera induttiva, scavalcando persino i limiti dell’addestramento». Di fronte a questa rivoluzione in atto l’Unione Europea arranca, mentre la decisione della nostra agenzia «ci permette di rimanere agganciati a uno dei pochi stati del circuito europeo tecnologico di una certa rilevanza, ma soprattutto apre una porta importante sulle prospettive di controllo e governo dei processi evolutivi dell’Intelligenza artificiale», considerando che il faro che guiderà ogni decisione di entrambe le agenzie sarà il controllo più stringente su «eventuali manomissioni e alterazioni». Sicurezza prima di ogni altra cosa.
Glauco Benigni, giornalista e saggista, in “European Digital ID Wallet. Le insidie del portafoglio digitale europeo”[18] affronta la questione del controllo dei dati da parte, almeno nel caso europeo, di soggetti estranei al nostro spazio continentale. Se ne rese conto già nel settembre 2020 la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, quando significativamente ammise di non sapere cosa ne sia dei nostri dati. L’autore da tali affermazioni ha tratto la convinzione che l’UE «si sia stancata del fatto che i satelliti dei “Five Eyes” (le nazioni anglofone) e social network raccolgano dati, li inoltrino ai loro servizi segreti e li vendano anche alle aziende multinazionali». Da qui è scaturito l’accordo tra Parlamento e Consiglio europeo (8 novembre 2023) che ha introdotto l’IT Wallet. In futuro «grazie all’IT Wallet sarà possibile accedere, tramite smartphone, a una serie di documenti personali», ma allo stesso tempo sarà introdotto uno strumento di controllo collettivo. L’autore spiega nel dettaglio i rischi insiti nel progetto.
Tecnologia e politica al centro dell’articolo di Michele Mezza, “Proprietà e regolamentazione delle nuove tecnologie: sinistra, batti un colpo!”[19], in cui l’autore sottolinea la distanza che separa l’attività politica dei partiti di opposizione e «i grandi centri monopolistici proprietari delle nuove tecnologie», domandandosi «di che cosa si dovrebbero occupare i dirigenti di una sinistra che vuole recuperare ruolo e spazio?». Se il tentativo degli organismi europei di regolamentare il campo delle tecnologie digitali è spesso sbandato «sotto i colpi delle lobby» favorendo soluzioni di compromesso «con l’illusione di poter proteggere imprese nazionali che sono dei nani tecnologici in confronto ai giganti della Silicon Valley», allo stesso tempo sul fronte «dell’uso interno, da parte di organi di polizia, delle tecniche di intelligenza artificiale […] il quadro si presenta più problematico. Infatti, è proprio sulle eccezioni ai divieti di ricorso a queste soluzioni di controllo che si è incagliato il negoziato. Molti Paesi, e il Consiglio europeo […] hanno cercato di strappare deroghe e opportunità per utilizzare strutturalmente questi sistemi polizieschi». «Il pretesto è quello della minaccia terroristica e, in molti casi, si profila un utilizzo in chiave anti-immigrazione o per colpire devianze di ogni tipo». Dunque, di fronte a tutto questo, si ritorna al punto di partenza e Mezza ribadisce i dubbi espressi fin dall’inizio: «perché questo silenzio? Perché non si colgono le inquietudini e le contraddizioni, che pure stanno affiorando, per ricostruire un modello di alleanze e rappresentanze che dia forza a una pressione negoziale»? Questo il compito che attenderebbe la sinistra.
Il giornalista, ex vicepresidente del Senato e già consigliere di amministrazione Rai Carlo Rognoni, in “Intelligenza artificiale: istruzioni per l’uso”[20] in tre brevi pezzi (1. La grande scommessa; 2. Intelligenza artificiale e medicina; 3. Intelligenza artificiale e arte) analizza le diverse applicazioni dell’AI e la sua capacità di competere con l’intelligenza umana. «Ray Kurzweil, ingegnere capo di Google […] aveva previsto che nel 1998 un computer avrebbe sconfitto il campione mondiale umano di scacchi. Ebbene già un anno prima il campione di allora Garry Kasparov fu battuto da Deep Blue, segnando l’inizio dell’ascesa di macchine intelligenti», ricorda l’autore fin dalle prime righe, ed è in un momento come questo in cui si presentano i timori e le speranze legate a una tale innovazione che ci si può permettere di osservare il futuro con un moderato ottimismo, come i due esempi (medicina, arte) starebbero a dimostrare.
“L’intelligenza artificiale renderà obsoleta la programmazione?”[21] è l’interrogativo ma anche il titolo del breve articolo di Paolo Anastasio, giornalista specializzato in ICT, Digital Economy e Telecomunicazioni, il cui incipit dice già molto sulla questione: «è incredibile pensare che, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale generativa, basta saper scrivere per saper anche scrivere programmi. Ma non è così semplice». Specifica, infatti, Anastasio che «l’intelligenza artificiale generativa rende le cose più facili, ma non le rende facili», tra “allucinazioni” o bug, scrittura di descrizioni verbali su persone e compiti. Conclude l’autore che «considerare la programmazione in generale come l’atto di far eseguire a un computer i comportamenti che si desidera esegua suggerisce che, alla fine, non è possibile sostituire gli individui che decidono quali dovrebbero essere tali comportamenti».
Imprese, arte creativa e società digitale
Apre la sezione un intervento di Michele Mezza, “L’ingovernabilità delle imprese digitali. Il balletto di Sam Altman fra OpenAI e Microsoft”[22], con una constatazione che non può che apparire veritiera: «le aziende digitali sembrano più dei partiti politici, dove i voti si pesano in ragione della rappresentanza che esprimo, rispetto alle aziende tradizionali, dove invece si contano in misura del peso dei proprietari». Giungendo così a una conclusione che passa attraverso ciò che egli definisce il “balletto” di Sam Altman nell’ambito delle Big Tech che si occupano di sviluppare l’intelligenza artificiale. E tale conclusione è che «la natura di un’impresa digitale è oggi forse la vera novità del nuovo corso dell’economia del calcolo. Un’impresa che deve intrecciare efficienza e consenso, rendendo sempre instabile e momentaneo il controllo dei proprietari».
Luigi Garofalo, neodirettore responsabile di Key4biz, giornalista esperto in cybersecurity, innovazione tecnologica e sanità digitale, in un pezzo intitolato “Base scientifica solida per Neuralink. Tecnologia meno invasiva con grandi vantaggi per diversi pazienti. Tre domande a Silvestro Micera”[23], intervista il professore presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e presso l’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna, componente del Comitato per l’Intelligenza Artificiale (AI) guidato dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Alessio Butti, il quale ha dichiarato che «sia nel nostro Paese sia in Europa abbiamo centri di eccellenza per le neurotecnologie e la medicina bio-elettronica. Ben vengano più fondi».
Flavio Fabbri, giornalista pubblicista operativo nel settore della transizione digitale, ecologica ed energetica, innovazione e cultura tecnologica, nell’articolo “In vigore l’European Data Act (EDA) tra sovranità e geopolitica dei dati”[24] spiega come l’entrata in vigore della normativa sui dati offra una garanzia in più in merito alla sovranità dei dati e dello spazio digitale per l’intera Unione europea, che a sua volta sbloccherà definitivamente la crescita economica trainata dalle nuove tecnologie e dai nuovi servizi all’interno del mercato unico. Ma non solo, perché la geopolitica dei dati necessita di guardare sempre con maggiore attenzione alle mosse degli attori globali, con nuove alleanze e strategie da concordare.
Il vicepresidente esecutivo dell’Osservatorio dei sistemi ADR (Alternative Dispute Resolution) il giurista Giammario Battaglia, in “Il capitalismo neuronale. Verso la singolarità”[25] prevede un salto di qualità a breve termine, sostenendo che «in un futuro non molto lontano il welfare state potrebbe essere sostituito da più sistemi di welfare neuronale anche senza dover necessariamente sperimentare forme di reddito universale, perché il welfare state […] può considerarsi praticamente l’ultima fase dello Stato moderno». L’autore specifica che «per welfare neuronale deve intendersi un ecosistema neuronale, gestito da una o più intelligenze artificiali, in grado di connettere in rete, comunità più o meno estese di uomini – fonti di input e output dati – al fine di produrre e distribuire beni e servizi, sulla base delle risorse disponibili». Ne deriva che una tale trasformazione dell’economia e della società pone degli inquietanti interrogativi che spingono l’autore a concludere che «la creazione di più sistemi capitalistici di welfare neurale dovrà divenire, necessariamente, una priorità da perseguire da parte dei Parlamenti per evitare di giungere ad un pericoloso punto di non ritorno.
Segue un articolo scritto dall’artista Roberto Giavarini, artista, pittore, fotografo, compositore e interprete musicale, “Perché la Cryptoart non può fare a meno degli NFT” in cui presenta “il Progetto Cryptoart-NFT. Un manifesto per sancire l’originalità dell’opera d’arte virtuale”[26]. L’autore afferma che «la cryptoart, a differenza di quanto si possa pensare, così come qualsiasi forma digitale, si basa sul medesimo concetto dell’arte fisica, antica e moderna che sia», ovvero che «invece di trattarsi di un pigmento che si attacca a una superficie, l’arte digitale si manifesta da microparticelle (pixel) che si illuminano ognuna di un preciso colore» su uno schermo. Pertanto, è arte anch’essa come quella fisica e solamente «il NFT dell’opera d’arte virtuale sancisce che quell’opera è l’unica originale, la sola che possiede l’aura creatrice dell’artista». Giavarini conclude che «nessuna riproduzione materiale può sostituire l’opera originale perché essa soltanto possiede il mistero unico e irripetibile della creazione».
Conclude questa seconda parte una riflessione di Michele Mezza, “Il ridimensionamento della figura dell’autore imposto dalle nuove tecnologie. A proposito di una mostra su Italo Calvino”[27], anticipata, come recita l’occhiello, dalla constatazione che “lo scrittore aveva messo nel conto il ridimensionamento della figura dell’autore imposto dalle nuove tecnologie” già alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. La mostra alle scuderie del Quirinale è il pretesto quindi per analizzare una questione che solo superficialmente può essere trattata in modo spregiativo, in un confronto tra intellettuali e massa incolta, ma che urge invece di un confronto proprio in merito all’impatto della società con la tecnologia digitale, la quale «ci mostra, con brutale evidenza, cosa sia realmente al centro della scena: uno spettacolare fenomeno di disintermediazione, che riduce le distanze fra élite e subalterni, spostando il potere di controllo dai centri intellettuali alle grandi piattaforme. Dagli Stati agli individui, dai professionisti ai dilettanti». Aggiunge Mezza che, pur di fronte a tale disintermediazione «non siamo alla vigilia del comunismo, quanto piuttosto di una nuova forma di capitalismo, quello della sorveglianza, in cui i nuovi giganti sono le piattaforme, i titolari dei dati e degli algoritmi». Ed è così che «in questo gorgo si disegnano ora le nuove gerarchie, non più sulla base di ciò che si sa, ma grazie a quello che si è capaci di utilizzare delle protesi digitali». Forse anche questo esito un intellettuale del Novecento come Calvino era stato in grado di intuirlo.
[1] https://www.ilmondonuovo.club/cento-anni-di-radiofonia-e-settantanni-di-televisione-in-italia-democrazia-futura-tecnhe/.
[2] https://www.ilmondonuovo.club/2-le-prime-avvisaglie-del-caos-radiotelevisivo-nella-penisola-democrazia-futura-techne/.
[3] https://www.ilmondonuovo.club/3-lanno-zero-del-sistema-misto/.
[4] https://www.ilmondonuovo.club/4-1976-anno-uno-del-sistema-misto-prima-ancora-della-svolta-politica-nel-paese/.
[5] https://www.ilmondonuovo.club/5-linizio-della-competizione-sugli-ascolti-in-seno-al-servizio-pubblico-senza-quasi-accorgersi-dei-nuovi-potenziali-concorrenti/.
[6] https://www.ilmondonuovo.club/6-la-ricerca-di-equilibri-piu-avanzati-nel-sistema-politico-e-in-quello-della-comunicazione/.
[7] https://www.ilmondonuovo.club/7-la-terza-sentenza-della-corte-costituzionale-n-202-del-28-luglio-1976/.
[8]https://www.giampierogramaglia.eu/2023/12/03/il-futuro-della-comunicazione-pubblica-in-europa-e-quindi-anche-in-italia/.
[9] https://www.key4biz.it/le-politiche-per-laudiovisivo-la-situazione-italiana-tra-mercato-e-pregiudizi/466395/.
[10] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-unoccasione-per-la-riforma-della-governance-rai/481000/ .
[11] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-agcom-presentata-la-relazione-al-parlamento-2023/473682/.
[12] https://www.key4biz.it/approvato-il-contratto-di-servizio-entusiasmo-rai-ma-scenari-incerti-riforma-del-tax-credit-cinema-in-gestazione-a-porte-chiuse/476301/.
[13] https://www.key4biz.it/censis-9-italiani-su-10-usano-internet-e-smartphone-tv-tradizionale-in-calo-ma-tiene-cresce-la-web-tv/470095/.
[14] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/12/04/una-politica-sonnambula/.
[15]Su richiesta dell’autore non è stata pubblicata nessuna anticipazione on line.
[16] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-le-regole-europee-per-lo-spazio-digitale/479114/.
[17] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/11/28/sicurezza-fa-rima-trasparenza/.
[18] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-european-digital-id-wallet-le-insidie-del-portafoglio-digitale-europeo/483975/.
[19] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/12/13/proprieta-e-regolamentazione/.
[20] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-intelligenza-artificiale-istruzioni-per-luso/480679/.
[21] https://www.key4biz.it/lintelligenza-artificiale-rendera-obsoleta-la-programmazione/470566/–
[22] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/11/20/lingovernabilita-delle-imprese-digitali/.
[23] https://www.key4biz.it/base-scientifica-solida-per-neuralink-tecnologia-meno-invasiva-con-grandi-vantaggi-per-diversi-pazienti/477853/.
[24] https://www.key4biz.it/in-vigore-lo-european-data-act-tra-sovranita-e-geopolitica-dei-dati/474817/.
[25] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-capitalismo-neuronale/483022/.
[26] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-perche-la-cripto-arte-non-puo-fare-a-meno-degli-nft/481619/.
[27] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/11/06/il-ridimensionamento-della-figura-dellautore-imposto-dalle-nuove-tecnologie/.