informazione come arma

La cybersecurity per difendere i dati e l’autonomia di un Paese

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Cybersecurity non è solo la difesa delle casseforti dei propri dati, ma soprattutto capacità di preservare l’integrità della spera pubblica, di quella agora dove ognuno di noi forma la propria consapevolezza di cittadino e cultura.

AI e pianificazione chirurgica di un attacco

In realtà cosa cercavano quegli agenti russi che a Milano e Roma miravano alle registrazioni dei circuiti di telecamere di sicurezza in diversi quartieri?

Forse ci aiuta a rispondere al quesito la conduzione della guerra israeliana a gaza. Come vediamo in molti filmati, gli ultimi bombardamenti si sono fatti sempre più ferocemente focalizzati. Sembra che siano dei laser a colpire singoli palazzi che si sbriciolano, lasciando intatti gli edifici attigui.

Si tratta di una pianificazione chirurgica del conflitto basato su un sistema di intelligenza artificiale, chiamato Lavander, che permette di elaborare una massa poderosa di dati sia testuali che video, per tracciare i movimenti di un ingente numero di bersagli. In questo modo si georeferenziano interi quartieri, dove si identificano la residenza dei nemici che si vogliono eliminare.

Avere informazioni sulla disposizione territoriale e le frequentazioni di singole località significa poter poi programmare interventi, non necessariamente cosi distruttivi come a Gaza, che individuano ogni singolo soggetto che si sta seguendo, collocandolo in una specifica parcella territoriale.

Questa è oggi quella che appunto gli israeliani chiamano Mapam, un acronimo in lingua ebraica, che significa “la guerra fra le guerre”.

Cybersecurity, il cuore del sistema digitale

Come scrivo in un mio saggio in libreria in questi giorni (“Connessi a morte: Guerra, media e democrazia nella società della Cubersecurity”, Donzelli editore), siamo ormai nel pieno di questa guerra fra le guerre, in cui i combattimenti sono alternati a fasi di aggressione digitale, per acquisire dati e informazioni.

Al centro della scena è per questo la cybersecurity, una tecnicalità che da puro servizio accessorio è diventata il cuore del sistema digitale. La posta in palio è quella capacità di interferenza nel senso comune di un paese avversario che, secondo il Capo di Stato maggiore russo, Valerij Vasil’evič Gerasimov, è oggi la nuova forma di conflitto globale. Si combatte proprio alterando e manipolando l’autonomia di un paese, la sua sovranità semantica, l’autodeterminazione della propria informazione.

Per questo è importante intrecciare competenze tecnologiche e visioni geo politiche in un confronto trasversale quale quello organizzato da Key4biz a Milano il prossimo 28 Novembre.

In quel contesto, concetti come sistema giornalistico, servizio pubblico radiotelevisivo, apparati di sicurezza e vigilanza nella cybersecurity troveranno una prima reciproca contaminazione.

Gli effetti delle tecnologie generative sull’informazione

In particolare è proprio il mondo dell’informazione che deve riflettere su questa evoluzione socio antropologica. Il concetto di separatezza dell’informazione dalle strategie istituzionali, che per molti anni ha guidato la tradizione professionale del giornalismo, oggi deve fare i conti con una dimensione in cui le nuove tecnologie generative stanno dissestando qualsiasi certezza nell’identificazione delle fonti autentiche di una notizia. I giornalisti, e più in generale gli operatori dell’informazione si trovano spalla a spalla con figure ambigue, apparati e saperi protesi ad usare l’informazione come un’arma propria di attacco alla sovranità di un paese.

Questo ovviamente non significa minimamente che i giornalisti devono rassegnarsi ad essere imbeded delle proprie autorità nazionali, oppure che un apparato così complesso e corposo come la Rai debba diventare prolungamento dei sistemi di vigilanza. Ma certamente dobbiamo renderci conto che qualcosa è cambiato non tanto nel fatto che siamo in un clima bellico, lo siamo stati in passato, e non sarebbe una novità.

Se l’informazione è in grado di sovvertire intere comunità

La vera sorpresa è che gli strumenti e le categorie dell’informazione della produzione materiale delle notizie oggi coincidono con quella logistica militare che pianifica la sovversione di intere comunità, alterando nominativamente contenuti e senso comune. Esattamente come agiscono dispositivi apparentemente più frivoli, come Spotify o Netflix, o lo stesso Google, sulla base di un tappeto di dati circostanziati su ogni singolo utente, così oggi i gruppi di corsari dell’informazione, lavorano sulle attitudini e visioni individuali di milioni di cittadini.

In questa logica cybersecurity non è solo la difesa delle casseforti dei propri dati, ma anche, e io direi soprattutto, capacità di preservare l’integrità della spera pubblica, di quella agora dove ogni cittadino si forma la propria concezione e cultura.

Pensiamo a cosa possa significare appaltare i propri dati a gruppi tecnologici esterni, oppure affidare a centri esteri le proprie telecomunicazioni, o infine non dotare le proprie infrastrutture di comunicazione di quei saperi e abilità nella gestione dei linguaggi digitali che li costringe poi ad essere clienti, che in questo mercato significa essere subalterni, a fornitori multinazionali.

Se davvero, come dice Quiao Liang, un colto generale cinese autore del saggio “L’arco dell’impero” (LeM editore), “La guerra è sempre cospirazione”. Oggi dobbiamo concludere che l’autonomia di un paese si preserva proprio riconoscendo questa cospirazione in tempo di pace, senza complottismi ma nemmeno ingenuità.

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