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Cresce la tensione sul “Tax Credit”, all’Afm di Las Vegas l’Italia invita i produttori americani a venire a girare in Italia, ma in Italia il sistema continua ad essere paralizzato  

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La Sottosegretaria Borgonzoni: “c’era bisogno di nuove regole per evitare che diventasse un luogo di sprechi”, e annuncia la proposta di un “presidio” della Guardia di Finanza all’interno della Direzione Cinema e Audiovisivo del Mic.

La situazione della “riforma Borgonzoni” della Legge n. 220 del 2016 (la cosiddetta “Legge Franceschini”) diventa più complicata giorno dopo giorno, così come il riavvio dell’intervento pubblico nel settore cinematografico e audiovisivo, dopo due anni di sostanziale paralisi: paradossale che nella sera di venerdì 8 novembre la delegazione italiana in missione all’American Film Market (Afm) a Las Vegas presentava – come se nulla fosse – il “tax credit internazionale”, e peraltro nella stessa serata la Direzione Cinema e Audiovisivo denunciava che il sito web del Ministero aveva subito un attacco di pirateria informatica…

L’indomani, sabato 9, è stato lo stesso Ministro Alessandro Giuli a riconoscere che il sistema di accesso al credito di imposta era stato “hackerato”, sostenendo che l’episodio “genera delle riflessioni sulla necessità di proteggere in termini di cybersecurity il nostro organismo digitale”, intervenendo a “Prima le idee. Ritorno al futuro”, evento organizzato ad Andria (in provincia di Bat alias “Barletta-Andria-Trani) dal gruppo di Fratelli d’Italia della Camera. Nella stessa occasione, il Ministro ha replicato alle accuse rivolte nei suoi confronti, come quella di voler “defranceschinizzare la cultura”, che è “la chiara ammissione che la cultura è stata franceschinizzata”, ha commentato. “Non esistono ministri tecnici”, ha sostenuto poi, ribadendo che “il fatto che io non abbia una tessera di partito, non significa che io non sia espressione” di FdI”. Ha una risposta pronta anche per chi si è preso gioco del suo linguaggio, il “Giuliese”: “se uno si fa mettere in Commissione Cultura la parola “apocalittismo” non dovrebbe terrorizzarlo. Questa cosa è stata satirizzata e va bene così, è ovvio che poi ci sono delle strumentalizzazioni”.

Cresce a vista il numero dei film… “sospettati”?! Dai 130 film di 21 società del 28 ottobre (“Quarta Repubblica”) ai 170 film di 33 società del 9 novembre (“il Fatto Quotidiano”)

Nella stessa giornata, “il Fatto Quotidiano” titolava il 9 novembre a piena pagina “Tax credit, ora indaga la Finanza: 170 film finanziati sono ‘sospetti’”, in un articolo firmato da Vincenzo Bisbiglia.

Si leggeva “Accertamenti fiscali. Il dicastero ha consegnato alla Guardia di Finanza, la lista di opere contestate: 33 le case di produzione”, e, ancora, “Pellicole-flop di Natale. I controlli sono partiti da Minerva Pictures; i titoli con Alec Baldwin e suo fratello William” (si ricordi en passant che Minerva è la società di Gianluca Curti, che è anche Presidente di una delle associazioni dei produttori indipendenti, la Cna – Cinema e Audiovisivo).

L’indomani, domenica 10, sempre Bisbiglia tornava a martellare: “Tax Credit anche ai cartoon: pagati 110mila € al minuto”…

Il giornalista del quotidiano diretto da Marco Travaglio rivela che venerdì la Sottosegretaria delegata Lucia Borgonzini ha chiesto l’elenco alla Direzione Cinema e Audiovisivo “per avere un quadro completo della situazione dei titoli segnalati a tale data”.

Tra le società che hanno prodotto più titoli, dei circa 170 “segnalati”, ce ne sarebbero addirittura ben 51 realizzati dalla Ilbe, acronimo che sta per Iervolino & Lady Bacardi Entertainment, impresa che nelle settimane scorse ha vissuto un profondo travaglio interno, secondo alcune fonti anche perché era giunta voce giustappunto di un “approfondimento” da parte della Guardia di Finanza: a fine ottobre i soci di maggioranza di Ilbe hanno intrapreso un’azione di responsabilità nei confronti dell’ex Ceo Andrea Iervolino, decidendo di cambiare il nome della società in Lady Bacardi Media (Lbm). Le azioni della Ilbe sono state revocate dalle negoziazioni sul mercato Euronext Growth Paris. Una questione complicata.

Per amor di verità, e per gusto di precisione, va comunque precisato che era stata la trasmissione condotta da Nicola Porro, “Quarta Repubblica”, nella sua edizione di lunedì 28 ottobre, a rivelare in anteprima un dato fornito dalla Dgca di Nicola Borrelli sulle opere “sospette”: se Porro evidenziava che fossero “130 film di 21 società” i film “sospetti”, a distanza di una decina di giorni, Vincenzo Bisbiglia su “il Fatto” eleva la quantità, “170 film di 33 società”… Su queste opere, la Guardia di Finanza starebbe sviluppando “accertamenti”.

Come dire?! La lista s’allarga a vista d’occhio?! Nell’arco di pochi giorni: + 40 film e + 22 società!

Nell’articolo di domenica 10, “il Fatto”, segnala che ai 170 titoli segnalati il giorno prima, se ne sarebbero aggiunti altri 3 di animazione. Saremmo quindi a quota 173 titoli sospettati?!

E perché il Ministro della Cultura Alessandro Giuli non rende di pubblico dominio quest’elenco?

La Sottosegretaria Lucia Borgonzoni: “bisogno di nuove regole per evitare gli sprechi, ma dal settembre 2022 esiste un protocollo d’intesa tra Mic e Guardia di Finanza, voluto dall’allora Segretario Generale del Mic Salvatore Nastasi”

La Sottosegretaria leghista ha dichiarato a “il Fatto”: “il credito d’imposta è uno strumento automatico, utilizzato in moltissimi Paesi del mondo per aiutare lo sviluppo delle produzioni audiovisive, strumento di crescita per il Pil e l’occupazione. C’era però bisogno di nuove regole per evitare che diventasse un luogo di sprechi”, annunciando la proposta di un presidio della Guardia di Finanza all’interno della Direzione Cinema e Audiovisivo del Mic, per effettuare i controlli in tempo reale, anche in virtù di un “protocollo d’intesa” sottoscritto il 26 settembre 2022 dall’allora ancora Segretario Generale del Ministero, Salvatore Nastasi (divenuto poi Presidente della Società Italiana degli Autori e Editori alias Siae nell’ottobre del 2022 e nell’ottobre 2024 della Fondazione Cinema per Roma), quando il Ministro era ancora Dario Franceschini.

Il “protocollo” Mic-GdF sarebbe stato quindi siglato il giorno dopo le elezioni politiche del 2022, poche settimane prima dell’insediamento di Giorgia Meloni (e di Gennaro Sangiuliano), il 22 ottobre 2022.

Curiose tempistiche…

La dichiarazione della senatrice leghista assume particolare importanza, perché significa una pur tardiva coscienza rispetto al mal funzionamento dello strumento del credito d’imposta, da tanti decantato (anzi esaltato!) fino a quando, nella primavera del 2023, l’allora Ministro Gennaro Sangiuliano ha deciso di mettere in atto delle “correzioni di rotta”, condividendo l’allarme manifestato dal suo collega del Mef Giancarlo Giorgetti.

Deficit vari e variegati: di dati, di analisi, di valutazioni,di controlli

Nelle scorse settimane – come abbiamo ben illustrato su queste colonne – la situazione è stata evidenziata dai riflettori di diverse trasmissioni della televisione generalista – da “Striscia la Notizia” su Canale 5 a “Piazza Pulita” su La7, passando per “Quarta Repubblica” su Rete4 – ma finora l’attenzione dei quotidiani su carta è stata sostanzialmente modesta, anzi quasi inesistente (fatta salva l’eccezione de “il Fatto” e di “Domani”). Si rimanda al dossier IsICult, “Cinema. Quando la televisione se ne occupa, facendolo uscire dalla nicchia”, su “Key4biz” del 4 novembre 2024.

Come dimostrato, ormai da anni, dall’Istituto italiano per l’Industria Culturale, il problema dell’intervento pubblico a favore del cinema e dell’audiovisivo ha un vizio “genetico” essenziale: deficit di dati, deficit di analisi, deficit di valutazioni, deficit di controlli.

Il “deficit” è sia a livello micro (controlli nei consuntivi delle singole opere prodotte con l’aiuto dello Stato…) sia a livello macro (gestione delle risorse del Fondo Cinema e Audiovisivo, che è stato “splafonato” per oltre 500 milioni di euro nell’arco di pochi anni)…

La lista dei 170 titoli incriminati non è stata resa di pubblico dominio.

Il protocollo d’intesa richiamato dalla Sottosegretaria Lucia Borgonzoni è notizia totalmente inedita.

Se, a distanza di oltre 2 anni da quel “protocollo” Mic-GdF, la situazione emerge ormai come “fuori controllo”, naturale sorge la domanda: in questo lasso di tempo, la Direzione Cinema e Audiovisivo non si è resa conto della deriva in corso?

Ricordiamo che soltanto il 31 agosto 2024, in quel del Festival del Cinema di Venezia, il Dg Nicola Borrelli ha riconosciuto pubblicamente che c’è un “buco” di oltre 500 milioni di euro, e che se il Ministero non avesse chiuso i rubinetti per i due anni 2023 e 2024, tutto il meccanismo del “Tax Credit” sarebbe saltato per addirittura 2 se non 3 anni: questa è la vera ragione per la quale la gestazione della riforma della Legge Franceschini è stata strumentalmente ritardata… per non appesantire il buco nelle casse dello Stato.

È opportuno ricordare – ancora una volta – che, però, fino allo “stop” imposto da Gennaro Sangiuliano la quasi totalità degli operatori del settore continuavano a descrivere lo scenario del sistema cinematografico e audiovisivo italico come eccezionale, fantastico, favoloso… E, con loro, il Ministro pro-tempore, e la stessa Sottosegretaria.

Chi aveva l’ardire di segnalare che il sistema era a rischio veniva additato come un terrorista, un catastrofista, un profeta di sventura, uno jettatore insomma.

E nessuno mai dei principali “big player” ha sentito l’esigenza, dal 2017 al 2024, di pretendere dal Ministero della Cultura studi e indagini e ricerche, autentiche “valutazioni di impatto”, che potessero finalmente descrivere la “vera verità” del sistema, e magari identificare, per tempo, e finanche prevenire, le patologie emerse a causa di un deficit estremo di controlli…

Insomma, “nessuno” sembra essersi reso conto, dall’anno 1° della Legge Franceschini (2017), che si stava troppo correndo, aumentando la velocità, verso il burrone, con uno Stato sempre più generoso, che iniettava nel serbatoio una quantità crescente di benzina…

Come dire?! Il “motore” – alla fin fine – s’è imballato.

La “bolla”, alla fin fine, è scoppiata, e ora si registrano tante lacrime di coccodrillo. Michele Lo Foco (Csca) denuncia: “una narrazione surreale, un enorme equivoco finanziario ai danni dello Stato”

Come non condividere le tesi amare manifestate ieri domenica 10 novembre dall’avvocato Michele Lo Foco (voce dissidente all’interno del Consiglio Superiore del Cinema e Audiovisivo, quel Csca massimo organo di consulenza del Ministero della Cultura, presieduto dall’avvocatessa Francesca Assumma), sul blog “Salvis Iuribus”, in un post intitolato efficacemente “La verità fa male”?!

Scrive l’eterodosso giurista: “leggere che la Sottosegretaria del Ministero della Cultura si è accorta in questo periodo che qualcosa nel tax credit non ha funzionato, e che quindi c’è stata qualche disfunzione, ma che già nel 2022 Franceschini su sollecitazione di Nastasi, si era preoccupato di sottolineare il fenomeno, oltre a lasciare sbigottiti, rasenta una narrazione surreale che ha il difetto di mascherare un fenomeno gravissimo, e cioè un enorme equivoco finanziario ai danni dello Stato”.

Spiega Lo Foco: “che molte società abbiano approfittato di una norma, fatta volutamente male, per arricchirsi, non è incarico da Guardia di Finanza, ma basta un bambino di cinque anni per capire che, da quando è stata promulgata la famosa legge, i budget dei film si sono decuplicati e le società straniere si sono precipitate nel nostro Paese per approfittare della manna statale, benevolmente definita il ‘bancomat’ tax credit. Ricordiamo che questa espressione efficace è stata utilizzata pubblicamente dallo stesso Direttore Nicola Borrelli.

E non è difficile nemmeno capire che Cinecittà, senza il tax credit, è destinata a desertificarsi?”

Gli “studios” di Via Tuscolana (affidati dal luglio 2024 alla guida di Manuela Cacciamani – già alla guida della One More Pictures – come Amministratrice Delegata, ed alla riconfermata Presidente Chiara Sbarigia) stanno registrando un calo di fatturato? Secondo alcune fonti Fremantle – alias Rtl alias Bertelsmann –non starebbe dando seguito alla convenzione stipulata nel febbraio 2022, che doveva avere durata quinquennale e prevedeva l’affitto continuativo di 6 “studi”… Appena Fremantle ha capito che il rubinetto statale si sarebbe chiuso a causa del blocco del “Tax Credit”, ha spostato altrove le tende?

E si ricordi che, a fine settembre di quest’anno, Endemol ha lasciato Via Tuscolana, per trasferire “Il Grande Fratello” negli studi di Lumina, nel Parco di Veio (ovvero il Centro Titanus Elios, una joint-venture tra Titanus spa e Rti spa Mediaset)… Come abbiamo scritto, se lo Stato chiude i rubinetti, “il sistema” crolla come un castello di carte.

E che dire del Tax Credit esterno? “Già qualche anno prima della legge franceschiniana del 2016, a partire dal 2014, si era verificata, col medesimo Ministro, la sceneggiata del tax credit esterno, che pur con meccanismi più sofisticati, e con la complicità di alcune banche, aveva fatto perdere allo Stato un centinaio di milioni: anche allora nessuno si era accorto di nulla, o meglio nessuno aveva ritenuto di intervenire, perché a giocare erano società potenti e autorevoli, e ci fu bisogno della stampa e di Report per scoperchiare la pentola”.

Si ricordi che il 18 aprile 2017 andò in onda una puntata del programma guidato dal 1994 fino al 2016 da Milena Gabanelli e da Sigfrido Ranucci dal 2017, dal sintomatico titolo “Che spettacolo!”, firmato da Giorgio Mottola (con la collaborazione di Ilaria Proietti). Rivederla a distanza di sette anni è interessante:sia sul tema “Tax Credit” sia sul tema “Cinecittà”… Si leggeva nella sinossi della puntata: “Un miliardo e duecento milioni: è il contributo di cui ha beneficiato l’industria cinematografica italiana negli ultimi cinque anni, più di tanti altri settori a cui è precluso l’aiuto di Stato. Con i soldi del contribuente è discutibile salvare una banca, secondo l’Unione Europea, ma sovvenzionare il cinema si può: è una questione di identità culturale. Che film abbiamo finanziato per il loro interesse culturale?”.

Come dire?! I segnali di allarme sono noti da tempo. Fin dall’anno 1° della Legge Franceschini.

Se qualcuno – a livello istituzionale (e politico) – li avesse voluti cogliere per tempo.

Se qualcuno – a livello istituzionale (e politico) – avesse maturato la coscienza dell’esigenza di “governare il sistema” con una adeguata strumentazione tecnica, con la indispensabile “cassetta degli attrezzi”.

Ed invece niente di tutto ciò: governo nasometrico ed ubriacatura collettiva.

Tanto lo Stato ha continuamente allargato, anno dopo anno, i cordoni della borsa…

Ed ora si cerca di chiudere il recinto, quando i buoi sono scappati…

Il sostegno pubblico al settore cine-audiovisivo è passato dai 140 milioni di euro del 2016 ai 746 milioni del 2022. Senza adeguate valutazioni. Senza adeguati controlli. Un fiume di denaro, un’ubriacatura collettiva

Si ricordi che il sostegno pubblico al settore cine-audiovisivo è passato dai 140 milioni del 2016, ai 400 milioni del 2017 (anno 1° della Legge Franceschini) per arrivare al picco di 746 milioni di euro nel 2022 (anno 6° della Franceschini).

Di quel periodo e dei meccanismi perversi scoperti dalla Finanza, non si è saputo nulla, e pare che molti reati si siano prescritti, ma la cura è certamente stata peggiore della malattia – sostiene l’avvocato Lo Foco – se con il tax credit interno si è pensato di dare al cinema e alla televisione gratuitamente e lecitamente quello che prima veniva arraffato con quello esterno”.

Le conseguenze? “Le cifre si sono moltiplicate e se è vero che ad oggi raggiungono i tre miliardi e cinquecento milioni, milione più milione meno, e che il fiume di denaro continua a fluire, vuol dire che i vertici hanno deciso di considerare i reati audiovisivi tollerabili, forse auspicabili se non addirittura graditi”.

Michele Lo Foco denuncia a chiare lettere (ovvero riassume tesi che manifesta da anni, in beata solitudine, assieme a chi cura questa rubrica IsICult per il quotidiano online “Key4biz”): “certamente la propaganda ministeriale ha diffuso l’armoniosa panzana che il tax credit fosse democratico e non truffaldino, consentendo a tutti di approfittare della liberalità statale, e addirittura che ogni 1 euro speso ne avrebbe fatti guadagnare 3,50: il risultato è stato che le società accreditate e agevolate hanno raccolto centinaia di milioni di euro, con la complicità delle banche, e quelle piccole si sono accontentate di arrotondare i loro budget con difficoltà inenarrabili”. E ironizza: “ogni euro speso pare poi abbia incrementato la produzione di carote e di qualche altro ortaggio, almeno così narra la Cassa Depositi e Prestiti”. In effetti, nei telegrafici report prodotti da Cdp per Anica emerge che le ricadute dell’intervento dello Stato nel settore cine-audiovisivo avrebbero effetti benefici (grazie ai “moltiplicatori” ovvero agli “impatti diretti e indiretti”) anche nel settore… agricolo!

In compenso, la nostra industria è ormai composta principalmente da società straniere, sia nella produzione, ove il tax credit ha favorito l’acquisto delle quote, sia nella distribuzione, già presidiata dai giganti americani, sia nell’esercizio, in quanto più di metà degli schermi sono in mano a fondi americani e cinesi”.

Per la produzione, basti citare la Wildside (controllata da gruppo Fremantle alias Rtl alias Bertelsmann), Palomar (acquistata per il 72 % da Mediawan), Indiana (controllata da Vuelta Group), Lux Vide (il 70 % è in mano a Fremantle)…

Per la distribuzione, il mercato è in prevalenza nelle mani delle “major” vecchie e nuove, dalla Warner Bros Discovery (20 % del totale dei biglietti venduti nel 2023) alla Disney (17 %), passando per la Universal alias NbcUniversal controllata da Comcast e General Electric (16 %): soltanto queste 3 multinazionali controllano oltre il 50 % del “box office” italico…

Per quanto riguarda l’esercizio, il riferimento è ai due maggiori circuiti “theatrical” italiani, The Space e Uci Cinemas”, rispettivamente in mano a capitali cinesi e americani: The Space è controllata dal gruppo taiwanese Vue Entertainment International; Uci della statunitense Amc Theatres. Nell’anno 2023, il circuito “The Space Cinema” ha registrato in Italia ben 13,0 milioni di biglietti venduti, a fronte dei 12,8 milioni di “Uci Cinemas”: complessivamente 25,6 milioni su un totale di biglietti venduti 70,6 milioni (fonte: Cinetel), ovvero il 37 %. In sostanza, 4 spettatori cinematografici su 10, in Italia, vanno nei multiplex delle due multinazionali. E ciò basti…

E, ancora: “per non parlare poi dei prodotti televisivi, che non si sa (o meglio si sa), perché debbano avere il tax credit quando è l’emittente a pagare tutto e che rastrellano dallo Stato più dei prodotti cinematografici, cui era destinata la sovvenzione”. In un recente intervento su “Key4biz” ha dimostrato come quasi il 50 % del flusso del credito d’imposta è andato a beneficio della produzione audiovisiva, a fronte di poco più del 30 % per la produzione cinematografica. Scrivevamo pochi giorni fa: perché il 47 % della dotazione totale del “tax credit” (2,1 miliardi di euro dal 2017 al 2024) è andato a favore della televisione, a fronte del 31 % soltanto del cinema? L’Istituto italiano per l’Industria Culturale ha dimostrato su queste colonne come, nel periodo 2017-2024, gli oltre 2 miliardi di euro assegnati dal Ministero della Cultura al “Tax Credit” siano andati prevalentemente a favore della produzione di “fiction” televisiva piuttosto che di “film” cinematografici: 1.008 milioni di euro la fiction, 659 milioni il cinema-cinema… Naturale sorge il quesito: “chi” ha deciso e (soprattutto) “perché” che il 47 % della dotazione totale del credito d’imposta dovesse andare a favore della televisione, a fronte del 31 % soltanto del cinema? Senza dimenticare i ben 323 milioni a favore delle opere straniere girate in Italia (altra questione dolente, con la logica del “prendi i soldi e scappa”…) ed i 61 milioni di euro destinati ai videogames e gli altri 61 milioni di euro per il cosiddetto tax credit “esterno” (si rimanda a “Key4biz” del 29 ottobre 2024, “Il Ministero della Cultura rivela a “Quarta Repubblica” che 130 film di 21 società di produzione cine-audiovisiva segnalati alla Guardia di Finanza”)…

Un disastro del quale nessuno si preoccupa: eppure lo Stato quest’anno non ha erogato 1 euro a nessuno, perché le casse erano e sono vuote… il debito consolidato è di circa 1 miliardo di euro…

E conclude Lo Foco: siamo di fronte ad “un disastro del quale nessuno si preoccupa: eppure lo Stato quest’anno non ha erogato 1 euro a nessuno perché le casse erano e sono vuote, e l’anno prossimo si preannuncia ancora peggiore, se è vero che il debito consolidato è di circa 1 miliardo. Di questo le major si proccupano poco, in quanto hanno capitali a sufficienza per aspettare, ma i piccoli non possono che soccombere alla pressione delle banche, che, come noto, non hanno anima. E di nessun pregio è la notizia che il Ministero ha sottoposto alla Finanza 170 opere, e che forse i Finanzieri presidieranno l’ingresso degli uffici: forse sarebbe più efficace, giusto e ammirevole che, pur con un ritardo forse incolmabile, venissero verificate quelle situazioni nelle quali i budget e i corrispondenti tax credit sono al di sopra di qualunque immaginazione”.

Ironicamente: “torniamo al bambino di cinque anni, anzi sei: se un film del maestro Pupi Avati, girato anche in America, costa circa 3 milioni di euro, come fanno i film di registi equivalenti, o anche certamente meno capaci, a costare dai 10 ai 15 milioni e nei casi più clamorosi 30?”. E qui il riferimento è all’ormai famoso quanto emblematico caso di “Aspettando l’alba”, per la regia di Saverio Costanzo, produzione Wildside-Fremantle, Cinecittà, FilmNation Entertainment, Rai Cinema, che ha dichiarato al Ministero 29 milioni di costi di produzione, beneficiando di circa 10 milioni di euro di sostegno pubblico… “Non converrebbe all’Amministrazione, invece di disturbare i militari, che hanno scenari più importanti da esaminare, mettere all’ingresso del tax credit un bambino della prima elementare e fargli valutare i costi? Non è difficile, ictu oculorum già si comprende tutto”.

Ironia a parte, come non dare ragione a Michele Lo Foco?!

E si ricordi, nello scenario generale, la battuta della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni il 25 ottobre scorso in quel di Genova, al comizio del centrodestra per la chiusura della campagna elettorale per Marco Bucci, candidato e poi eletto governatore della Liguria: “alcuni registi, registi di sinistra, hanno detto che è pessima la riforma” dei “soldi elargiti al cinema: pessimo è dare un contributo di 1 milione e 300mila euro per un film visto da 128 spettatori, 700mila euro a un film visto da 29 spettatori, 25mila euro a spettatori” oppure “2,1 milioni di euro a un film per cui solo il regista si prende due milioni di euro”.

Sarà interessante comprendere gli sviluppi della situazione, nelle prossime settimane, considerando che “in parallelo” sono stati presentati al Tribunale Amministrativo ricorsi da parte di oltre 50 società, contro il decreto interministeriale “Tax credit cinema” Mic-Mef firmato da Gennaro Sangiuliano e Giancarlo Giorgetti del 10 luglio 2024 (pubblicato il 14 agosto) ed i successivi decreti direttoriali firmati da Nicola Borrelli: si ricordi che IsICult-Key4biz sono stati il primi a segnalare questa dinamica. Si veda “Key4biz” dell’11 ottobre 2024, “Tax Credit cine-audiovisivo: una valanga di ricorsi al Tar?”…

Ancora ottimismo. Manuela Cacciamani (Ad di Cinecittà): “abbiamo già 19 teatri molto competitivi e tecnologicamente avanzati. Nella prima metà del 2026, se ne aggiungeranno altri 5”

Eppure, proprio in questi giorni, la delegazione italiana in quel di Las Vegas, all’American Film Market (svoltosi da martedì 5 a ieri domenica 10 novembre), ha rinnovato la lettura positiva anzi ottimista, rievocando la mitologia della… “Hollywood sul Tevere”: come hanno scritto l’Ansa (ed ha rilanciato “Cinecittà News”, l’house-organ di Via Tuscolana), “la Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura, l’Associazione dei Produttori Esecutivi (Ape) e l’Agenzia per il Commercio Estero (Ice) hanno utilizzato l’American Film Market per esporre negli Usa il nuovo provvedimento, che con un budget di 400 milioni di euro per il 2024, concede il 40 % di credito d’imposta sui costi di produzione e il 30 % sugli stipendi dei professionisti non europei coinvolti nei progetti. “Si tratta di uno strumento cruciale per accogliere il meglio della produzione internazionale sul nostro territorio. Insieme al talento dei nostri produttori e agli studi di Cinecittà, aiuterà a far tornare Hollywood sul Tevere“, ha detto all’Ansa Roberto Stabile, della Direzione Cinema e Audiovisivo del Mic, che aggiunge: “Siamo venuti a spiegare la nuova normativa per fare chiarezza: erano uscite indiscrezioni che hanno spaventato e allontanato dall’Italia i produttori americani”. Le premesse sono già incoraggianti. Nel 2023 sono stati prodotti 402 film in Italia, di cui 92 coproduzioni: il 13 % in più rispetto al 2022 e il 24 % rispetto al 2019. “Faremo sempre meglio”, è convinta Manuela Cacciamani, Amministratrice Delegata di Cinecittà, che spiega all’Ansa: “Abbiamo già 19 teatri molto competitivi e tecnologicamente avanzati. Nella prima metà del 2026, se ne aggiungeranno altri 5. Le maestranze che ci lavorano dentro, poi, sono il nostro fiore all’occhiello”. “Il mercato statunitense attendeva da lungo questa regolamentazione”, secondo Giosafat Riganò, Direttore dell’Ice di Los Angeles, che considera il tax credit uno strumento cruciale per attrarre i grandi e piccoli nomi di Hollywood, che possono usufruire delle deduzioni fiscali attraverso i produttori esecutivi locali. “L’accordo siglato con Intesa Sanpaolo aiuterà tutti gli indipendenti a lavorare meglio nel nostro Paese”, aggiunge Marco Valerio Pugini, presidente di Ape, l’associazione che ha sostenuto la maggior parte delle produzioni straniere sbarcate nel Paese, assicurandosi un fatturato di 315 milioni di euro” (fonte: dispaccio Ansa di venerdì 8 novembre 2024, ore 19:11)”.

Diritto di replica e opportune precisazioni?! Tra Anac e “il Fatto Quotidiano” e Ministero della Cultura

L’Associazione Nazionale degli Autori Cinematografici illustra le motivazioni delle dimissioni del proprio Presidente, Francesco Ranieri Martinotti, dal Consiglio Superiore del Cinema e Audiovisivo

Questa mattina, l’Associazione Nazionale Autori Cinematografici (Anac), ha diramato un comunicato stampa che si pone quasi a mo’ di precisazione ed approfondimento di quel che IsICult ha descritto nell’articolo pubblicato su queste colonne di venerdì scorso, descrivendo potenzialità e criticità delle commissioni ministeriali chiamate ad esprimersi sui cosiddetti “contributi selettivi”, sia in materia di “produzione” (lungo tutte le fasi della “filiera”) che di “promozione” (festival, in primis): vedi “Key4biz” dell’8 novembre 2024, “All’opera i 27 super-esperti delle Commissioni Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura”.

Come abbiamo illustrato nell’articolo, si è dimesso dal Consiglio Superiore del Cinema e Audiovisivo, a suo tempo, il Presidente della storica Anac, l’Associazione Nazionale Autori Cinematografici, Francesco Ranieri Martinotti, che, appena insediatosi il Csca, ha posto una questione di potenziale “conflitto d’interesse”. Precisa oggi Anac, nel suo odierno comunicato, intitolato “Il perché delle dimissioni del rappresentante degli autori dal Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo”: «L’Associazione Nazionale Autori Cinematografici, per quanto riguarda le dimissioni dal Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo del suo presidente, Francesco Ranieri Martinotti, avvenute il 28 giugno, intende precisare che la nomina era stata accettata con riserva proprio per porre la questione dell’incongruità del regime di incompatibilità previsto dal Decreto Ministeriale del 2 gennaio 2017. Infatti, se da una parte la legge prevede che tre membri siano scelti dal Ministro nell’ambito di una rosa di nomi proposta dalle associazioni di categoria, richiedendo anche un alto livello di competenza, dall’altra il decreto indica criteri di incompatibilità che escludono di fatto chi nelle associazioni ha il massimo livello di competenza e di rappresentatività, cioè i presidenti. In più, nel caso di un autore, l’incarico, che è rigorosamente a titolo gratuito, è due volte gravoso perché esclude la possibilità di svolgere l’attività di sceneggiatore e regista in progetti sostenuti con risorse pubbliche. Il decreto stabilisce che i consiglieri del Csca non possono richiedere ed essere beneficiari dei contributi selettivi, ex art 26 e 27 della legge n. 220 del 2016, né in proprio, né come presidenti delle associazioni che rappresentano. Così, in occasione del suo insediamento, Francesco Ranieri Martinotti ha sollevato la questione chiedendo la modifica di questo contraddittorio meccanismo, sottolineando in primo luogo il fatto che il Consiglio ha carattere puramente consultivo e tra le sue competenze non ve n’è alcuna che riguardi le commissioni dei selettivi. Correttamente, la Presidente del Csca, Francesca Assumma, ha consultato l’Ufficio Legislativo del Ministero, il cui parere non si è discostato affatto dalla lettera del decreto, evidenziando come l’esclusione “sia giustificata da ragioni di opportunità e dunque da potenziali situazioni di conflitto di interessi in cui potrebbero trovarsi i componenti medesimi. Infatti, considerato che i membri del Consiglio Superiore sono individuati tra personalità del settore cinematografico e audiovisivo, è altamente probabile che gli stessi ben potrebbero operare fattivamente nel mondo del cinema e dell’audiovisivo e trovarsi a ricoprire, a vario titolo, ruoli in imprese cinematografiche, ossia potenziali destinatarie dei contributi selettivi di cui agli artt. 26 e 27”. Dopo aver preso atto del parere espresso dal Mic, rilevando anche che criteri altrettanto stringenti non sono mai stati previsti per gli esperti che devono valutare i progetti per l’assegnazione dei sostegni selettivi, il Presidente Francesco Ranieri Martinotti, si è dimesso, in coerenza con quanto dichiarato al momento del suo insediamento ».

Senza dubbio apprezzabile la precisazione manifestata dall’Anac, che ri-propone la questione della composizione strutturale sia del Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo sia delle Commissioni degli Esperti Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura: al di là della questione delicata del rischio di “conflitti di interessi” (evidenziata dall’Ufficio Legislativo del Mic per il Csca, ma non per le Commissioni), entrambe sono il risultato di una cooptazione discrezionale del Ministro, ed ancora una volta il criterio dell’“intuitu personae” ha finito per prevalere su una valutazione tecnocratica comparativa dei curricula dei componenti…

Va altresì notato che se, da una parte, la Legge Franceschini prevede che 3 membri degli 11 del Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo siano scelti dal Ministro in una rosa di nomi proposti dalle categorie (richiedendo anche un alto livello di competenza), dall’altra parte indica criteri di “incompatibilità”, che finiscono per escludere chi nelle associazioni ha il massimo livello di competenza e di rappresentatività, cioè i presidenti. Un paradosso: il risultato è che le associazioni finiscono quindi per proporre le seconde file o i propri consulenti legali. Inoltre, se si è un autore, secondo il decreto, si dovrebbe stare nel Consiglio a titolo gratuito, senza neanche poter fare il proprio lavoro utilizzando le risorse pubbliche. Risorse dalle quali – nel panorama italiano – nessuno è sostanzialmente escluso. In occasione del suo insediamento, Francesco Ranieri Martinotti sollevò immediatamente la questione, chiedendo la modifica di questo contraddittorio meccanismo, sottolineando che il Consiglio ha carattere puramente consultivo, e tra le sue competenze non ve ne è alcuna che riguardi le Commissioni dei “contributi selettivi”. Non essendo stata accolta la sua richiesta di modifica, in coerenza con quanto aveva affermato al momento del suo insediamento, il 28 luglio 2024 mi è dimesso. Ed il 18 ottobre 2024 (con pubblicazione avvenuta giovedì scorso 7 novembre) novembre, il Ministro Alessandro Giuli – come abbiamo segnalato venerdì scorso su “Key4biz” – ha cooptato Mario Mazzetti, dirigente dell’Agis AnecMutatis mutandis, si ha ragione di ritenere che i problemi “incompatibilità” ed “inopportunità” si andranno a riproporre…

Clicca qui, per la lettera con la quale il Presidente dell’Anac Francesco Ranieri Martinotti ha comunicato, il 28 luglio 2024, al Consiglio Superiore del Cinema e Audiovisivo le proprie dimissioni.

Il “diritto di replica” dell’Ufficio Stampa Ministero della Cultura a “il Fatto Quotidiano” di sabato 9 novembre 2024 rispetto ai 170 titoli ed alle 35 società non “sospette” ma soltanto… “attenzionate”

Ieri domenica 10 novembre 2024, “il Fatto Quotidiano” ha pubblicato un comunicato dell’ Ufficio Stampa del Ministero della Cultura, intitolato “Diritto di replica”, che merita essere rilanciato: «Con riferimento all’articolo di Vincenzo Bisbliglia, “Tax Credit ora indaga la finanza: 170 film finanziati sono “sospetti”, si sottolinea che la lista di cui si parla è una semplice ricognizione, un elenco delle opere e delle società per le quali, nel corso del tempo, la Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura e la Guardia di Finanza si sono reciprocamente scambiati dati e informazioni. Quindi non si tratta di un dossier predisposto in un determinato momento, e, poi, per ragioni ignote, tenuto ferme. Pertanto, in quell’elenco sono registrate le opere interessate da questo scambio reciproco dopo che questo scambio è già avvenuto. Ciò chiarito, è priva di fondamento l’affermazione secondo la quale “la lista agli investigatori non è mai arrivata”. In alcuni casi, si tratta di opere per le quali vi è stato un semplice scambio di informazioni e documenti, che non è sfociato in alcuna azione successiva. Pertanto è infondato associare le opere o le società necessariamente a casi di operazioni sospette».

Altra precisazione, su altro articolo, pubblicato sempre da “il Fatto” nella stessa edizione di sabato 9: «Per quanto riguarda l’articolo di Leonardo Bison, “i nuovi decreti bloccati dai ricorsi e a rischio stop”, si precisa che i nuovi decreti non sono affatto bloccati e che continuano ad essere vigenti e operativi. Quello che purtroppo è successo è che i siti dove sono presenti i siti web e le piattaforme operative per presentare le domande online della Direzione Generale Spettacolo, sono stati oggetti di un attacco hacker mediante un ramsomware. I siti sono stati riattivati dopo poche ore, mentre il ripristino in sicurezza delle piattaforme per le domande online per tutte e due le direzioni generali richiede un po’ più di tempo». Firmato “Ufficio Stampa Mic”.

La precisazione del Ministero della Cultura è senza dubbio apprezzabile: in sostanza, le 170 opere filmiche e le 35 società di cui all’articolo di Leonardo Bison di sabato 9 novembre non debbono essere considerate necessariamente “sospette”, ma semplicemente – come s’usa dire nello slang dei servizi e delle forze dell’ordine – “attenzionate”, ovvero oggetto di approfondimenti. Soltanto in alcuni caso, evidentemente, è scattata la valutazione di… “operazione sospetta”.

Clicca qui (sul sito web RaiPlay) per l’inchiesta “Che spettacolo!” curata da Giorgio Mottola, trasmessa da “Report” condotto da Sigfrido Ranucci, il 17 aprile 2017.

Clicca qui, per la trascrizione dell’audio della puntata del 17 aprile 2017 del programma di Rai3 “Report”, inchiesta “Che spettacolo!”, curata da Giorgio Mottola.

[ Note: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale”. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz” (ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale).

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