Arrivano le nuove tariffazioni sulle auto made in China
Dal prossimo giovedì 31 ottobre 2024 entreranno in vigore ufficialmente i dazi sui veicoli elettrici prodotti in Cina, che possono anche superare il 35% a seconda dei casi. È quanto deciso dalla Commissione europea per affrontare la concorrenza sleale portata avanti dalle aziende cinesi produttrici di auto che, a differenza di quelle europee, godono di ampi sostegni finanziari statali.
Concorrenza sleale, che Bruxelles vuole combattere a suon di tariffazione più alta a cui dovranno esser sottoposti appunto tutti i veicoli elettrici prodotti in Cina e venduti sul mercato europeo.
Un cambiamento epocale, che potrebbe aumentare i costi fino ad un +36% per le imprese coinvolte.
La decisione è stata presa al termine della votazione del Comitato per la difesa commerciale della Commissione europea, nell’ambito dell’indagine sui nuovi veicoli elettrici a batteria per trasporto passeggeri condotta dalla DG Commercio.
Non un voto unanime: 10 Paesi dell’Unione europea hanno sostenuto l’introduzione dei dazi (Italia compresa), 5 hanno votato contro, 12 gli astenuti. Hanno pesato quindi le minacce di ritorsione finanziaria di Pechino, in caso di voto favorevole. Una maggioranza non qualificata che ha imposto alla Commissione di intervenire direttamente, ma che apre ancora a qualche spiraglio di trattativa, anche dopo il 31 ottobre.
I tagli degli incentivi auto in Italia decisi dal Governo Meloni
In una situazione di crisi oggettiva del mercato dell’automobile in tutta Europa, il Governo Meloni ha deciso di tagliare il piano di incentivi per l’acquisto di veicoli a zero/bassissime/basse emissioni che doveva accompagnare la transizione del settore fino al 2030.
La legge di Bilancio al momento prevede tagli agli incentivi per 4,5 miliardi di euro del Fondo Automotive gestito dal ministero delle Imprese e del made in Italy.
Ad agosto, quindi solo un paio di mesi fa, Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, aveva annunciato al tavolo con i sindacati di categoria, i rappresentanti delle imprese, della filiera e degli enti locali, che per i bonus auto e il sostegno alla domanda di veicoli assemblati in Italia o in Europa con componenti prodotti localmente, non meno di 5,75 miliardi di euro.
Incentivi che servivano anche per acquistare non solo veicoli elettrici, ma anche auto a combustione interna, quindi a benzina per dire.
Aiuti economici che non solo avrebbero fatto bene al mercato interno, ma che avrebbero anche favorito lo svecchiamento del parco auto circolante, uno dei più vecchi ed inquinanti in Europa (difficile non notare gli eccessivi fumi in uscita dai tubi di scappamento di tante macchine in circolazione, che rendono l’aria a dir poco irrespirabile).
I dazi sulle auto cinesi
Di seguito i dazi previsti da Bruxelles per singole aziende e gruppi di aziende cinesi:
Tesla: 7,8%
BYD: 17%
Geely: 18,8%
SAIC: 35,3%.
Altri produttori di veicoli elettrici in Cina che hanno collaborato all’indagine, ma non sono stati sottoposti a campionamento individuale: 20,7%.
Altri produttori di veicoli elettrici in Cina che non hanno collaborato: 35.3%.
Le tariffe saranno riscosse dai funzionari doganali e si aggiungeranno a un’aliquota del 10% già prevista. Ciò significa che alcune case automobilistiche cinesi dovranno presto affrontare tariffe superiori al 45% per vendere le loro automobili in Europa.
Paura tra gli industriali europei, i dazi potrebbero peggiorare la situazione
L’imposizione di dazi non è vista per niente bene dall’industria automobilistica europea. In Italia, ad esempio, ma non solo, la politica rassicura i cittadini e tenta anche di rassicurare i mercati, ripetendo che il danno al settore deriva dalle politiche green.
Un danno frutto di ‘ideologie sbagliate’, eppure le stesse case automobilistiche puntano il dito proprio contro una politica miope, che invece di favorire la transizione la rende solo più difficile e più lunga del previsto.
Una posizione che sta già premiando i cinesi e punendo gli europei. L’amministratore delegato della BMW, Oliver Zipse, ha dichiarato che “le tariffe ci porteranno in un vicolo cieco”. Nel 2023 il 26% dei ricavi della BMW sono arrivati dalla Cina.
Attualmente in Europa le auto elettriche made in China sono passate dal 3,5% del 2020 al 27,2% del totale nel secondo trimestre 2024, secondo stime della Commission europea, mentre i marchi cinesi sono passati rispettivamente dall’1,9% al 14,1%.
In base ai propri accertamenti, l’UE ha stabilito che le sovvenzioni pubbliche rendono del 20% più economiche le auto elettriche prodotte in Cina rispetto a quelle assemblate in Europa. I dati del 2023 dicono che ogni auto importata nell’UE dalla Repubblica Popolare valeva poco meno di 22.150 euro, mentre quelle esportate dall’Europa alla Cina valevano quasi 74.120 ciascuna.
La produzione auto europea crollata del 37% rispetto al 2010
In Europa nei primi nove mesi dell’anno in corso si sono vendute 1.118.083 automobili di nova immatricolazione, in crescita del +1% rispetto allo stesso periodo del 2023, ma in calo drastico del 20.5% rispetto al periodo gennaio-settembre 2019, secondo dati ANFIA.
La tendenza per la fine del 2024 vedrebbe le immatricolazioni registrate un calo ulteriore dell’1,5% su base annua.
Un risultato pessimo, che si inserisce in una scia di risultati negativi che parte da dieci anni fa circa. Secondo uno studio condotto dall’Osservatorio Automotive Federmeccanica FIM FIOM UILM, realizzato con il contributo sempre di ANFIA, sull’industria automotive in Europa, tra il 2012 ed il 2021 si è registrata una contrazione drastica della produzione di veicoli del 37%.
A livello di singolo Paese/mercato c’è il record in Francia, con un -52,3%, seguita dalla Germania, con un -44,2%, dall’Italia, con un -22,8%, e quindi dalla Spagna, con il -13,1%. Nello stesso periodo la Turchia mette a segno un +30%.
Secondo un’indagine di motor1.com, i sette grandi marchi automotive continentali (Fiat dall’Italia; Citroen, Peugeot e Renault dalla Francia; Volkswagen e Opel dalla Germania; Ford dal Regno Unito) nel 2003 controllavano il 60% del mercato, ma nel 2013 già il dato era sceso al 49%.
Tra il 2013 ed il 2023 tutti questi marchi sono passati da un range tra il 5 e l’8% del mercato ad uno compreso tra il 3 ed il 5%. Anche la Volkswagen che tra il 2003 ed il 2013 era cresciuta notevolmente di circa il 3% ha poi nel decennio successivo perso più del 2% del mercato europeo.
La crisi della VW (e delle altre case automoobilistiche tedesche)
In questi giorni, la Volkswagen ha già annunciato l’intenzione di chiudere due stabilimenti tedeschi e almeno uno cinese, poiché si prevede che le vendite di veicoli diminuiranno del 12% nel 2024.
Anche Mercedes-Benz Group ha emesso un profit warning a settembre.
Il rallentamento del mercato automobilistico sta già danneggiando l’industria manifatturiera tedesca e la fiducia del settore nel terzo trimestre dell’anno è scesa più in basso rispetto alla pandemia del 2020 e alla crisi globale del 2009. La fiducia di Francia e Italia si è stabilizzata, ma sempre in territorio negativo.
Il calo generalizzato delle vendite di veicoli con motore a combustione interna in molti mercati ha reso VW, Mercedes e BMW fortemente dipendenti dalle vendite cinesi, nonostante le case automobilistiche registrino anche lì un aumento dei prezzi e della concorrenza tra i veicoli elettrici.
In generale, un terzo dei profitti dei marchi tedeschi è legato al mercato cinese. Una cosa di non poco conto che avrà un peso rilevante nelle politiche industriali che la nuova Commissione europea dovrà portare avanti.
L’UE non vuole perdere gli investimenti cinesi
Ora i produttori cinesi dovranno decidere se assorbire i dazi decisi da Bruxelles e quindi la maggiorazione dei costi di produzione ai confini dell’Unione, o se aumentare i prezzi a carico del destinatario.
Un’altra strada, ma che poco convince Pechino, è l’investimento diretto delle imprese cinesi nelle fabbriche europee, dove i costi della manodopera e della produzione sono più alti che in patria, ma in alcuni casi converrebbero rispetto all’aumento dei costi di produzione legati alle tariffazioni.
Negli ultimi giorni, però, Pechino ha deciso di rispondere alle politiche protezionistiche di Bruxelles proprio invitando le case automobilistiche cinesi a non investire in Europa e a rivedere le proprie strategie di mercato.
Nel 2023 il 69% degli investimenti cinesi in Europa è stato destinato al settore dell’auto elettrica, con investimenti diretti di un miliardo l’uno in tre gigafactory europee, tra cui il più consistente in Ungheria con BYD per la produzione di batterie per auto elettriche (Budapest ha stretti legami commerciali e finanziari con Pechino e attrae oggi il 44% di tutti gli investimenti cinesi in Europa, più di Germania, Regno Unito e Francia messi assieme).
Avanti con i colloqui
I colloqui tra Bruxelles e Pechino non si sono interrotti, ma c’è tempo (almeno in termini formali) fino a domani 30 ottobre. Dal giorno successivo le nuove tariffazioni entreranno in vigore ufficialmente.
“Dobbiamo proteggere la nostra economia dalle pratiche commerciali sleali“, ha dichiarato il cancelliere tedesco Olaf Scholz, aggiungendo: “Tuttavia, la nostra reazione non deve portarci a danneggiare noi stessi. Ecco perché i negoziati con la Cina sui veicoli elettrici devono continuare“.
“Stiamo negoziando con la Cina” sugli attesi dazi compensativi imposti dall’Ue, ha spiegato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: “I negoziati possono e dovrebbero estendersi anche oltre al giorno dell’entrata in vigore”, ha spiegato. “È importante sapere che il negoziato non verrebbe interrotto bruscamente se i dazi compensativi entrassero in vigore, ma che un processo di negoziazione può continuare“.