I nostri adolescenti e giovani sono in pericolo o siamo noi troppo preoccupati e ansiosi? Li stiamo perdendo inghiottiti dall’oscurità di schermi-trappola? Le famiglie sono diventate iperprotettive e le scuole “indifferenti”? Le piattaforme sono evolute verso stati bulimici e anti-sociali?
Quali le domande da cui partire “oltre” la non neutralità della tecnica nella melma social?
I dati ci parlano dei rischi del digitale e mostrano di una crescita di ansia, disturbi alimentari, disturbi del comportamento e dunque anche aumento dei suicidi tra gli adolescenti. Giorni fa ennesima vittima di bullismo si suicida 15enne con la pistola del padre.
Dobbiamo agire, dalla scuola alla famiglia, dalle città alle comunità ai territori per educare e rieducare giovani, genitori, insegnanti, operatori sociali e del volontariato, fino ai politici. Perché c’è un alto rischio che li stiamo perdendo nel buio di un’epoca che polarizza i “pochissimi forti e irresponsabili” contro i “tanti deboli, fragili e soli”, ma tutti impreparati, irresponsabili e inconsapevoli dietro lo schermo di uno smartphone “ostaggi” di piattaforme irresponsabili, ciniche e patologicamente voraci e bulimiche.
Lo smartphone con i social enfatizza l’esposizione estetica e di forza in una vetrina pericolosissima di violenta “guerra per micro-bande o mini-clan” che produce isolamento, devianza e spesso bullismo digitale (e non) dei più fragili ed esposti.
Perché il confine tra realtà e finzione é labile e ibrido. E tutto questo processo agisce riducendo l’attenzione e accrescendo l’ansia prestazionale perché si mangia il tempo dello user che si sente ostaggio della rete sociale “phigital” tra apparenza, dipendenza, percezioni distopiche e vuoti di esperienza relazionale.
Ansia figlia di insicurezza e paura di commettere errori o di sbagliare, anche perché spesso iper-protetti da genitori ansiosi e insicuri e senza esperienze esterne ( dal volontariato, alla scuola, all’ oratorio allo sport). Producendosi un clima di sostanziale isolamento accrescendo le relazioni orizzontali, veloci e superficiali a scapito di quelle verticali e profonde. In una rete dove fare surfing di relazioni, con sentimenti, valori ed emozioni evanescenti.
Un processo che si gonfia in una società che massimizza o stimola la performance e un consumo rapido delle relazioni che diventano di ” pura esibizione e dell’apparenza” dove valori, ideologie e visioni sono scomparsi rasati tutti sulla melma del presente senza esperienze se non “estreme” superficiali e vuote che cancellano passato e futuro.
Perché le relazioni profonde richiedono tempo, esperienza, introspezione e pazienza che invece vengono sminuite, ridimensionate o sfavorite in una totale assenza di un tessuto relazionale esperienziale e contestuale che nemmeno la scuola riesce a consolidare visto che in alcune scuole provano ad insegnare a relazionarsi dovute alla diffusa insicurezza, vietando gli smartphone dentro la scuola. Infatti è nel post covid che si accelera un uso improprio delle notifiche delle quali sono “ostaggi” per la solitudine nella quale questi giovani sono immersi per assenza di esperienze di relazione profonde e di senso.
Quindi vietare il telefonino a scuola almeno fino ai 14 anni come in Francia é buona cosa, purché accompagnato da diffusione di ” buone pratiche” sul suo uso consapevole. Riducendo in questo modo la disattenzione che sta prosciugando le performance scolastiche di questi ragazzi, responsabilizzando per ridurre timidezza, insicurezze, isolamento risospingendo questi ragazzi al contatto diretto e fisico e a fare esperienze dirette di costruzione e selezione relazionale-cognitiva su progetti (culturali, di volontariato, sportivi, di azione civica, ecc.).
Aiutandoli a provare a sbagliare, a convivere con l’errore per poi correggersi riconoscendo e mobilitando emozioni, passioni e dunque perimetrando i sentimenti che sono poi da scegliere per evitare che la “normalità” si frantumi in mille pezzi come in un puzzle cubista per molti nostri ragazzi che abbiamo visto in esperienze tragiche recenti nella più totale inconsapevolezza o assenza di sensi di colpa. Uccidendo “per un paio di cuffiette”, o “per vedere come é, oppure ” partorendo due volte e sotterrando i piccoli cadaveri sotto la propria finestra”: no non possiamo dire che ” è sempre successo”.
Ultimi casi tragici di “menti improvvisamente spente nell’isolamento solipsistico” e con “famiglie anestetizzanti che non hanno voluto né vedere e né sentire e che se hanno visto hanno coperto e protetto” in un climax tossico dove è rimosso qualsiasi punto di riferimento (idealità, valori cristiani o rivoluzionari, ideologie, visioni di futuro, ecc.) in una “ipo-quotidianità che finisce nella strada accanto”. Giovani inghiottiti da schermi e relativi gadget del cellulare che dobbiamo aiutare perché tornino a distinguere l’autorevolezza dall’autorità, la forza dalla legittimità, l’istituzione (il pubblico) dalla famiglia (il privato), il desiderio dai bisogni, le regole dalla legge.
Dobbiamo rieducare insomma alla distinzione tra il bene e il male , tra finzione e realtà, tra autenticità e superficialità di valori e comportamenti per un nuovo “riconoscimento- ricostruzione del desiderio” , dice Massimo Recalcati.
Ascolto e dialogo per ricostruire senso oltre la vischiosità del quotidiano
Scavando assieme a loro con ascolto e dialogo nei terreni melmosi e vischiosi del loro quotidiano – inquinati da una (apparente) iper-libertà senza responsabilità – per riossigenarli alla vita di comunità ai valori del bene comune fondanti del vivere insieme e del senso. Provando a seminare e diffondere un nuovo spirito civico, includendo e motivando per riportarli magari anche a votare (oggi il 50% degli italiani non vota e molto di più tra i giovani) per provare a rinnovare e riformare la politica e la scuola, rivitalizzando le comunità.
Ripensando anche tutte le altre istituzioni che insistono sulla formazione dei nostri giovani ( dalla famiglia alla scuola, alle imprese, agli spazi associativi e di volontariato) sperimentandone connessioni di rete ( qui il ruolo di una politica progettuale e consapevole).
Accompagnandoli nella prossimità di fronte ai nuovi e devastanti cambiamenti epocali generati dall’uomo (clima antropizzato, tante povertà, pandemie, solitudine digitale, immigrazione e insicurezza, misteri dell’AI) e che intimidiscono, impauriscono e a volte paralizzano spingendoli alla “fuga dal presente” in angusti iper-luoghi indecifrabili ma esposti alle trappole di quello schermo piatto dove “tutto sembra appiattirsi” nella distopica apparenza dell’ innocuo e del quieto.
Perché é quello stesso schermo che diamo ai bambini per indurli a mangiare e per non disturbare i genitori in altro affaccendati. Dunque una “tossicità” che viene da lontano, multifattoriale, immersiva e intrusiva e non riconducibile al latte materno.
Governare il cambiamento di famiglia, istituzioni e imprese nelle reti e comunità
Certo, allora devono cambiare la famiglia, la scuola, le imprese, le istituzioni. Riprovando a dire e fare che” l’inevitabile diventi auspicabile“. Ma soprattutto le piattaforme devono imparare a governare la non neutralità delle tecniche ( spesso usata come un alibi), adottando anche nuove regole etiche per combattere devianze, dipendenze, fragilità come le tante povertà (non solo economiche ma educative , sociali, culturali), combattendo l’isolamento che hanno contribuito a generare. Perché sono parte del problema e non estranei come pensano gli irresponsabili Zuckerberg di turno nel rispondere alle domande della Commissione del Senato americano alcuni mesi orsono.
Dobbiamo incentivare queste piattaforme anche sanzionandole accompagnandole ad assumersi responsabilità con una CSR seguendo come orizzonte i 17SDGs per attrarre al meglio e con persistenza investimenti e talenti con traiettorie ESG. E se necessario – come ormai del tutto necessario – “affettandole” nel loro stesso interesse costringendole a cedere rami d’azienda, visto che hanno saputo né voluto autoregolarsi. Riducendo dunque i ricorrenti abusi di posizione dominante di questi pachidermi cresciuti troppo, bulimici e incapaci ormai di innovare, anche (e forse soprattutto) affettandoli appunto come si fece nel 1972 con AT&T costringendola a gemmare sette sorelle regionali in concorrenza tra loro pensando ai benefici per gli utenti finali e che porterà all’accensione della rivoluzione di Internet abbassando le barriere all’entrata per nuovi entranti.
Aziende accoglienti per giovanissimi e donne capaci di accompagnarli in esperienze di senso e con salari adeguati certo aiuterebbero a superare questa epoca di incertezza e grande insicurezza, mescolata nelle opacità dei mercati del lavoro e di oscurità ideale ed esperienziale. Riscoprendo l’educazione e la responsabilità di una “testa ben fatta” di Edgar Morin verso la resilienza sapremo imparare dagli errori e governare anche l’arrivo incombente dell’AI non aspettando che i “buoi scappino dalla stalla” (ancora una volta) come avvenuto con Internet prima e con i social poi ? Perché questo ci chiede la complessità del presente per potere guardare con fiducia al futuro distinguendo e agendo su rischi e opportunità del digitale con cultura e formazione continua della rete esperienziale per accogliere e accompagnare questi nostri giovani e adolescenti all’età adulta nella responsabilità verso la consapevolezza delle conseguenze delle loro azioni.
Alla politica la responsabilità per esempio di una “buona legge” sul diritto alla disconnessione per scuola e lavoro perché anche da questo dipendono benessere e salute delle persone.
Come peraltro già fatto da diversi paesi avanzati dall’ Australia alla Gran Bretagna, dalla Francia al Portogallo. Perché disconnessi e rilassati significa anche più sani e felici e dunque più produttivi in ufficio o nello sport come a scuola. Infatti, una ricerca del BCG – Boston Consulting Group del 2022 ( post pandemica) su 90mila rispondenti nel mondo occidentale ci segnala che circa il 70% delle persone domanda un superiore equilibrio tra vita lavorativa e vita privata.
Inoltre, una indagine Gallup 2019 (precovid) evidenzia la domanda di armonia e senso nella qualità della vita relazionale-esperienziale nell’85% delle persone del mondo occidentale ( compresi Giappone, Corea del Sud e Singapore). Da intendere come crescita di contatto diretto, sviluppo di scambio/ interazione cognitiva e prossimità con le persone nella condivisione di un contesto favorevole. Relazioni dirette (non solo digitali ma anche fisiche e dunque phigital) capaci di ridurre stress e burnout aumentando peraltro produttività e performance, così come attenzione e cura di sé e degli altri. I giovani meritano attenzione e ascolto anche come leva di contrasto alla piaga italica della povertà educativa e dell’abbandono scolastico che ne deforma il futuro e ne depriva i potenziali.
Reti educative e formative contro le tante povertà culturali e valoriali e per ricostruire le fratture della coesione. Per conoscere emozioni, sessualità e sentimenti già nella scuola primaria, intrecciate a prossimità ed amicizia nella promozione di una conoscenza condivisa entro nuovi luoghi della convivenza e nella tolleranza.
Ricongiungere nell’educazione ( formale e informale) competenze e virtù sperimentando ed esplorando
Nella famiglia nella scuola o nell’ impresa la formazione delle competenze deve allora ricongiungersi a quella delle virtù (temperanza, giustizia, prudenza, coraggio) mobilitando insieme le 5 intelligenze emotive (pratica, analitica o linguistica con quella emotiva, sociale e creativa) e utilizzando al meglio l’interazione tra right competences (emotive e sociali) del nostro cervello con le left competences (della razionalità e pratiche). Solo in questo modo potremo estrarre i grandi potenziali inespressi dei nostri giovani come dei nostri collaboratori accrescendo le performance anche del 30/40%, a scuola come sul lavoro o nello sport attraverso approcci sperimentali ed esplorativi per esperienze motivanti e inclusive.
Serve allora ascolto e dialogo ma accanto ad affiancamento e cura per formare alla responsabilità e stimolare all’impegno civile, ambientale e sociale oltre che economico. Perché da qui passano le strategie per disinnescare la bomba demografica e mitigare la crisi inter-generazionale iniettando fiducia e riducendo le trappole dell’incertezza all’orizzonte che li spinge fuori (all’estero) lontano e solo raramente li attrae per “tornare” (1,5 mil.ni all’estero in 10 anni e poche centinaia in entrata) ricostruendo speranza con una grande “opera di riparazione”.
Non dimenticando con Hannah Arendt che “siamo sempre responsabili come ogni generazione verso quelle successive” e che se non lo facciamo stiamo semplicemente segando il ramo sul quale siamo appollaiati e imbambolati cioè … est contra humanitatem. Ma se così, valga allora il motto di Seneca: “Dum inter homnes sumus, colamus humanitatem“.