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L’Italia guida i falchi su migrazione e rimpatri, no di Madrid e Berlino
L’offensiva che Italia, Danimarca e Olanda hanno portato al summit Ue sui rimpatri ha incassato un seguito importante segnando l’incipit di un nuovo approccio che si sta facendo largo a Bruxelles. La strategia ha, come simbolo, i cosiddetti returns hub, tutti, rigorosamente, fuori dai confini europei, in Paesi terzi che, modificando le regole vigenti, possono essere definiti sicuri. La strategia dei falchi, per ora, non conquista tutti e 27 i leader, che nelle conclusioni del summit si sono limitati a chiedere una “urgente direttiva sui rimpatri”, esplorando “soluzioni innovative” contro gli irregolari. Prima dello start del summit Giorgia Meloni, Mette Frederiksen e Dick Schoof hanno radunato i cosiddetti Paesi like-minded sui migranti. Gli invitati erano 15 e a marcare visita sono stati i Baltici e la Finlandia, che tuttavia hanno una posizione simile, così come la Svezia. Seduta con gli undici c’era anche Ursula von der Leyen; la sua partecipazione è passata tutt’altro che inosservata e ha confermato un dato: l’asse tra Ursula e Meloni appare saldo sui principali dossier europei.
“La sinistra pensa solo ad attaccarci in maniera inconsistente e gratuita mentre quasi tutta Europa discute delle nostre iniziative”, ha sottolineato Meloni replicando a Elly Schlein, anche lei a Bruxelles, che è tornata a criticare duramente il Protocollo Roma-Tirana. Al tavolo dei 27 Meloni ha spiegato come il modello possa invece fare da “deterrente” nei confronti dei trafficanti e prevenire le partenze. Il riferimento sono le priorità indicate nella lettera di von der Leyen dello scorso lunedì: una nuova direttiva rimpatri, l’istituzione di hub fuori dall’Ue, la definizione di Paese terzo sicuro sono i pilastri della stretta. Il modello Albania è uno di quelli presi in considerazione ma non il solo. Nel Paese balcanico l’Italia invia i migranti in attesa che si concluda la procedura di asilo; Olanda e Danimarca hanno messo sul tavolo due alternative, Uganda e Kosovo, ma in questo caso gli hub ospiterebbero i migranti la cui richiesta di asilo è stata respinta, in attesa che rientrino nei Paesi di origine.
La discussione tra gli 11 leader ha toccato anche la questione siriana. L’Italia sostiene “un rimpatrio volontario, sicuro e dignitoso dei siriani”, hanno fatto sapere fonti italiane. L’Austria e Cipro sono pronte a supportare un’iniziativa che, con la crisi in Libano, per Meloni è ancora più urgente. Al summit Ue, tuttavia, il piano degli hub extra-Ue è parso quasi diluirsi in un rinnovato scontro sulla migrazione. Le conclusioni sono state modificate più volte, oggetto delle pretese dei singoli Stati e di una discussione che risente dell’ascesa delle destre in tutta Europa, e sono state approvate solo in tarda serata, venendo incontro alle istanze innanzitutto di Donald Tusk, che ha sospeso il diritto di asilo come risposta alle minacce di ibride di Russia e Bielorussia.
“Situazioni eccezionali richiedono misure appropriate”, hanno sottolineato i 27 nel testo. Alcuni, come la Germania, hanno chiesto di anticipare l’attuazione del Patto sulla Migrazione su alcuni punti come quello dei movimenti secondari, di certo poco gradito all’Italia. Altri hanno fatto perno proprio sul Patto di migrazione e Asilo allontanando l’idea degli hub fuori dall’Ue: “Per noi non sono la soluzione”, ha sottolineato Olaf Scholz. Con lui Pedro Sanchez, che ha riacceso i fari sull’equilibrio tra diritti umani e lotta ai trafficanti. Tra i grandi, resta il rebus francese: Renew, guidato di fatto da Emmanuel Macron, ha spiegato di non volere “scorciatoie” sulla migrazione, replicando al plauso del Ppe al modello Albania.
I Patrioti garantiscono che voteranno Raffaele Fitto
Marine Le Pen, Geert Wilders, Santiago Abascal e Matteo Salvini si sono dati appuntamento a Bruxelles, per il primo pre-vertice, poche ore prima del Consiglio Ue. Fieramente uniti contro Ursula von Der Leyen e la sua nuova Commissione, si sono però detti pronti a votare a favore di Raffaele Fitto. Del resto, i Patrioti con 86 eletti, sono già la terza forza nell’Europarlamento e sentono di avere il vento in poppa dopo i recenti exploit elettorali nei Paesi Bassi, in Austria, nella Repubblica Ceca e in Francia. L’anfitrione è stato il premier ungherese Viktor Orban, ancora per qualche mese presidente di turno del Consiglio, che per i suoi alleati ha aperto la sede della rappresentanza magiara. Matteo Salvini dopo la riunione ha diffuso una nota dai toni trionfalistici: “È stato un vertice storico. Oggi più che mai, costituiamo il primo partito di opposizione dell’Ue”.
Opposizione sì, ma anche molto attenti agli equilibri interni ai Paesi, come l’Italia, dove governa il premier di un partito, Ecr, che a Strasburgo siede a sinistra dei Patrioti. Da qui l’appoggio al candidato Commissario scelto da Roma: “Ovviamente voteremo per lui, è uomo eccellente e perfetto per questo lavoro in Europa”, ha annunciato sorridente Orban. Sulla stessa linea, anche se con meno entusiasmo, il lepenista Jordan Bardella: “Ci saranno le audizioni, ma Fitto è sicuramente il candidato naturale per la nostra famiglia politica”. Malgrado il via libera dei patrioti a Raffaele Fitto, il rebus della composizione della nuova Commissione è tutt’altro che risolto, e Socialisti e i Popolari sono sempre più distanti; non a caso Antonio Tajani ha lanciato un messaggio chiarissimo al gruppo S&D: “Se non vogliono sostenere Fitto, perderanno il consenso del Ppe. Noi vogliamo garantire la stabilità delle istituzioni”.
Insomma, in pieno accordo con Manfred Weber, Tajani ha sancito che anche in questa partita vale il detto latino “simul stabunt vel simul cadent”, ovvero guai a toccare l’accordo già raggiunto se non si vuole rischiare seriamente di far fallire tutto, un segnale inviato soprattutto alla delegazione Dem. A Bruxelles serpeggia ormai la convinzione che alla fine gli eurodeputati del Pd voteranno per l’ex governatore della Puglia. Tuttavia, Elly Schlein ha tenuto a specificare la propria autonomia: “Noi non siamo come FdI. Noi valuteremo attentamente le audizioni di tutti i candidati Commissari, Fitto compreso, ma da Meloni non prendiamo lezioni”. Nella famiglia socialista, tuttavia, ci sono delegazioni ancora più scettiche nei confronti di Fitto e, soprattutto, del temuto abbraccio del Ppe con Ecr e Patrioti. Nelle audizioni, in programma dal 4 al 12 novembre, però a essere necessario è il quorum dei 2/3 dei membri di ciascuna Commissione competente, e il voto dei socialisti ma anche di Ecr sarà in ogni caso decisivo.
Scontro tra Meloni e Schlein sulla sanità. Giorgetti rassicura sulla manovra
La legge di bilancio non è ancora approdata in Parlamento ma è già scontro sui numeri tra maggioranza e opposizione sul fronte della sanità. La premier Giorgia Meloni apre la giornata biasimando le “mistificazioni” e rivendicando, dati alla mano, un “record storico” con l’aumento del Fondo sanitario nazionale salito a 136,48 miliardi nel 2025 e 140,6 miliardi nel 2026. Ma la segretaria del Pd Elly Schlein va allo scontro proprio su quei numeri sottolineando come il calcolo non vada fatto tanto “sui dati assoluti” ma guardando alla percentuale sul Pil, scesa di mezzo punto rispetto al 2010, “La percentuale più bassa degli ultimi 15 anni”. Anche Giuseppe Conte va all’attacco: il record lo racconti “ai 4,5 milioni di italiani che non si possono curare”.
Lo scontro, insomma, resta aperto mentre la Camera è in attesa dell’arrivo della manovra in linea con i tempi previsti per legge (ma in realtà da sempre poco rispettati) all’inizio della prossima settimana e non prima di martedì quando è prevista anche una conferenza stampa della premier per presentare le misure. Il testo al momento non è ancora approdato al Quirinale mentre il decreto fiscale, che prevede, tra l’altro, il rifinanziamento dell’Ape sociale e fondi per gli straordinari delle forze di polizia, dovrebbe essere pubblicato a stretto giro in GU e il suo esame potrebbe partire dal Senato. Proprio a Palazzo Madama, intanto, il ministro Giancarlo Giorgetti è intervenuto al question time rivendicando le scelte fatte: “A questa manovra si può contestare qualsiasi cosa, ma non che vada contro i poveri Cristi”. E anche per quanto riguarda il sacrificio chiesto a Banche e Assicurazioni Giorgetti ha sottolineato: “Va bene così, guardate lo spread”. Parole di certo non casuali anche in vista dei primi giudizi delle agenzie di rating sull’Italia.
S&P Global Ratings e Fitch si esprimeranno questa sera a mercati chiusi. Per quanto riguarda il contributo degli istituti di credito, tra l’altro, il presidente dell’Abi Antonio Patuelli parla di “sacrificio sopportabile”. Si tratta invece di una mera partita di giro secondo le opposizioni: per Nicola Fratoianni “Nella manovra nessuna nuova tassa per banche e assicurazioni ma viene chiesto un semplice prestito”. Per Silvia Fregolent “La prossima manovra non la pagheranno le banche, ma i cittadini che già pagano le tasse, saranno i single, i nonni, le famiglie con figli adulti”. In attesa delle carte, in ogni caso, lo scontro è già aperto e si consumerà ancora di più quando con la manovra in Parlamento si aprirà la fase degli emendamenti. Nella maggioranza se la linea degli “emendamenti zero” viene al momento esclusa è comunque in atto una moral suasion per limitare o comunque concordare le richieste.
Mattarella lancia l’allarme sul lavoro e avverte sull’autonomia
Il lavoro, che la nostra Costituzione pone a fondamento dell’ordinamento democratico, deve essere dignitoso, sicuro, ben retribuito, strumento di libertà e non di sfruttamento. Sergio Mattarella riceve i Cavalieri del lavoro al Quirinale e conferisce le Stelle al Merito. Mentre premia le eccellenze, però, il Capo dello Stato continua a tenere accesi i riflettori su quello che non va, a partire da morti e infortuni. SI tratta di “una piaga intollerabile. La vita delle persone vale immensamente più di ogni profitto, interesse o vantaggio produttivo”. C’è poi la questione salari.
I dati dell’occupazione, nel nostro Paese, “segnano una crescita che conforta”, mette a verbale Mattarella, che però poi sottolinea come esista sempre più una frammentazione “tra una fascia alta, in cui a qualità e professionalità corrispondono buone retribuzioni, mentre in basso si creano sacche di salari insufficienti, alimentati anche da part-time involontario, e da precarietà. Si tratta di un elemento di preoccupante lacerazione della coesione sociale”. Non solo. Esistono anche altre differenze: ci sono quelle che riguardano gli immigrati, “sovente esposti a uno sfruttamento spietato, inconciliabile con la nostra civiltà”; quelle contro le quali devono ancora fare i conti le donne perché il cammino verso la parità di retribuzione “è tuttora da concludere” ed è “dovere delle istituzioni operare per renderla ovunque effettiva”. Mattarella invita tutte le forze politiche a lavorare insieme al comune obiettivo del raggiungimento della massima occupazione, componendo le diversità come fecero i Costituenti ponendo il lavoro, all’art.1, a fondamento della vita democratica.
Mattarella però lancia un altro allarme: “Le Regioni, in base all’art. 120 non possono adottare provvedimenti che ostacolino, in qualsiasi modo, la libera circolazione delle persone e delle cose; e neppure limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale”. Il riferimento, pur non esplicito, appare chiaro: il ddl sull’autonomia differenziata affida alle Regioni alcune competenze specifiche e tanti, anche fra i giuristi, si sono espressi sulle possibili criticità del testo. Il provvedimento, di per sé, non contiene norme discriminatorie, ma alcune disuguaglianze possono nascere da eventuali intoppi che in alcuni casi si nascondono dietro le norme.
La Bce taglia ancora i tassi. Spread ai minimi da tre anni
La Banca centrale europea taglia i tassi di un altro quarto di punto, abbassando il costo del denaro per la terza volta dall’inizio della fase espansiva avviata a giugno e facendo scendere lo spread ai minimi dal 2021. Nonostante una crescita più debole del previsto “l’area euro non va verso una recessione e siamo diretti verso un atterraggio morbido”, assicura la presidente Christine Lagarde, e così la Bce non s’impegna sulle mosse future. Intanto i mercati festeggiano e già prima dell’annuncio lo spread Btp-Bund in apertura era ai minimi da novembre 2021, arrivando fino a 119 punti base. A far decidere all’unanimità i governatori, riuniti nei pressi di Lubiana, in Slovenia, sono i “rischi al ribasso” sulle prospettive di crescita, un quadro economico in peggioramento, con gli ultimi indici Pmi “tutti nella stessa direzione” e con l’aggravante di rischi derivanti dalle guerre in Ucraina e Medio Oriente, della volatilità dei prezzi energetici, della crisi economica in Cina.
I banchieri centrali hanno così portato il tasso sui depositi al 3,25%, quello sui prestiti principali al 3,40% e quello sui prestiti marginali al 3,65%, dopo che l’inflazione nell’area euro“a sorpresa” a settembre è scesa all’1,7%, sotto l’obiettivo Bce di medio termine del 2%. I prezzi dovrebbero tornare a salire temporaneamente, ma secondo indiscrezioni nelle loro aspettative ci sarebbe ora una stabilizzazione intorno al 2% nella prima metà del 2025 anziché alla fine dell’anno. Quello di ieri è il primo taglio consecutivo (i precedenti erano arrivati a giugno e poi settembre) nell’attuale fase di riduzione dei tassi che, fino a qualche settimane fa, ci si aspettava procedesse con cadenza trimestrale. Non torna la forward guidance con cui la Bce fino a qualche anno fa orientava le aspettative sul corso futuro dei tassi d’interesse.
La Bce “continuerà a seguire un approccio guidato dai dati, in base al quale le decisioni vengono definite di volta in volta a ogni riunione” ha chiarito la Lagarde. Gli investitori si aspettano nuovi tagli già dalla prossima riunione del 12 dicembre e fonti della Bce lo danno come altamente probabile. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani scrive su X: “Bene la decisione della Bce di tagliare i tassi di interesse. Andiamo avanti con coraggio. E bene lo spread che scende a 120 punti. I mercati approvano la nostra manovra di bilancio”.