l'analisi

La “guerra totale” di Netanyahu, un mondo con fragili risposte per immensi interrogativi

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La "guerra totale" di Netanyahu che nessuno vuole come "strategia politica" perché senza sbocchi anche per i riflessi ucraini emergenti oscilla tra successi di potenza militare e di intelligence e insuccessi da impopolarità globale.

La “guerra totale” di Netanyahu che nessuno vuole come “strategia politica” perché senza sbocchi anche per i riflessi ucraini emergenti oscilla tra successi di potenza militare e di intelligence e insuccessi da impopolarità globale. Anche funzione di crisi delle istituzioni democratiche e del diritto internazionali oltre che delle “leadership globali”: tra isolazionismo (ricercato) e interdipendenza(necessitata).

Hezbollah è colpito in molti dei suoi comandanti militari (come per Hamas con Haniyeh colpito in Iran e Sinwar a Gaza) nel centro di Beirut dopo Shukr delle settimane scorse e che Aqil aveva sostituito e poi soprattutto di Nasrallah capo religioso e militare.

Quest’ultimo peraltro ricercato anche dagli USA da decenni e con una taglia per la sua eliminazione anche per “tagliare” una mano dell’influenza iraniana nell’area. Israele con questo sposta il peso delle operazioni a Nord di Gaza verso il Sud del Libano.

Hezbollah è colpito perché movimento terrorista ma anche perché sciita e sostenuto dagli iraniani con enormi risorse per la “nidificazione” libanese (localizzandosi a sud sul confine con Israele e poterlo colpire costantemente). Paese – il Libano – “fratturato, disperso, impotente” e incapace da decenni di opporsi alle operazioni di Nasrallah contro Israele essendone ostaggio anche in Parlamento tanto che da due anni non riesce a eleggere un Presidente che sia ” indipendente” da Hezbollah e dunque dall’Iran. Netanyahu sembra sfruttare l’insieme di tutte queste debolezze, compresa la debolezza degli USA e dei grandi nel mediare i conflitti e prova ad accelerare prima che il 5 novembre delle elezioni USA possa cambiare l’equilibrio dei rapporti tra i due partner storici oltre che gli equilibri globali.

Ma sembra anche accelerare per “cancellare” il sostanziale fallimento delle operazioni su Gaza, dato che dopo quasi un anno Hamas pur decapitata non è completamente sconfitta e gli ostaggi non sono tornati a casa mentre i razzi verso Israele continuano seppur depotenziati. Con una operazione di terra ormai impantanata tra macerie e distruzione e che anche per questo va “espiantata” aprendo il fronte a Nord.

Nel complesso siamo di fronte ad una “operazione politica estrema” che vorrebbe rinforzare il perimetro dei confini dei nemici storici di Israele, e tuttavia non si capisce con quale limite senza avviare un tavolo di negoziazione e di pacificazione ma continuando ad allargare l’orizzonte dell’ esercizio della forza in una ” guerra totale” ormai del tutto sproporzionata (e “inefficiente”?) rispetto al pogrom del 7 ottobre.

Un quadro che vede una opposizione israeliana interna nelle piazze ( forse oggi meno solida visti i “successi militari” di Netanyahu sul terreno) che non chiede solo il ritorno degli ostaggi ma un cambio di strategia che finora è stata di sola guerra respingendo tutti gli atti di un possibile negoziato. Una guerra che non sembra avere fine e che senza aprire varchi o tavoli di negoziazione può mettere a rischio l’esistenza stessa di Israele isolandolo ulteriormente rispetto al mondo nonostante la dimostrazione di potenza tecnologica e di penetrazione informativa con l’operazione dei cerca-persone esplosi in contemporanea e che ha coinvolto uccidendo ( qualche decina di vittime) e/o ferendo migliaia di persone che li usavano e soprattutto disarticolando la struttura intermedia di comando delle milizie di Hezbollah, impaurendo e terrorizzando.

Hezbollah che però continua a lanciare missili verso il territorio israeliano che ha dovuto evacuare oltre 60 mila persone dall’Alta Galilea per i continui bombardamenti. Teniamo conto che a sud di Beirut il livello di città armata sotterranea ha una dimensione decuplicata rispetto a Gaza, e così anche per la dotazione della potenza dell’armamento militare disponibile con la differenza che a Beirut (forse) non ci sono ostaggi e la possibilità di scudi umani meno realizzabile.

Netanyahu sembra sfruttare la “assenza di fasi intermedie di pace e di mediatori ” che dovrebbero mettere attorno al tavolo i grandi global player per un accordo che coinvolga anche i potenti della regione (e in particolare l’Egitto arabo, i sunniti di Arabia Saudita e degli Emirati Arabi  e il Qatar, la Giordania già coinvolti dagli “Accordi Abramo”) e gli sciiti dell’Iran.

Una guerra che Netanyahu può vincere militarmente ma che rischia di perdere politicamente, se decidesse di attaccare in profondità l’ “esercito catacombale” di Hezbollah oltre il Litani che non è certo impreparato come Hamas a Gaza. Entrando peraltro in un paese sovrano come il Libano come già nel 2006 e perdendo, che pur essendo in grande crisi non potrà rimanere immobile e inerte pur avendo “tollerato” da decenni la presenza anomala di Hezbollah come uno “Stato nello Stato”.

Consentendo all’Iran di “rimanere fuori” da un intervento diretto almeno fino ad aprile e fino all’attacco di 180 missili in risposta all’uccisione di Nasrallah. Anche a Beirut sud forse si vuole costringere Israele ad entrare ancora via terra in profondità come a Gaza usando di fatto i civili come scudi umani essendo una “guerra urbana”, ma che potrà evitare se l’entrata si rivelerà rapida ed efficace.

Evitando proprio ciò che Hezbollah , Hamas e Iran vorrebbero e cioè di portare Israele ad un crescente isolamento globale tra le opinioni pubbliche mondiali se non dei Governi continuando nel lancio sistematico di missili verso Haifa e alta Galilea e che Iron Dome cerca di intercettare e fermare con lancio a sua volta di missili verso Beirut sud. Con la risposta iraniana di altri missili (180) in risposta all’uccisione di Nasrallah e che spingerà ora Israele rispondere ( come e colpendo cosa?).

Situazione di escalation tragica che richiede una via d’uscita, prima che sia troppo tardi con Israele che porta la “Guerra Totale” nel sud del Libano e ora verso l’Iran e lo Yemen in un fronte ampio che rischia di tenerlo in ostaggio per molto tempo in una “catena dell’odio” già patologica che va invece tagliata e presto per scongiurare questo esito che potrebbe saldare la protesta anti-israeliana con l’antisionismo in una fibrillazione rischiosissima di attesa dell’esito del voto americano. Il Libano tuttavia non è Gaza avendo confini aperti e dunque con esiti di contagio imprevedibili sia militarmente che politicamente.

Eppure la soluzione è ancora verso 2S2P – “due Stati e due Popoli” che si riconoscono reciprocamente e si difendono e sostengono perchè condividono la stessa origine millenaria sulla stessa Terra di Abramo degli stessi fondatori di una stessa fonte religiosa essendo entrambe religioni abramitiche appunto. Unico caso di due popoli che a distanza di 3mila anni si fanno ancora la guerra sulla stessa terra.

Le debolezze  e i fallimenti della politica

La politica non riesce a riprendere forza in un tragico vento attendista (del 5 novembre) che ci porta verso “più guerra” e non “oltre la guerra” con un negoziato credibile, anche perché i grandi mediatori potenziali regionali tacciono assistendo a questo scenario di conflitto in uno stato di “sospensione tossica” di tutti gli strumenti diplomatici per avviare un cessate il fuoco.

Anche perché alcuni degli attori regionali mostrano di “tollerare” una eventuale “lezione all’Iran teocratico” da parte di Israele riducendone l’influenza nel Medio Oriente. Perché pur vincendo militarmente Israele stà diffondendo odio profondo che rimarrà incistato per anni se non decenni e con storici ostacoli ad una pacificazione dell’area mai rimossi come la “questione palestinese”. Rischiando anche di “spostare” l’appoggio dei paesi arabi moderati che iniziano a temere potenziali migrazioni di Palestinesi (1 milione?) verso questi paesi.

Che ritroviamo anche nell’intervento all’ONU di Netanyahu che mostrando la carta geografica distinta tra “buoni e cattivi” accusa con durezza irragionevole quella istituzione di essere antisemita non avendo condannato l’attacco dell’Iran. Un Netanyahu che  dunque non sembra (né voglia) offrire spazi di soluzione e questo lo rende forse un leader “fragile” tutto centrato sull’esercizio di forza tecno-militare in ostaggio dell’estrema destra religiosa ma sempre più isolato nel mondo, che tuttavia vincerebbe se andasse ora alle elezioni avendo recuperato credibilità tra gli israeliani dopo lo smacco del 7 ottobre.

Un leader che allora certo non cambierà (per ora) la sua strategia fino al 6 novembre anzi sfrutterà questa “finestra di opportunità” per provare ad andare “fino in fondo per finire il lavoro” verso quel fine estremo che Israele considera come essenziale e cioè ridurre all’impotenza sia Hamas che Hezbollah e gli Houti, quali proxy o frecce nell’arco dell’Iran, vera minaccia storica alla sua sicurezza. Ora decapitata la leadership dei “gruppi di fuoco” intorno a Israele l’Iran reagendo con i missili diretti su Tel Aviv vuole mandare un “segnale di forza” ma anche di moderazione per evitare lo scontro diretto che potrebbe mettere a rischio le infrastrutture ( e il negoziato) sul nucleare.

Che è il messaggio inviato da Pezeshkyan all’ONU, quasi una “offerta di scambio” tra pace e stop al programma nucleare e cancellazione delle sanzioni, nonostante l’attacco in Libano. La domanda per l’Iran è come evitare un confronto diretto con Israele se potrà come emerge dalle parole di Khamenei alle esequie di Nasrallah a Teheran il 4 ottobre? Ad Israele rimane la domanda circa le modalità di entrata-uscita via terra in Libano, e sia della risposta all’Iran, ossia per fare cosa e per quanto alzando enormemente il livello di rischio.

Su questo quadro la posizione del Governo italiano sembra piuttosto silente e che si accoppia con un “raffreddamento” dell’aiuto militare in Ucraina (non avendo votato l’art.8 del dispositivo europeo di armi adatte a colpire territorio russo) pur mantenendo quello economico. Anche se – va detto – che noi non forniamo armi che possono colpire il territorio russo essendo solo missili in funzione antiaerea con gittata massima di 150 km. Ambiguità del Governo che si sommano alle divisioni dell’ opposizione.

Enormi gli interrogativi che si aprono: strategici, geo-politici, militari, umani, spirituali che tengono in sospensione le anime del mondo e preoccupano più dell’Ucraina

Nel complesso l’entrata in Libano pone la domanda sul senso di un “uso della deterrenza contro terroristi”: che sembrerebbe una contraddizione. Il 7 ottobre ha cambiato tutto: con la violazione della percezione di sicurezza di Israele che era consolidata da decenni e che ha prodotto le lacerazioni tra gli israeliani dividendoli anche con rischio di venti di “guerra civile”? Quindi la guerra arrivata sulle rive del Litani di Netanyahu pone la ” grande domanda” sulla natura ultima della “guerra totale , ormai su 5 fronti.

Perchè è anche una “guerra interna ” per la (sua) sopravvivenza politica e giudiziaria  a volte mascherata da “guerra esistenziale” che cerca di “proporre” al popolo israeliano che vuole legittimamente essere protetto e tornare in una casa in sicurezza, ma che sulla strategia si ritrova lacerato e diviso?

La destabilizzazione del Libano innesca il rischio di avvio di una guerra civile tra esercito libanese e Hezbollah con l’ Iran che deve decidere cosa fare ora con la ” guerra per procura” di Hezbollah? La destabilizzazione del Libano avanza e la de-escalation non si avvia affermando per l’area la deterrenza della forza di Israele e cioè che “il 7 ottobre non potrà ripetersi”.

Nessuno in questo momento è in grado di fermare Netanyahu (da Biden all’ ONU all’ Europa) che oggi è forte e popolare e che vuole giustamente riaffermare il diritto ad esistere di Israele e in sicurezza”, ma provocando di fatto anche l’Iran e la sua forza nucleare. In Medio Oriente come in Ucraina sta vincendo solo la forza e nessuna voce di “tregua” sta emergendo. Basi americane colpite in Irak da razzi Katiuscia segnalano l’incendio in corso.

L’ incursione in Libano viene da piani lontani e non di ieri che spiega le mosse in corso e la penetrazione, la stessa eliminazione dei leader di Hamas e di Hezbollah.

Certo con un nuovo Presidente in Libano ci sarebbe un nuovo interlocutore e dunque in grado di esplorare una mediazione nella totale assenza di mediatori in grado di guidare gli eventi o di condizionarli almeno fino alla ricorrenza del 7 ottobre o del 6 novembre. Dunque caos e disordine si autoalimentano e degli ostaggi ormai ci siamo dimenticati dimostrando al mondo di un Netanyahu che può fare quel che vuole anche a costo di una destabilizzazione dell’area nella totale imprevedibilità degli esiti.

E i palestinesi dove finiscono , chi se ne occupa e come proteggerli? Cosi come il conflitto sciiti e sunniti quali limiti trova e come cambierà ? Basterà una “zona cuscinetto” tra il confine nord di Israele e Il fiume Litani che si aggiunge alla corona di ” cuscinetti” attorno alle Terre di Abramo? E il sogno di 2 popoli e 2 stati chi lo vuole più realizzare?

L’ Iran rimarrà stabile dopo questo terremoto mediorientale che ha tagliato larga parte della forza delle colonne portanti del suo proxy-power war anti-Israele (da Hamas ad Hezbollah agli Houti) costruito in 40 anni? Dunque quale la strategia per l’Iran: negoziato o conflitto e se fosse quest’ultimo come e con quali alleati e con quali mezzi ed effetti interni ? Ma intanto è partita la “vendetta” iraniana” per Nasrhallah con il lancio di 180 missili balistici verso Israele senza raggiungere obiettivi sostanziali anche perché largamente intercettati: segnale negoziale o attacco?

La risposta di Israele guarderà soprattutto all’avvio di un “regime change” a Teheran minandone soprattutto le capacità nucleari o guarderà alle fonti petrolifere? Domande a cui dovremo dare risposte nelle prossime ore guardando alle dinamiche sul terreno tra “guerra (rombante) e pace (catacombale)” per esplorare qualche segno diplomatico di dialogo oltre i missili.

Gli “angeli di pace” della storia nella questione mediorientale da Rabin a Sadat non sono più fra noi, unici che avevano una visione per l’equilibrio dell’area. Visione che qui manca tanto quanto l’assenza di leader appropriati e in un mondo multipolare ormai in frantumi e con la moltiplicazione dell’impotenza di leadership silenti. “Leader per la Guerra” che sanno usare solo il “potere della forza” (Putin e Netanyahu) seppure per ragioni diverse (il primo come “aggressore” e il secondo come ” difensore”), opposti a “Leader per la Pace” senza nè forza nè potere (Europa, Onu) e “Leader ibridi” dotati di forza ma senza potere (USA e Cina, ma anche Nato) e cioè non abilitati ad usarla (per ora) per ragioni differenziate ormai note. La fine dell’Occidente o una sua riconfigurazione con “nuove democrazie”? Ma anche l’Oriente non è in buono stato dato che un “regime change” a Teheran potrebbe avere impatti sulla fornitura di armi alla Russia e dunque sugli esiti di quel conflitto con l’Ucraina.

Non dimenticando che dal 1948 l’unica speranza sempre disattesa è stata la negazione di una soluzione per il popolo palestinese, di uno Stato Palestinese nonostante la Risoluzione 1071 dell’ONU e di tutte le successive a favore di una soluzione “necessitata” per il Popolo Palestinese e che doveva correre in parallelo con la formazione dello Stato di Israele che però non si è mai realizzata. Un “vuoto” politico-istituzionale usato da Israele e da tutti i suoi nemici e ora anche dalla destra israeliana più estrema che da sempre si oppone a 2S2P ( come Hamas, Hezbollah, Iran e larga parte degli arabi sunniti) e che è alla base del disastro attuale che viene da lontano e con molteplici origini, compresi il secolare conflitto sciita-sunnita (persiani-arabi per semplificare) e la lotta “sotterranea” per il dominio sui ricchi mercati del petrolio così come il controllo sugli snodi marittimi dei flussi commerciali tra Suez e Mar Rosso.

In una area di paesi dove distinguere “buoni e cattivi” certo non coincide con la troppo semplificata distinzione tra sunniti e sciiti perché sembra scomparso dai radar il “medio-lungo periodo” e si vive di tatticismi e catene di reazioni – controreazioni di “breve periodo”. I tanti fronti aperti in questo anno da Netanyahu quali soluzioni prevedono sul “dopo” se ha l’obiettivo di ridefinire la geopolitica e il potere nell’area per assicurare la sopravvivenza di Israele e la sua?

Quale sarà la collocazione strategica di Israele nell’auspicato “dopo guerra” ? Gli “Accordi di Abramo” potranno assicurare l’esistenza di Israele e la sicurezza nel lungo periodo e saranno anche in grado di assicurare un futuro e l’esistenza stessa del Popolo Palestinese e di “una terra loro per loro” sulla stessa Terra di Abramo e di Ismaele”?

Fine della storia” o “svolta della storia” in un multilateralismo senza leader ?

Dalla risposta a queste domande sapremo se siamo alla “fine della storia” o ad una “svolta della storia” tra crisi del bipolarismo novecentesco regolato dalla deterrenza nucleare e la deflagrazione del multilateralismo che non trova “regolatori e mediatori” ma solo espressioni di forza senza una visione del “dopo” se e quando un dopo si configurerà.

Tre i principali impatti:

(A) aumento dei flussi migratori e delle masse umane che si spostano alla ricerca di una qualche sopravvivenza e di una protezione per i propri figli ( 1 mil.ne di profughi a Beirut e 100mila in Israele, senza contare quelli a Gaza);

(B) sui prezzi petroliferi e le borse che per ora stanno a guardare “in sospensione” ma nelle prossime ore potrebbero rapidamente cambiare con effetti globali;

(C) in questo quadro con i colpi inferti a Hamas e Hezbollah oltre che agli Houti e ora con lo scontro diretto Israele-Iran c’è il rischio che il terrorismo nel mondo potrebbe risollevarsi come un’onda e senza un Iron Dome a proteggerci da Londra a New York , da Parigi a Berlino, da Roma a Praga, da Montreal a Kinshasa.

L’ “onnipotenza israeliana” alimentata dal tragico pogrom del 7 ottobre e i successi di questi ultimi mesi lo sta portando a pensare al “riordino generale” dell’area medio-orientale che impone tuttavia una legittimazione reciproca e non è credibile chi pensa di poter esportare la democrazia in Iran con le bombe, come non è credibile chi pensa di potere distruggere Israele.

Deterrenza e eliminazione dei leader del terrorismo filoiraniano da parte di Israele basterà  a salvare la propria anima oltre che se stesso? Perché Hezbollah prova a “resistere” essendo l’unica “opzione attiva” per l’Iran non potendo entrare in un conflitto aperto con Israele.

Dall’altra parte si spera di potere riaccendere il dispositivo della Risoluzione ONU 1701 che prevedeva il disarmo di Hezbollah da parte dell’esercito libanese e riprendere sovranità territoriale. Ma nel frattempo purtroppo l’onda dell’antisemitismo si sta diffondendo nel mondo e questo ci deve molto preoccupare come la manifestazione di Roma del 5 ottobre pro-Palestina ha puntualmente confermato scivolando lungo terribili derive di violenza da parte di minoranze irresponsabili di black block.

Mentre dovremmo provare invece a “spegnere il tifo” di tutte le parti entrambe per riscoprire il linguaggio del dialogo e della comprensione perché possa riaccendere la speranza di una pace possibile. Spiraglio per tornare a far dialogare Oriente e Occidente dove non c’è alcuna “guerra di civiltà” perché la Civiltà che abbiamo costruito nei millenni appartiene alla stessa radice umana seppure allargata in un diffuso e intrecciato apparato radicale, ma immersa in un humus unico da integrare per una Unica Terra.

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