Raigate. Polpette avvelenate e malcostume farisaico. Ancora una volta la Rai al centro dello scontro politico del Paese

di di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale) |

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Rai sede

Dopo lo scoop de La Repubblica di ieri (due pagine intere, con richiamo in prima), i dirigenti della Rai Deborah Bergamini, Carlo Nardello e Benito Benassi, sono nell’occhio di un ciclone i cui mandanti sono oscuri: vengono additati al pubblico ludibrio come burattini di una regia consociativa. C’è chi li ha bollati come “quinta colonna” di Mediaset dentro la Rai, c’è chi ha denunciato il “patto scellerato“, c’è chi ha urlato allo scandalo del “palinsesto unico“, chi ha evocato il Watergate… 

 

Il direttore del quotidiano che ha lanciato la palla, Ezio Mauro, scrive, letteralmente: “…centrale unificata di un’informazione omologata e addomestica, al servizio cieco e totale del berlusconismo al potere”. Perbacco, eravamo nel regime dei soviet, altro che veline del duce, e non ce ne eravamo accorti! Nell’editoriale di oggi, è generoso di accuse: “malcostume politico, umiliazione professionale, vergogna aziendale“.

E, per nobilitare intellettualmente il suo pesante articolo, evoca addirittura la “struttura delta” del romanzo conradiano “L’agente segreto“! Va comunque dato atto a La Repubblica di aver pubblicato, nell’edizione odierna, una lettera di chiarificazione dell’ex Direttore Generale della Rai, Flavio Cattaneo, con dignità grafica di articolo e discreto posizionamento nella pagina. L’opposizione, meccanicamente quasi, grida allo scandalo della “giustizia a orologeria” (Bondi), c’è chi definisce tutta la vicenda come “sciocchezze” (Rossella) e c’è chi evoca il fantasma della P2 (Confalonieri )… Il Giornale intitola “Bomba sul dialogo” e “L’imboscata“, riferendosi all’imminente incontro tra Veltroni e Berlusconi su una possibile riforma elettorale accelerata ed ipotizzando nessi logico-politici tra quest’incontro e lo “scandalo”. Dietrologia per dietrologia, c’è chi invece collega l’episodio alla vicenda di Petroni e del suo reinnesto nel Cda Rai, schiaffo politico al Governo. Mediaset, infine, annuncia querela per diffamazione. Ieri, le agenzie stampa hanno battuto centinaia di dispacci ed oggi la rassegna stampa evidenzia decine di articoli: un diluvio di dichiarazioni, di prese di posizioni, di accuse, di pontificazioni. 
Emerge, su tutto, la diffusa ipocrisia di questo nostro Paese, che tende a drammatizzare le pagliuzze ed ignora le travi. 

 

Alcune premesse sono necessarie. 
Non si debbono nutrire simpatie per i radicali (per le nobili idee radicali, non per la confusa forma-partito attuale), per avere conferma, anche da questa vicenda, di come l’Italia non sia uno Stato di diritto, e di come a nulla siano servite Tangentopoli e le sue repliche e le tardive critiche ai suoi metodi, per fare in modo che il diritto alla privacy del cittadino, indagato o imputato che sia, venga tutelato come prevedono Costituzione e leggi dello Stato. I verbali di procedimenti della magistratura continuano ad uscire dai tribunali e la incivile prassi dello “sputtanamento” effimero, urlato in prima pagina, e della rettifica, spesso tardiva e sussurrata in un trafiletto, continua ad essere la regola della gran parte delle italiche testate giornalistiche; in questo caso, poi, siamo al paradosso, trattandosi di intercettazioni che – nello slang della magistratura – vengono definite “di sponda”, ovvero non penalmente rilevanti; la sinistra governa e la proposta di riforma Mastella sulle intercettazioni è insabbiata, esattamente come i disegni di legge Gentiloni… Chi scrive questa nota ha avuto rapporti professionali e personali con la “triade apicale”, come l’aveva definita l’anonimo Grillo Sparlante sulle colonne di una testata quotidiana meritevole qual era “Punto.com”: Bergamini-Nardello-Benassi erano (e sono) infatti il vertice di quella Direzione Marketing che l’era Cattaneo (2003-2005) aveva elevato a bussola dell’intera azienda. Questa presa di posizione è dettata da una esigenza civico-civile. La tempesta scatenata intorno alla triade è un atto farisaico, che nasconda le patologie autentiche del consociativismo che caratterizza molte delle dinamiche politiche del nostro Paese; la curiosa “coincidenza” dell’operazione mediatica contro Bergamini & Co. con l’arresto domiciliare di alcuni dirigenti della Direzione Acquisti Rai, conferma l’esistenza di una regia occulta di queste operazioni giudiziario-mediatiche. 
 

Tentiamo una ricostruzione dei fatti, alla luce della corposa rassegna stampa, assolutamente sproporzionata a fronte delle dimensioni dell’episodio. Ai limiti del surreale. All’interno di un’indagine che riguarda il fallimento della holding Hdc di Luigi Crespi (già sondaggista di fiducia di Berlusconi, poi caduto in disgrazia, coinvolto in intricate vicende giudiziarie), emergono delle intercettazioni (che peraltro sono state stralciate dal procedimento ed allegate in sintesi agli atti del processo) che evidenziano conversazioni telefoniche tra la succitata “triade” ed esponenti di Mediaset e di Forza Italia. L’asse principale sarebbe tra Deborah Bergamini per Rai e Mauro Crippa per Mediaset, ma entrano in gioco anche Piersilvio Berlusconi ed altri ancora: Del Noce, Mimun, Vespa, Rossella, Bonaiuti, Pionati… tutti componenti di una presunta banda di malfattori mediali, di criminali “gatekeeper ” dell’informazione di parte e di partito… In occasione di eventi eccezionali come la morte del Papa o le elezioni nazionali, i due “duopolisti” si parlano, si confrontano, e finanche “concordano” alcune strategie. 

Dove è lo scandalo? 
Da quanti decenni, in Italia, assistiamo ad un duopolio, che, inevitabilmente, determina flussi comunicazionali ed interazioni decisionali tra i vertici dei due gruppi? 
Verrebbe da banalizzare: “è il capitalismo, baby …“.

 

Le dinamiche di cartello non sono la patologia del capitale, sono la norma: è il capitalismo stesso che manifesta la propria logica prepotente. 
Lo Stato, lo Stato di diritto, interviene, deve intervenire, dovrebbe intervenire, affinché i processi oligopolistici non vadano a stravolgere le logiche del mercato – ahinoi del teorico “libero mercato” -, il diritto alla concorrenza, il diritto dei consumatori… Questo sistema di regole correttive, di poteri contrapposti ma equilibrati, di democrazia ben temperata, non caratterizza il nostro Paese, per un insieme di concause che attraversano le culture di tutti gli schieramenti politici. Chi è stato a non approvare la legge sul conflitto di interesse quando era al Governo? La sinistra ha governato questo nostro Paese per anni. Ha forse messo mano ad una seria riforma della Rai? Ed il Governo Prodi è forse intervenuto su queste tematiche critiche??? 
L’eredità culturale e politica della logica “corporativistica” del regime fascista (il mettere assieme tutti, ecumenicamente, i capitalisti ed i lavoratori in primis) alimenta ancora il nostro Paese, prima o seconda Repubblica che sia. Soffriamo di una sorta di patologia genetica all’inciucio.   
 

Or bene, ora “La Repubblica“, definito da molti quotidiano-partito, scopre che la ex assistente di Berlusconi, assunta in Rai forse con una “raccomandazione” (invece, a “la Repubblica”, tutti sono assunti per concorso meritocratico?), ma comunque ricca di un curriculum professionale eccellente… comunica, telefona, incontra, fa cose vede gente, e magari manifesta simpatie ed antipatie. Forse esercita anche il diritto di voto. Prima che una dirigente, è anche una cittadina, sia consentito osservare. Una libera cittadina, nel pieno esercizio dei suoi diritti fondamentali. Chi scrive questo articolo ha avuto occasione di lavorare, da consulente Rai, con Deborah Bergamini e con i suoi colleghi, e può testimoniare la qualità dell’impegno professionale, ma anche – ed è altrettanto importante – la tenacia con la quale la struttura tecnica del marketing Rai ha lavorato contro il concorrente Mediaset. In diversi anni di lavoro, mai v’è stata anche solo l’impressione di una dinamica collusivo-consociativa, di impropri scambi di informazione. Eppure, chi scrive questo articolo presiede una struttura di ricerca specializzata, che lavora sia per Rai sia per Mediaset, che deve mantenere evidentemente una assoluta terzietà coi rispettivi clienti. Se vi fosse stata traccia di inciucio, nell’operato della Direzione Marketing Rai, l’avremmo rilevata. 

Mai abbiamo avuto anche solo il sentore o l’impressione di azioni concordate tra le due direzioni marketing. 

L’operato di Deborah Bergamini e dei suoi colleghi deve essere giudicato nel perimetro specifico della loro giurisdizione professionale: la Direzione Marketing della Rai. 

Questa direzione, negli ultimi anni, ha lavorato meglio che in passato, cercando di dotare l’azienda di un “think thank” tecnico adeguato alle sfide in essere. Si è dotata di risorse professionali qualificate e di strumentazioni tecniche evolute. Certo, così operando, la Direzione Marketing ha acquisito “potere”, ed è stata mal vista da altri centri di potere aziendale. Non ci risulta vi siano state critiche all’operato tecnico-professionale del “trio” Bergamini-Benassi-Nardello. Le simpatie politiche e le scelte partitiche sono diritti di libertà del cittadino e non debbono influenzare le logiche tecnocratiche che dovrebbero caratterizzare un’azienda come Rai.   
Le scelte del marketing Rai, spesso lungimiranti, non sono sempre state fatte proprie dalla Direzione Generale e dal Consiglio di Amministrazione, e, se la Rai si trova così insabbiata, lo si deve alla incertezza dei suoi vertici politici e non certo alla incapacità della Direzione Marketing. Se la Rai, negli ultimi anni (decenni), non ha avuto una vera bussola, è perché i “timonieri” (il Cda) non l’ha voluta utilizzare questa bussola, non perché mancassero strumentazioni interne. Le competenze e le professionalità sono state spesso disprezzate, come nel caso gravissimo della esternalizzazione dell’entertainment. Insieme alla direzione generale Leone-Cappon, sono stati proprio i “maledetti” Bergamini-Benassi-Nardello ad aver redatto i piani industriali ed editoriali approvati dal Consiglio di amministrazione Rai a fine ottobre 2007. Questo conta, crediamo, il resto è fuffologia strumentalizzata politicamente. 

 
In passato, in Rai, abbiamo osservato, e vissuto finanche in prima persona, dinamiche di discriminazione basate su logiche di partito e su simpatie/antipatie personali, incarnate ai più alti livelli della tv pubblica italiana, anche nella persona dell’ex Presidente Rai Roberto Zaccaria (ed ora silente europarlamentare diessino), che ha messo nel “libro nero” dei fornitori Rai il nostro istituto, per anni, perché avevamo avuto l’ardire di criticare alcune logiche – duopolistiche appunto – della Rai che presiedeva. Non irrilevante ricordare che, nei primi anni Novanta, chi scrive queste righe, era nel Cda di Cinecittà (come tecnico “in quota” Psi) e si era duramente scontrato con lo Zaccaria anch’egli consigliere di Cinecittà(“in quota” Dc). Lo scontro era stato scatenato – tra l’altro – dall’opposizione di Zaccone al mantenimento a Cinecittà di una norma, medievale, che caratterizzava Rai ancora fino a pochi anni fa: un dipendente che anticipava il proprio pensionamento poteva far assumere, senza concorso, il figlio! 

  

Da anni, sulle colonne del mensile Millecanali (gruppo Il Sole-24 Ore) e del quotidiano online Key4biz critichiamo in modo aspro le dinamiche patologiche del duopolio. 
Lo scandalo provocato da La Repubblica provoca il sorriso, rispetto a pratiche, ben più gravi, che Viale Mazzini ha messo in atto nel corso dei decenni, quale che fosse il suo “governo”. Un sindacalista intelligente e lucido come Roberto Natale, ex Usigrai ed ora Fnsi , ha invocato esigenze di “pulizie etica”, conscio che qualcuno paventerà il rischio di “pulizie etniche”: il gioco di parole è efficace, e lo facciamo nostro, ed il rischio è concreto, non retorico. Siamo sicuri che “l’indagine interna” che Rai ha promosso evidenzierà l’assoluta assenza di profili critici (concreti, ovvero tecnicamente rilevanti rispetto al ruolo manageriale) nell’operato di Bergamini-Nardello-Benassi. Se si vuole invocare l’etica, la si applichi a trecentosessanta gradi, senza distinzioni di parte e di partito, senza dicotomie ipocrite, perché non è vero che “a sinistra” c’è il bene ed “a destra” il male, a Viale Mazzini la “nobiltà” e a Viale Europa la “nefandezza”… La sinistra al governo abbia il coraggio, anzi la forza, di far divenire legge dello Stato il tentativo di Gentiloni di sganciare il governo della Rai dal dominio partitocratico. 
Predicare bene e razzolare male è facile esercizio di moralismo e ipocrisia. 
Facile colpire le persone, arduo correggere le regole del sistema. 
Se si vuole combattere la logica dell’inciucio e delle caste, del servilismo e del malcostume, si deve procedere con equità ed equilibrio, senza guardare in faccia nessuno. La demonizzazione dell’avversario è una delle patologie della politica italiana e parte dell’insuccesso della sinistra al governo è proprio da attribuire alla personalizzazione della battaglia politica nei confronti di Silvio Berlusconi e della sua coalizione. Deborah Bergamini è stata assistente del demone per alcuni anni e quindi è bene estendere anche a lei questa ridicola demonizzazione? 
L’inchiostro moralista nel quale intingono la penna molti giornalisti, su questa vicenda, è degno di migliori cause. 

Non siamo simpatizzanti di Oscar Giannino, ma ci piace fare nostro quel che scrive nel suo editoriale odierno, su “Libero“: “…che cosa pensano di raccontarci, gli sbandieratori di queste intercettazioni? che alla Rai di oggi i direttori nominati dall’Ulivo non si parlano per telefono di palinsesti e di aperture dei tg, quando riguardano le notizie “sensibili”, per Prodi e la sua compagine? che questo è meno rilevante, rispetto a quanto avveniva ai tempi del governo Berlusconi? Ma fateci ridere, per favore“. 

 

Condividiamo e, per metterla in ulteriore burletta, ci limitiamo a ricordare mediologicamente quel che è avvenuto in occasione della scoperta dell’incontro di Sircana con un transessuale! Vizi privati, pubbliche virtù, come si intitolava un bellissimo film di Miklós Jancsó. Ed invece Travaglio, ormai preso da delirio moralista, intitola oggi “L’uso criminoso della tv”, su un altro giornale-partito, L’Unità (anche se la proprietà di questa testata è incerta). E’ interessante osservare che usa esattamente quello stesso aggettivo utilizzato, a suo tempo, dal demone Berlusconi, in occasione del cosiddetto “editto bulgaro”, per estromettere Santoro e Biagi dalla Rai (sia chiaro che ritenemmo quella decisione gravissima, e peraltro incoerente con quell’anima liberal-liberista tante volte richiamata dallo stesso Berlusconi). Si invoca la meritocrazia e la tecnocrazia, ma si resta imbrigliati nelle logiche di partito, di banda, di schieramento. 
Sarebbe esercizio nobile non demonizzare ideologicamente l’altro, il diverso da sé, ma anche avere l’onestà di riconoscere i propri, di demoni. Il marcio non è (solo) in Danimarca, ovvero ai piani alti di Viale Mazzini, ma va cercato, e condannato, a Montecitorio, a Palazzo Madama, a Palazzo Chigi. 

 

 

P. S. Piace osservare che questa mattina, mentre la polemica infuriava, in occasione di una affollatissima presentazione in pompa magna del progetto “Rai per la Cultura” promosso da Rai Trade, il demonizzato Carlo Nardello, ex Direttore Marketing della holding e da qualche mese Amministratore Delegato di Rai Trade, era seduto al fianco del Direttore Generale della Rai Cappon e del Ministro Gentiloni, ed è tranquillamente intervenuto, riscuotendo anche applausi. In fondo, un atto simbolico importante, da parte di una Rai che dovrebbe essere – essa stessa come servizio pubblico – la prima garantista.

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