Pirateria digitale: gli ISP britannici contro il Libro Bianco del governo Brown

di Alessandra Talarico |

Gran Bretagna


File sharing

I fornitori di accesso a internet britannici sono in rivolta contro la proposta del governo Brown di un loro maggiore coinvolgimento nella lotta alla pirateria informatica, frapponendo “barriere tecniche e morali” all’adozione dei dettami contenuti nel Libro Bianco “World’s Creative Hub”.

 

Anche la Gran Bretagna, infatti, ha allo studio una nuova proposta di legge in base alla quale gli internauti sospettati di scaricare illegalmente si vedranno recapitare un primo avvertimento via email, seguito da una sospensione cautelativa per un’eventuale successiva violazione e, infine, dalla terminazione del contratto se beccati per la terza volta con le mani nel sacco.

I fornitori di accesso a internet che non dovessero applicare la regola dei “three-strikes” saranno perseguibili legalmente per poter accedere attraverso un’ingiunzione del tribunale ai dati personali degli utenti incriminati.

 

Ma gli ISP d’oltremanica non ci stanno e pur dicendosi favorevoli a una risposta ‘graduale’ al problema della pirateria, si oppongono al bloccaggio della linea, adducendo motivazioni tecniche – vista l’impossibilità di fare distinzione tra peer-to-peer legale e pirateria – e anche giuridiche, alla luce delle diversi leggi che impediscono ai fornitori d’accesso l’esercizio di funzioni di sorveglianza, salvo nel caso di procedure penali.

 

In base alle leggi sull’E-Commerce del 2002, infatti, gli ISP sono da considerarsi come ‘meri canali’ e non come responsabili per i contenuti dei flussi di traffico sulle loro reti.

 

Anche all’idea di replicare quanto già avviene negli Usa, ossia di applicare una forma di gestione del traffico che permetterebbe di limitare la banda dei maggiori ‘downloader’, i fornitori di accesso britannici storcono il naso, precisando che la tecnologia in grado di regolare il traffico web esiste già, ma è usata per normalizzare il traffico nelle ore più congestionate, non a scopi ‘punitivi’.

 

Negli Usa, tra l’altro, Comcast – l’operatore che ha deciso di adottare tecniche di traffic management – è sotto indagine da parte della Federal Communications Commission (FCC), che vuole verificare che tutti gli utenti “siano trattati allo stesso modo” e che non venga utilizzata qualche pratica di bloccaggio poco trasparente.

 

La società si è subito difesa spiegando che “…la responsabilità della società è quella di garantire agli utenti la migliore esperienza internet possibile, utilizzando le ultime tecnologie di gestione della rete per permettere a tutti di godere di ogni applicazione”.

Un manager di Comcast ha tuttavia chiarito che la questione è un po’ più complessa. La compagnia utilizza infatti tecnologie di gestione dei dati – ammesse dalla FCC – per riservare banda larga a determinati flussi di traffico, in modo da evitare fenomeni di congestione di rete causati da picchi nell’accesso a internet.

 

Come parte di questo processo di management, occasionalmente – ma non sempre – la compagnia ritarda alcuni trasferimenti di file peer-to-peer che rallentano la velocità di internet a svantaggio di altri utenti sulla rete.

 

Secondo Andrew Ferguson di Think Broadband, tutti gli ISP adottano tecniche di gestione del traffico, anche per tenere bassi i costi della banda, e le utilizzano – in modi diversi – per sopravvivere in un mercato sempre più sovraffollato

 

“Quello che cambia – ha spiegato Ferguson alla BBC – è il grado di utilizzo di questi sistemi e la disponibilità dei provider ad ammetterne l’esistenza di fronte agli utenti, i quali in realtà poco sanno di quello che viene o non viene bloccato”.

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