AI e digital twins per sviluppare nuovi materiali da impiegare nella produzione di semiconduttori, “senza Pfas”
Domani 5 aprile si terrà in Belgio il Consiglio tra Unione europea (Ue) e Stati Uniti per il Commercio e la tecnologia (Ttc). Tra i temi al centro del confronto l’impiego dell’intelligenza artificiale (AI) per capire in che modo sia possibile rimuovere le sostanze polifluorurate (Pfas) dal processo di produzione dei semiconduttori.
La notizia è stata diffusa da bloomberg.com, secondo cui è possibile lo sviluppo a breve termine di nuovi materiali tali da poter fare a meno dei terribili Pfas, sostanza estremamente inquinanti e che tendono a rimanere a lungo nell’ambiente, con ricadute rilevanti sulla salute degli ecosistemi (e quindi umana).
Ad esempio, si legge nell’articolo, “è prevedibile esplorare l’uso dell’intelligenza artificiale e dei gemelli digitali per accelerare lo sviluppo di materiali alternativi al Pfas per produrre semiconduttori”.
Il Consiglio Ue-Usa per il Commercio e la tecnologia è la sede in cui gli Stati Uniti e l’Unione europea possono coordinare il loro approccio alle principali questioni commerciali, economiche e tecnologiche su scala mondiale e approfondire le relazioni commerciali ed economiche transatlantiche sulla base dei valori democratici condivisi.
Il pericolo Pfas
Pfas che sono anche chiamati “sostanze chimiche per sempre”, o eterne, proprio per il loro persistere a lungo e lunghissimo tempo nell’ambiente. Difficili da scomporre, i Pfas li ritroviamo ormai anche nei prodotti alimentari destinati alla grande distribuzione.
Si tratta di composti chimici altamente fluorurati, è spiegato anche dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, caratterizzati da una struttura chimica molto stabile che li rende particolarmente resistenti ai processi naturali di degradazione, a causa della loro elevata persistenza ambientale, tanto da essere nominati “forever chemicals”.
Grazie alla loro inerzia chimica, sono stati utilizzati fin dagli anni 50 in molti settori industriali, come quello conciario, della produzione di carta e dei contenitori per uso alimentare, per i rivestimenti antiaderenti delle pentole e come impermeabilizzanti nella produzione di abbigliamento tecnico (goretex).
A causa di un utilizzo massiccio, di una forte resistenza ai processi di degradazione naturale (fotolisi, idrolisi e decomposizione aerobica e anaerobica) e della tendenza ad accumularsi negli organismi viventi, si è verificata nel tempo una diffusa contaminazione ambientale.
Inoltre, alcuni PFAS, tendono a biomagnificare attraverso la catena alimentare, cioè tendono ad aumentare la concentrazione delle sostanze tossiche, a partire dai livelli trofici più bassi fino a raggiungere quelli più alti della piramide alimentare. L’accumulo dei PFAS nell’organismo umano ha effetti tossici e può essere correlato a patologie neonatali, diabete gestazionale e, in caso di esposizione cronica, formazione di tumori. Alcuni PFAS sono stati classificati anche come potenziali interferenti endocrini.
Secondo il Nordic Council Report del 2019, per l’esposizione della popolazione ai Pfas si stimano in Europa costi complessivi compresi tra 52 e 84 miliardi di euro.
Pfas ed elettronica di consumo
Secondo l’industria chimica europea, il divieto di Pfas a livello produttivo potrebbe avere ampie ripercussioni negative sull’economia continentale e anche quella americana. Il rischio maggiore, secondo i rappresentanti di questo settore (molto ricco) potrebbe determinare gravi interruzioni nelle catene di approvvigionamento globali, dalle automobili agli smartphone, fino appunto ai semiconduttori.
L’impiego di Pfas nell’industria dell’elettronica di consumo sta aumentando del 10% all’anno ed è trainata proprio dalla produzione di chip.
Nel 2020 sono state introdotte sul mercato oltre 300 mila tonnellate di Pfas e nei prossimi 30 anni il consumo di queste sostanze nello spazio economico europeo potrebbe salire a 49 milioni di tonnellate.
Indebolire la leadership cinese
La stessa fonte suggerisce, inoltre, che l’accordo di impegno congiunto su questo punto faccia parte di una più ampia strategia per differenziare la produzione di semiconduttori, settore in cui la Cina sta investendo moltissimo negli ultimi anni.
Per “evitare un problema di sicurezza internazionale”, potrebbe porsi come strada da seguire quella di creare nuovi processi produttivi, magari finalizzati a diversificare i chip in base al tipo di materiale utilizzato.
Qualcosa, in poche parole, che possa avvantaggiare gli Stati Uniti e i suoi alleati rispetto al gigante cinese, semplicemente creando un nuovo standard più sostenibile da un punto di vista ambientale e della salute umana.
Chip e semiconduttori
Con il termine chip si indica un circuito elettronico miniaturizzato dove i vari transistori sono stati formati tutti nello stesso istante grazie a un unico processo fisico-chimico.
Un chip, che altro non significa letteralmente che “pezzetto”, è il componente elettronico composto da una minuscola piastrina del wafer di silicio (die), a partire dalla quale viene costruito il circuito integrato; in pratica, il chip è il supporto che contiene gli elementi (attivi o passivi) che costituiscono il circuito.
I semiconduttori sono i materiali speciali che si utilizzano per realizzare le componenti di base dei chip, ovvero i transistor, i diodi, i resistori e tutte le altre componenti fondamentali dell’elettronica.
La loro caratteristica fondamentale è indicata dal nome stesso, si legge in un approfondimento proposto su repubblica.it, “sono per definizione materiali la cui conducibilità (o conduttività) elettrica si attesta su valori che sono più o meno a metà strada rispetto a quella dei buoni conduttori (come il rame) e quella dei materiali isolanti (come la gomma o il quarzo)“.