Come avranno notato i lettori più affezionati della rubrica “ilprincipenudo” che l’Istituto italiano per l’Industria Culturale IsICult cura sulle colonne del quotidiano online “Key4biz”, ieri siamo stati lieti di poter fornire una anteprima rispetto al decreto che il Ministro Gennaro Sangiuliano ha firmato il 19 marzo 2024, ricostituendo, a distanza di nove mesi dalla decadenza del precedente, il Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo (il “Csca”), il massimo organo di consulenza del dicastero in materia di cinema e audiovisivo. Si rimanda a “Key4biz” del 28 marzo 2024, “Il Ministro Sangiuliano nomina il nuovo Consiglio del Cinema e dell’Audiovisivo. Scelte molto discrezionali?”)
La notizia – come temevamo – non ha avuto una ricaduta mediatica significativa, ma d’altronde nemmeno l’appello firmato il giorno prima (mercoledì 27) da decine di sigle associative del cinema e dell’audiovisivo italiano (100 Autori, Agici, Aic, Amc, Anac, Apa, Apai, Asc, Cartoon Italia, Cna Cinema e Audiovisivo, Doc/It, Unione Produttori Anica, Unita e Wgi), che hanno convocato una conferenza stampa per venerdì della prossima settimana (5 aprile) ha registrato una ricaduta significativa.
L’iniziativa dei protestatari è stata segnalata ieri soltanto giustappunto da IsICult sul quotidiano online “Key4biz”, mentre oggi qualche testata – ma soltanto su web (nemmeno un trafiletto sui quotidiani in edizione cartacea) – una qualche attenzione la dedica (dal sito Cinecittànews.it a Ciakmagazine.it).
Il piccolo “scoop” di IsICult / Key4biz, pubblicato alle 17:10, è stato rilanciato dall’agenzia stampa specializzata AgCult (diretta da Ottorino De Sossi) ieri stesso alle ore 17:58, e questa mattina la newsletter specializzata ovvero la versione digitale del sito del mensile “Box Office” (edito da e-duesse e diretto da Vito Sinopoli) ha segnalato l’anteprima di IsICult su “Key4biz”, pur usando grande prudenza ed un qualche condizionale (“il decreto sarebbe stato firmato”… “sono stati rivelati a sorpresa i nomi dei nuovi componenti del Consiglio Superiore del Cinema e Audiovisivo”…“stando a quanto riportato dall’Istituto italiano per l’Industria Culturale (IsICult) e ripreso da Key4Biz”) in un articolo firmato da Cristiano Bolla.
Da analisti mediologici, abbiamo pensato che altre testate avessero adottato maggior prudenza, e quindi la notizia del nuovo Consiglio sarebbe stata pubblicata allorquando fosse giunta una comunicazione istituzionale ufficiale da parte dell’Ufficio Stampa del Ministero della Cultura, guidato da Andrea Petrella. Pazienza. Si attenderà e si osserveranno le reazioni.
Quel che stupisce è che invece questa mattina la maggiore agenzia stampa nazionale Ansa pubblica la notizia, senza citare la fonte (che certamente non può essere il Ministero della Cultura, dato che, alle ore 16 di oggi venerdì 29 marzo 2024, il decreto ministeriale non risulta ancora pubblicato né sul sito madre del Mic né sul sito figlio della Dgca): l’Ansa lancia un dispaccio alle 13:59 intitolato “Sangiuliano nomina il nuovo Consiglio Superiore del Cinema” (omettendo che la denominazione esatta prevede anche “e dell’Audiovisivo”). Da notare che Ansa riproduce il refuso del decreto e riporta Vera Slepoi invece del cognome corretto, che è Slepoj. Sarà interessante verificare se anche domani (sabato 30), al di là della pausa pasquale, la notizia verrà ripresa.
Ma come si può ancora oggi “censurare” le rassegne stampa e web? L’incredibile “caso” dell’Anica
Diverte osservare che l’articolo di IsICult su “Key4biz” è stato ripreso nella rassegna stampa dell’Agis, mentre è stato completamente ignorato nella rassegna stampa e web dell’Anica: sarà forse perché abbiamo evidenziato nell’articolo di ieri l’indebolimento della “rappresentatività” dell’associazione nel nuovo Consiglio, oltre all’azzeramento di esponenti espressi dalla sua consorella Apa (Associazione Produttori Audiovisivi)?! Abbiamo manifestato perplessità sulla specifica competenza tecnica nel settore cinema e audiovisivo di alcuni dei “cooptati” dal Ministro, ma abbiamo riconosciuto anzi apprezzato che Gennaro Sangiuliano ha ridimensionato sia la componente “economica” del consenso sia la componente “televisiva” dello stesso, e ciò lascia presagire un “new deal”, e quindi un Consiglio Superiore attivo e propositivo, e non un portatore d’acqua del principe di turno, come avvenuto – ahinoi – dal 2017 in poi.
A proposito della divertente omissione dell’Anica, non è la prima volta che sorridiamo osservando alcune “politiche editoriali” dei curatori delle rassegne stampa (ovvero dei capi ufficio stampa) di soggetti come la Rai o la Siae o giustappunto la stessa Anica: alcuni interventi ritenuti evidentemente fastidiosi o scomodi vengono simpaticamente censurati!
Come se questo fosse un metodo intelligente, nell’epoca del web, per tenere “sotto controllo” il sistema dei media (ovvero “limitare i danni” di chi critica lo status quo), un sistema dei media che ormai è pervasivo, e quindi quel che viene censurato in una rassegna emerge comunque per altre vie.
Al di là del caso (microscopico ma sintomatico) in sé, cogliamo l’occasione per osservare (lamentare) come la quasi totalità dei giornalisti italiano che si interessano di cultura, media, spettacolo si appassionino sul toto-nomine di chi andrà a condurre il prossimo Festival di Sanremo e quasi nessuna attenzione dedichino invece alle tematiche della “politica culturale” e della “economia dei media”… Eppure è questa seconda dimensione (strutturale) ad influenzare, anzi a determinare, la prima (sovrastrutturale), e non si deve essere appassionati gramsciani o cultori marxiani per comprenderlo.
Ma – come dire?! – così va il mondo e sono rare le eccezioni: tra tutti, non possiamo non citare il collega Marco Mele (veterano di coloro che si interessano di politica e economie delle industrie dell’immaginario), che, dopo una lunga e brillante carriera sulle colonne del quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore” (sul quale proponeva anche analisi critiche sicuramente non sintoniche con alcuni associati a Confindustria, in primis Mediaset), attualmente scrive per il “Quotidiano del Sud” (diretto da Roberto Napolitano). Merita essere letto il suo articolo di mercoledì 27 sulla Relazione annuale dell’Agcom al Parlamento, intitolato “Auditel, alle concentrazioni opporre trasparenza ed equità”, nel quale giustamente segnala che l’incremento della quantità dei “player” del sistema televisivo-audiovisivo italiano “non comporta automaticamente un aumento della concorrenza: bisogna analizzare la ripartizione degli ascolti e degli introiti” dei 380 canali/programmi che vengono attualmente offerti dal sistema televisivo italiano…
I media “mainstream” si disinteressano anche del “contratto di servizio” Rai e si appassionano invece alla sceneggiata (partitocratica) del “toto-nomine” del Cda
Quel che stupisce non è soltanto il totale disinteresse dei media “mainstream” nei confronti del Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo o rispetto all’iniziativa “Vogliamo che ci sia ancora un domani” promossa da tante associazioni del cinema e dell’audiovisivo per il 5 aprile, ma anche la totale disattenzione rispetto alla ancora incredibilmente non avvenuta pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del “contratto di servizio” Rai. Nessuno, a parte IsICult/Key4biz ed il sempre vigile “BloggoRai” denuncia questi tempi incomprensibili.
Così come nessuno (o quasi) denuncia che è stata messa in scena la nuova farsa della elezione dei membri del Consiglio di Amministrazione della Rai da parte di Camera e Senato: nessuno si pone un problema di procedure trasparenti e di valutazione comparativa, ma si assiste passivamente ai giochi della partitocrazia, vecchia e nuova, con il solito fantasioso toto-nomine giocato dalle segreterie di partito…
Si legge oggi su “BloggoRai”, “della nomina del nuovo Cda Rai e di quanto si legge e si sente dire. Oggi pure il Manifesto partecipa al coro. Allora, leggendo quanto scrivono la “super velona” quasi tutti, da mesi, questo dovrebbe essere il nuovo Cda: Ad, Giampaolo Rossi (Governo); Presidente, Simona Agnes (Governo); Consiglieri: Casarin (Lega, Governo); Terranova o Lei proprio Lei (Fdi, Governo); di Majo (M5s); Valerio ma forse Margiotta (Pd); Di Pietro (dipendenti Rai). La domanda che corre d’obbligo è semplicemente: ‘perché’? Il primo perché è rivolto ai colleghi giornalisti che non si pongono nemmeno lontanamente il dubbio, la doverosa verifica, la domanda se tutto questo ha un senso e quale sarebbe. Nulla, non ci pensano proprio. Non ci pensano proprio perché non sanno e non vogliono sapere: troppo faticoso leggere il Mfa”.
La attuale procedura per la nomina del Consiglio di Amministrazione Rai viola il “Media Freedom Act” approvato dal Parlamento Europeo: perché i Presidenti di Camera e Senato non correggono la procedura?
Il Redattore Anonimo si riferisce giustappunto al “Media Freedom Act”, il regolamento approvato recentemente dal Parlamento Europeo, secondo il quale le nomine dei “public media service” dovrebbero avvenire con criteri di trasparenza e indipendenza rispetto all’esecutivo ed al potere partitico: e si pone un secondo quesito, “più drammatico: perché – non dico i partiti di Governo ma almeno quelli dell’opposizione – non si sottraggono a questa ignobile farsa e dicono chiaro e tondo che non presenteranno nomi che non siamo emersi dopo una selezione con criteri trasparenti e pubblici?”.
Si ricordi che il “Mfa” richiede testualmente, all’articolo 5, “una procedura trasparente, aperta e non discriminatoria sulla base di criteri trasparenti, oggettivi, non discriminatori e proporzionati”.
Ieri giovedì 28 “il Fatto Quotidiano” ha proposto, in un articolo firmato da Luca De Carolis, una lunga intervista alla Presidente della Commissione bicamerale di Vigilanza sulla Rai, Barbara Floridia (M5s), che dichiara, ma sommessamente, “il prossimo Cda della Rai rischia di essere illegittimo per l’Unione Europea”, proprio perché la procedura di nomina non rispetterebbe il dettato del Parlamento Europeo.
Non ci sembra però che la Presidente Floridia abbia chiesto con decisione una immediata correzione della procedura, come pure sarebbe nelle possibilità dei Presidenti di Montecitorio e Palazzo Madama…
Va osservato che, dalla “opposizione”, anche in materia di “politica culturale”, non emergono prese di posizione e segnali vivaci: in particolare, il Partito Democratico sembra sonnacchioso e non sembra aver manifestato critiche – se non generiche, ideologiche, rituali – rispetto alla annunciata riforma della “Legge Franceschini” (e qui stendiamo un velo penoso di silenzio su un ex Ministro ora soltanto senatore che ha deciso di non partecipare ai lavori della Commissione Cultura, optando per la Commissione Politiche Europee). E non ci sembra che il Pd o altri abbiano preso atto che il meccanismo del “tax credit” ha drogato il sistema alla radice, producendo di positivo soltanto quella “piena occupazione” tanto cara ai sindacati (e naturalmente agli operatori del settore). Che, in prospettiva di breve periodo, appare concretamente a rischio.
Silenzio totale sul “contratto di servizio” Rai. Silenzio sulla “valutazione di impatto” della Legge Franceschini. Sta forse per concludersi la stagione del “Francia o Spagna basta che se magna”?
Silenzio totale sui ritardi nella pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del “contratto di servizio” Rai, che pure è stato approvato da Viale Mazzini, sulla base del testo proposto dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (diverso rispetto a quello approvato nell’ottobre 2023 dalla Commissione Vigilanza), ormai oltre due mesi fa.
Silenzio totale sul Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo, nominato una decina di giorni fa, dopo nove mesi dalla scadenza del mandato dei precedenti consiglieri.
L’iniziativa di protesta del 5 aprile 2024 al Cinema Adriano evidenzierà molte “contraddizioni interne” del sistema audiovisivo nazionale, sebbene susciti perplessità che nel “calderone” dei postulanti vi siano associazioni che in passato hanno manifestato posizioni contrapposte, come (esemplificativamente) i creativi dei 100 autori ed i produttori televisivi dell’Apa…
In effetti, questo approccio “ecumenico” preoccupa un po’, perché lascia pensare che la dinamica sia convergente nel semplicemente chiedere al Governo più danari (insomma, “Francia o Spagna basta che se magna”?!), e non la necessaria profonda riforma del sistema di sostegno pubblico.
Si corre il rischio, anche su questo fronte, di una sceneggiata per semplicemente chiedere al Ministro Gennaro Sangiuliano di non tagliare oltre il Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo (passato dai 750 milioni di euro del 2023 ai 700 milioni del 2024) e di non scardinare l’assetto del sistema, allorquando il sistema invece avrebbe proprio necessità di uno shock radicale.
Abbiamo già segnalato che, per misteriose ragioni, la “valutazione di impatto” della Legge Franceschini (prevista dalla norma stessa, come strumento di navigazione in itinere) relativa all’anno 2022 (nota bene: duemilaventidue; per quella del 2023 l’incarico non è ancora stato assegnato, ricordando che per legge la Relazione dovrebbe essere trasmessa al Parlamento entro il 30 settembre di ogni anno, e mancano cinque mesi alla scadenza del termine) che la Direzione Cinema e Audiovisivo ha trasmesso al Gabinetto del Ministro non è ancora stata trasmessa dal Ministro Gennaro Sangiuliano a Camera e Senato (ovvero – se è stata trasmessa – non è stata pubblicata né sul sito web di Montecitorio e di Palazzo Madama o sul sito web della Dgca del Mic).
E perché le tante associazioni ora in agitazione non hanno mai chiesto, negli anni scorsi, che questo documento (che dovrebbe essere analitico e critico e propositivo) venisse discusso pubblicamente, e divenisse la base per un dibattito aperto, un confronto dialettico tra le varie anime del settore, per le necessarie “correzioni di rotta”?
Perché, per anni, hanno assistito passivamente alla deriva (e talvolta degenerazione) del sistema, che ha arricchito alcuni “big player” (società poi vendute a multinazionali straniere), ha arricchito le piattaforme (altre multinazionali), ha determinato una overdose produttiva che non ha rafforzato veramente il sistema, né a livello di vero pluralismo né a livello qualitativo???
Tutti entusiasti (in primis il Presidente dell’Anica Francesco Rutelli e poi il Past President dell’Apa Giancarlo Leone e in sintonia con loro la Sottosegretaria “bipartisan” Lucia Borgonzoni) per le sorti magnifiche e progressive del cinema e dell’audiovisivo italiano, grazie a quel che l’avvocato Michele Lo Foco (fresco di nomina come membro del Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo) ha efficacemente definito “il grande fiume” di danaro pubblico.
La manna sta per esaurirsi, l’ubriacatura è destinata a scemare, e qualcuno sembra finalmente illuminarsi sulla via per Damasco…
[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.