P2P, l’operatore Usa Comcast fa marcia indietro: collaborerà anche alla realizzazione di software per facilitare gli scambi

di Alessandra Talarico |

Stati Uniti


File sharing

Comcast sembra aver cambiato idea sul P2P:  il maggiore operatore via cavo statunitense, finito nel mirino delle Autorità per aver bloccato l’accesso ai siti di file-sharing ha infatti annunciato che non solo consentirà “il libero utilizzo di programmi di condivisione come Bit Torrent”, ma collaborerà alla realizzazione  di software in grado di ridurre i problemi di sovraccarico della rete quando si scambiano file molto pesanti.

 

Il caso era stato sollevato proprio da BitTorrent, in seguito a un’indagine condotta dalla Electronic Frontier Foundation e verificata in maniera indipendente dalla Free Press.

Gli esiti dell’analisi, realizzata scambiando un file da 4MB sulle reti di Time Warner, Cablevision, AT&T e Comcast, non lasciavano spazio ai dubbi: il blocco del download si verificava solo sulle linee di Comcast e riguardava non sono solo i file di grandi dimensioni, come la società voleva fare intendere, ma anche quelli più piccoli.  

 

Comcast ha infatti sempre minimizzato l’impatto delle limitazioni praticate sui siti di condivisione, riportandone la causa all’utilizzo di tecnologie di gestione del traffico – consentite dalla FCC – il cui compito è quello  di evitare fenomeni di congestione di rete causati da picchi nell’accesso a internet riservando banda larga a determinati flussi di traffico.

Come parte di questo processo di management la compagnia ammetteva di ‘ritardare occasionalmente’ alcuni trasferimenti di file peer-to-peer che rallentavano la velocità di internet a svantaggio di altri utenti sulla rete.

 

Comcast – che conta circa 11 milioni di clienti a banda larga – ha ovviamente ricevuto il sostegno dell’industria tlc americana, che ha respinto in massa l’ipotesi di eventuali restrizioni all’uso dei sistemi di gestione del traffico che avrebbero finito per solo per aggiungere nuovi costi ai fornitori di banda larga e per ripercuotersi sugli utenti, sotto forma di aumento dei costi del servizio.

 

Il dietrofront di Comcast è quindi molto significativo e segna un’importante vittoria per associazioni di consumatori e attivisti della network neutrality che hanno contestato fin da subito il comportamento di Comcast, giudicandolo contrario ai principi di neutralità sottolineati dall’Internet Policy Statement della FCC e avviando una class action contro il gruppo.

 

Anche in Italia, le associazioni dei consumatori hanno ricevuto tantissime segnalazioni relative al blocco dell’accesso ad alcuni sistemi di file-sharing, tanto che su denuncia di Aduc, l’Autorità garante della concorrenza (Agcm) ha aperto a gennaio un’istruttoria per stabilire se l’operatore telefonico Tele2 abbia o meno dato informazioni corrette in merito al blocco delle connessioni peer-to-peer.

 

“Speriamo che questa novità – comunica Aduc in una nota – spinga anche i gestori italiani a rivedere la loro politica, fatta di limitazioni non esplicitate in nessun contratto”.

Secondo Aduc, se porre limiti alla banda è legittimo per gestire problemi di traffico della rete, bloccare specificamente un particolare software/sito è illegale.

 

Tantissime applicazioni, come ad esempio i servizi streaming video, richiedono anche più banda del P2P quindi sarebbe lecito bloccare anche i servizi offerti in maniera del tutto legale e qualsiasi programma pesante.

I sistemi di traffic management – se davvero sono essenziali per evitare problemi di sovraccarico della rete – dovrebbero essere usati, sottolinea Aduc, con criteri “di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità”.

 

A questo proposito, l’associazione denuncia il mancato intervento dell’Autorità Garante per le Comunicazioni nel dibattito sulle azioni di filtraggio, praticate anche dagli operatori italiani, e che vanno a toccare non solo questioni legate all’inadempienza contrattuale da parte dei gestori, ma anche il concetto di “libera circolazione delle idee e di net-neutrality”.

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