Plastica, cervello e sviluppo di malattie neurodegenerative (come Alzheimer e Parkinson)
Le microplastiche e le nanoplastiche possono superare la barriera emato-encefalica del nostro cervello, fino ad indurre cambiamenti significativi nel comportamento, estese infiammazioni e stress ossidativo. Tutti fattori che possono contribuire allo sviluppo di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson.
Ne ha parlato Harris A. Eyre, ricercatore del Baker Institute for Public Policy della Rice University e consulente dell’Associazione degli economisti euromediterranei, in un articolo pubblicato sulla rivista Psychiatric Times.
“Esortiamo tutti i cittadini ad impegnarsi nel Trattato Globale sulla Plastica. Apprezziamo il panel del Forum economico mondiale del 2024 sull’avanzamento dei negoziati, che mira a sbloccare il cambiamento sistemico necessario per affrontare la crisi della plastica e porre fine all’inquinamento che ne deriva una volta per tutte”, il monito di Eyre.
Nanoplastiche e microplastiche
Con il termine microplastiche si indicano generalmente frammenti di plastica con dimensioni inferiori a 5 millimetri di diametro, originati dalla frammentazione di oggetti di medie e grandi dimensioni. Nanoplastiche, invece, sono frammenti molto piccoli, di dimensioni inferiori a 1 micrometro (un millesimo di millimetro), generati dalla frammentazione delle microplastiche o dalla sintesi diretta di polimeri in scala nanometrica (essendo di dimensioni estremamente piccole sono le più rischiose per il nostro organismo, perché riescono facilmente a passare ogni membrana e quindi invadere gli organi vitali).
Anche se parziali e relativi a sperimentazioni animali, come topi e cavie, il ricercatore ha definito “allarmanti” i primi risultati dei test di laboratorio, soprattutto se consideriamo la gravità della minaccia, che è su scala globale.
Secondo uno studio dell’Università di Medicina di Innsbruck, tali frammenti di plastica possono raggiungere il nostro cervello appena due ore dopo esser stati ingeriti bevendo o mangiando.
La plastica, ha ricordato lo studioso, “si trova sulla cima dell’Everest, sul fondo della Fossa delle Marianne, nel latte materno e nei tumori al cervello”. Senza considerare che recenti ricerche hanno scoperto un’enorme quantità di micro e nano fibre di plastica nell’acqua in bottiglia (in realtà in qualsiasi contenitore/imballaggio di questo materiale, che sono di fatto i più usati in assoluto per uso alimentare).
Gli effetti neurotossici della plastica, anche se riciclata
L’ipotesi di studio è che i frammenti di questo materiale derivato dal petrolio e l’industria chimica possono sostanzialmente arrivare ovunque nel nostro organismo e una volta giunti nel cervello potrebbero intaccare la nostra normale capacità di ragionamento, compromettendo quindi il pensiero e linguaggio.
La stessa plastica riciclata rimane un problema serio da gestire, anche sotto l’aspetto della salute umana (e non solo umana). Un recente studio dell’Università di Goteborg ha inoltre scoperto che la plastica riciclata contiene centinaia di composti chimici tossici per la nostra salute, tra cui farmaci, pesticidi e componenti industriali. Per i ricercatori svedesi, rimane un materiale che di fatto continua a rappresentare un pericolo per la salute dell’ambiente e di tutte le specie viventi, umane e non umane.
Sotto la lente degli studiosi ci sono i potenziali effetti neurotossici della plastica sul cervello, in grado di generare diversi tipi di disturbi, dai più lievi ai più gravi.
Come ha ricordato il ricercatore, “il peso globale dei disturbi cerebrali supera già quello delle malattie cardiovascolari o dei tumori”.
L’invito di Eyre è rivolto a tutta la comunità scientifica, dai neurologi agli psichiatri, dai neuroscienziati agli psicologi, che deve impegnarsi di più sul tema e in particolare deve dare il suo contributo al buon esito del Trattato. L’occasione migliore è senza dubbio il quarto round in Canada quest’anno.