Le vicende del Mar Rosso con gli attacchi USA e UK alle basi dei terroristi Houti dello Yemen (sostenuti dall’ Iran) che stanno bloccando il commercio internazionale che transita nel canale di Suez (30% delle merci mondiali da est verso UE) ci mostrano un crescendo del conflitto (quasi)globale che rischia un’escalation e che fa aumentare inflazione e costi logistici ed energetici per il mondo intero come “strumentale” leva di pressione su Israele e ora estesa all’Occidente e alle sue libertà ma anche contro il mondo arabo moderato (tra cui Egitto e Arabia Saudita).
Rispondere a questi “terroristi globali” a difesa dell’economia e società di un mondo intero libero e giusto è dunque un dovere oltre che un diritto della comunità internazionale e l’Italia fa bene a partecipare a questa alleanza occidentale anti-Houti in difesa del Mar Rosso come portale d’acqua della civiltà da millenni così come l’entrata con l’ONU a Gaza appena i cannoni smetteranno di sparare per ricostruire civiltà e speranza oltre che materialità. Ma certo se vogliamo spegnere questo incendio globale dobbiamo provare a cambiare la nostra visione e percezione dell’essere “Occidente e occidentali”.
Ripensare l’Occidente e ripensarci come “occidentali” pur riaffermando i nostri valori di democrazia guidata da una società aperta e inclusiva con Stati di Diritto sostenuti dalla divisione dei poteri in equilibrio dinamico e in cammino per affermare i diritti universali della persona e della loro vita collettiva costruendo una “libertà riflessiva” nella responsabilità condivisa e nella solidarietà, ma facendolo in modo diverso da come lo abbiamo fatto finora con eccesso di esclusività.
Rileggendo anche le nostre radici giudaico-cristiane non come punto di arrivo ma di partenza nella ricerca di un incontro-ascolto con/dell’Altro sostenibile-solidale e di una moderna transizione nella governance tra Stato di Diritto, protezione dell’ambiente e difesa degli eco-sistemi di mondi non antropocentrici.
1 – Liberandoci in primo luogo dalla “prigionia” della centralità occidentale consapevoli del nostro “colonialismo secolare” dal quale proveniamo da almeno un millennio ossia dalla crisi dell’Impero Romano d’Occidente e d’Oriente.
2 – Assumendo una visione del mondo più inclusiva e mettendoci nei panni di coloro che “occidentali” non sono con orizzonti post-coloniali e post- globali.
3 – Ricostruendo un punto di vista pluralista (non relativista) togliendoci i “panni occidentali” per vestirne altri “non occidentali” per comprendere i punti di incontro tra culture, tra religioni, tra lingue e tra valori diversi e le potenzialità dei loro intrecci per la socio-diversità;
4 – Decostruendo generativamente identità dinamiche e riflessive (mai finite) attraverso un dialogo inter-culturale e inter-religioso (e plurilinguistico) ma anche adottando schemi inter-disciplinari e trans-disciplinari in campo scientifico per favorire l’ibridazione di approcci e metodi plurali, dalla medicina all’astronomia, dalla fisica al diritto, dalla geografia alla politica esplorando strade post-razionaliste, olistiche e circolari (anche tra un io-agente/sperimentatore e un io-riflessivo per identità narrative).
5 – In ambito strettamente europeo abbracciando un allargamento ampio e compatibile con decisioni a maggioranza per un agire più snello e inclusivo sapendo di dovere adottare un multilateralismo temperato, flessibile e intelligente contro tutti i muri di incomunicabilità esplorando sempre il dialogo tra diversità come opportunità senza rinunciare ai nostri principi costitutivi affondati nel sentiero innervato da Antico e Nuovo Testamento verso la Magna Carta Libertatum del 1215 (seppure successivamente annullata da Innocenzo III) e poi nella Rivoluzione del 1789 fino alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 e all’Agenda di Parigi 2015.
Incrociando per questi punti cardinali gli avanzamenti “visionari e anticipatori” verso un’orizzonte comune – come per la “lezione Covid” e quella che sta emergendo a contrasto del “climate change” – intrecciato negli ultimi 70 anni da personalità laiche di studiosi del calibro di Norberto Bobbio, Edgar Morin, Isaiah Berlin, John Rawls e – sul piano civile – da Jaques Delors o Simon Veil.
Mentre sul piano religioso da Paolo VI ad Atenagora e Francesco e tra i politici ad Alcide De Gasperi, Altiero Spinelli, Jean Monnet, Robert Schuman.
Grandi costruttori di un “Occidente inclusivo e aperto oltre che giusto” e ponte tra credenti e non credenti dei quali riprendere le tracce per un “nuovo ordito della speranza” che sembra frantumarsi e tuttavia necessario a contrastare le spinte auto-distruttive che si affacciano nelle vicende dell’oggi per tornare ad una prosperità condivisa e partecipata anche con un capitalismo progressivo e socialmente-ambientalmente impegnato e responsabile nel sostegno ad una economia sociale di mercato (che non ha alternative solide) e tanto richiamati da Nobel come Stiglitz e Krugman o da storici economici impegnati come Piketty nel sottolineare i fallimenti del PIL verso un BES (Benessere Equo e Solidale) più capace di proporre e promuovere un benessere allargato e senza aggettivi.
Per una società aperta e giusta che sappia produrre e altrettanto distribuire nell’inclusione e promozione delle diversità come opportunità. Una traiettoria tanto più necessaria se – come prevede l’OCSE – il tasso di crescita annuale del Pil, per l’area combinata dei Paesi Ocse e G20, continuerà a diminuire fino al 2060 con una caduta dal 3% dell’era pre-Covid all’1,7% dovuto alla decrescita demografica ma anche ad un calo delle entrate fiscali pubbliche necessarie invece a contrastare le enormi diseguaglianze emergenti (economiche, culturali, sanitarie, educative, ambientali).
Da cui l’urgenza politico-istituzionale di nuove alleanze pubblico-privato, tra Stato e Mercato, tra locale e globale, tra individuo e comunità, tra astratto e concreto (come per es. nel consolidamento della tassa del 15% contro le delocalizzazioni dei grandi gruppi adottata da oltre 120 paesi rappresentati alla Nazioni Unite). Ripensando e rilanciando nella solidarietà e senza egoismi le stesse istituzioni globali come ONU e NATO, FAO, FMI per raffreddare le febbri sovraniste, populiste e nazionaliste, guardando al “Grande Cammino” recente comunque percorso dalla Rivoluzione del 1789 alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948 fino alla caduta del Muro di Berlino del 1989.
Come è vero oggi nella difesa dei diritti del popolo ucraino o dei diritti del popolo palestinese e della protezione dei civili a Gaza così come del diritto di Israele di difendersi dal terrorismo nel rispetto del diritto internazionale e dei principi democratici di convivenza nonostante il riemergere tragico di logiche imperiali già sconfitte nel ‘900 e che premono ai confini delle “mura democratiche” da irrobustire.
Perché rimane vero il detto di Churchill che” la democrazia è la peggior forma di governo eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”. Per questo dobbiamo persuaderci a farlo ripensando il nostro “essere occidentali e democratici come socialmente, ambientalmente ed economicamente solidali” governando Stati relazionali interconnessi, ossia non semplicemente erogativi ed autoritativi.
Che significa senza mai rinunciare ad un dialogo costruttivo e riflessivo con le comunità con le quali condividere una governance fondata sul deutero-apprendimento in una reciprocità solidale che riduca le diseguaglianze (economiche, sociali, ambientali, educative, sanitarie) coinvolgendo nella partecipazione politica e sociale. Una traiettoria che possiamo e dobbiamo assumere per l’enorme debito accumulato verso le nuove generazioni e verso la Natura per un futuro ancora possibile purchè sia “insieme” su una Terra che è un bene comune non appropriabile e non esclusivo nella consapevolezza che è un “sistema chiuso” con un Occidente riformato e rinnovato depurato da vecchi e nuovi suprematismi antropocentrici verso un emergente Novacene e che le elezioni del 2024 per metà della popolazione mondiale ci diranno se e quanto realizzabile.