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L’allarme è stato lanciato da più fronti: dopo 27 anni di onorata carriera, la versione 4 del Protocollo IP (IPv4) ha iniziato a mostrare i propri limiti in termini di capacità di indirizzamento, tanto che – con più dell’85% degli indirizzi internet disponibili già attributi – entro il 2010 potrebbero non esserci più indirizzi disponibili.
A fronte della notevole crescita di internet e dell’evidente scarsità di indirizzi, appare dunque quanto mai urgente accelerare il roll out dell’IPv6, in grado di offrire una quantità pressoché illimitata di indirizzi per i nodi di rete e spetterà ai poteri pubblici e alle imprese agire in concerto in maniera più efficace e urgente per soddisfare la crescente domanda di indirizzi internet e assicurare il futuro della web economy.
Anche secondo l’Ocse – l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico – la soluzione alla scarsità degli indirizzi web è rappresentata dall’accelerazione del passaggio al protocollo internet IPv6, che contribuirà alla ulteriore diffusione della banda larga, dei telefonini intelligenti e dei nuovi servizi avanzati.
Essenziale, dunque, che imprese e autorità battano sull’importanza di avviare da subito questo passaggio, spiegando ai fornitori d’accesso e ai professionisti dell’informatica che questa evoluzione costituisce un’opportunità commerciale e sociale, non soltanto un onere finanziario.
L’IPv6 – standardizzato già da 10 anni – si presenta come la naturale evoluzione della versione precedente, ma vi sono anche freni di varia natura che ne rallentano il cammino, come ad esempio la compatibilità con le attuali strutture di rete. E’ necessario dunque portare l’IPv6 ovunque e favorire la graduale conversione dell’IPv4, per permettere a tutti i dispositivi abilitati di connettersi in rete.
I fornitori di servizi sono stati finora abbastanza reticenti a investire, vista l’ancora debole domanda di indirizzi IPv6.
Secondo Mario Morelli di Fastweb, ad esempio, “la transizione è certamente possibile, ma presenta dei costi importanti e sono necessari attenti piani per la migrazione e la coesistenza di IPv4 e IPv6″.
Riguardo poi ai costi da sostenere da parte degli operatori, “non ci sono – secondo Morelli – ritorni di investimento immediati e inoltre, a livello tecnico, non è semplice gestire il NAT”, (Network Address Translation), una tecnica usata per sostituire nell’intestazione di un pacchetto IP un indirizzo, sorgente o destinazione, con un altro indirizzo.
Secondo il rapporto Ocse, è qui che devono entrare in gioco i governi che, proprio in quanto utenti principali dei servizi internet, possono contribuire a stimolare la domanda attraverso adeguate policy pubbliche e partenariati pubblico-privato in ricerca e sviluppo su IPv6.
Il rapporto analizza ugualmente l’alternativa a una diffusione generalizzata dell’IPv6, in cui alcune regioni adotteranno questo protocollo e altre si accontenteranno dell’IPv4 come soluzione a breve termine.
Un simile approccio avrebbe un impatto economico negativo, con gravi conseguenze in termini di ostacolo alla creatività e di sviluppo dei nuovi servizi.
In alcuni Paesi, come il Giappone, si è già in uno stadio molto avanzato di utilizzo del protocollo: l’operatore NTT, ad esempio, utilizza l’IPv6 per connettere migliaia di sensori a un sistema informatico in grado di percepire eventuali movimenti tellurici e di prendere misure immediate per limitare i danni del sisma, come la trasmissione delle informazioni alle Tv.
Questo tipo di applicazione richiede l’utilizzo di milioni di indirizzi internet e non potrebbe funzionare sull’attuale protocollo che, come esemplifica Wikipedia, “gestisce fino a circa 3,4 × 1038 indirizzi (280.000.000.000.000.000 indirizzi unici per ogni metro quadrato della superficie terrestre), mentre IPv4 gestisce soltanto fino a circa 4 miliardi (4 × 109) di indirizzi”.
Il governo degli Stati Uniti ha fissato a giugno 2008 il termine entro il quale le reti internet di ogni agenzia governativa dovranno essere compatibili con IPv6, mentre la Commissione europea ha finanziato dei progetti di ricerca e studia i metodi per accelerarne l’implementazione.
La Corea, che ospiterà la prossima riunione ministeriale dell’Ocse sul futuro della web economy, si è impegnata a convertire le infrastrutture internet delle istituzioni pubbliche all’IPv6 entro il 2010 e a installare infrastrutture IPv6 in tutte le nuove reti di comunicazione.
La Cina ha altresì iniziato a installare una rete IPv6, chiamata Internet cinese di prossima generazione, che – in occasione dei prossimi giochi olimpici – servirà a testare dispositivi mobili e sistemi di trasporto intelligenti basati sul nuovo protocollo.
Il rapporto completo è disponibile sul sito dell’Ocse.