Siccome gli Stati Uniti sono un paese grande, ricco e—malgrado gli attuali 333 milioni di abitanti—ancora sostanzialmente vuoto, sono costretti a importare un’enormità di cose dal resto del mondo, compresi i pregiudizi altrui…
Il fenomeno è tornato a galla recentemente con la forte immigrazione dall’India degli eccellenti (e anglofoni) tecnici informatici prodotti dalle università e dagli istituti politecnici del subcontinente. La difficoltà è che questo pregiato personale è perlopiù indù e, arrivando, porta con sé il sistema di caste caratteristico della propria fede religiosa che divide rigidamente—per nascita—in base a una graduatoria legata a gruppi sociali che vanno dai miserrimi ‘intoccabili’—i ‘Dalit’—per salire fino ai ‘bramini’
Il problema negli Usa è che la discriminazione contro le caste ‘inferiori’ indiane, anche quella praticata obbligatoriamente per una questione di fede, è chiaramente vietata per legge. Al tempo stesso, la Costituzione del paese garantisce esplicitamente—nel Primo Emendamento—a tutti la “libera espressione” della fede.
Fin quando il numero degli informatici indiani della Silicon Valley è rimasto relativamente contenuto, il problema non si è manifestato. La questione è emersa quando gli indù hanno iniziato a lavorare sotto la direzione di altri indù. La controversia è poi esplosa in seguito a un’azione legale di alto profilo che ha riguardato le politiche di promozione del personale di un’azienda californiana molto nota: la Cisco Systems.
Gli stessi problemi sono poi apparsi nel polo informatico di Seattle, più a nord lungo la costa occidentale Usa. La città ha recentemente istituito una legge locale che vieta la discriminazione per caste. Giù in California, il Governatore dello Stato, il Democratico Gavin Newsom—che accarezza ambizioni presidenziali—ha invece posto il veto a una legge dai contenuti simili approvata dalla legislatura statale.
La difficoltà è che—almeno legalmente—un po’ tutti hanno ragione: in questo caso, però, due principi basilari della fondazione americana risultano in netto contrasto. Una vera risoluzione del problema indù aprirebbe la porta a un’immensità dicontestazioni ‘faith based’, forse partendo perfino dagli indiani nativi americani. Si tratta di una minoranza. Sono pochi milioni, ma anche le loro fedi sono protette. Per non parlare poi dei pregiudizi religiosi che alimentano fenomeni come l’antisemitismo.
Le aziende Usa devono già tenere conto di un vasto ventaglio di istanze, che partono dal colore della pelle e l’origine nazionale, passando per il sesso e le nuove varianti di gender, per arrivare agli handicappati e alla discriminazione di peso che riguarda gli obesi. Sono le aziende, con la loro produzione e con i posti di lavoro creati, che fanno marciare l’economia. Gli si può chiedere di tenere conto anche delle esigenze delle caste di un’altra cultura? Eppure…