Spot medici in Tv: semaforo verde dai giudici europei  

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Italia


Corporación Dermoestética

Una normativa nazionale che determina un divieto della pubblicità relativa ai trattamenti medico-chirurgici sulle reti televisive nazionali, offrendo al contempo la possibilità di diffondere una tale pubblicità sulle reti televisive locali, è contraria al diritto comunitario.

Costituisce una restrizione ingiustificata alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.

 

Nell’ottobre 2005, la Corporación Dermoestética , un’impresa spagnola attiva nel settore della medicina estetica, ha conferito, mediante contratto, all’agenzia pubblicitaria To Me Group l’incarico di realizzare una campagna pubblicitaria per i suoi servizi, da diffondere su Canale 5.

Dopo aver percepito un acconto, la To Me Group ha informato la Corporación Dermoestética dell’impossibilità, in applicazione di una legge italiana del 1992, di diffondere i messaggi pubblicitari progettati su reti televisive nazionali. Infatti, in virtù di detta legge la pubblicità televisiva relativa ai trattamenti medico-chirurgici effettuati all’interno di strutture sanitarie private era consentita, a talune condizioni, unicamente sulle reti televisive locali, il che equivaleva a vietare questa stessa pubblicità sulle reti televisive a diffusione nazionale.

 

Poiché la To Me Group si è rifiutata di restituire l’acconto, la Corporación Dermoestética ha adito il giudice italiano chiedendo la risoluzione del contratto concluso tra le due società nonché la condanna dell’agenzia pubblicitaria alla restituzione di tale acconto.

Per poter statuire sulla controversia sottopostagli, il giudice italiano ha chiesto alla Corte se i principi della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi ostino ad una normativa nazionale quale quella italiana.

 

La Corte ha constatato innanzitutto che il divieto di pubblicità previsto dalla legge italiana del 1992 oltrepassa quello contenuto nella Direttiva Televisione Senza Frontiere che, in una delle sue disposizioni, vieta la pubblicità dei trattamenti medici disponibili unicamente con ricetta medica. Sebbene detta direttiva lasci certamente agli Stati membri la facoltà di prevedere norme più particolareggiate o più rigorose nei settori coperti dalla medesima, la Corte ha ricordato che una tale competenza deve essere esercitata nell’osservanza delle libertà fondamentali garantite dal Trattato CE.

La Corte ha constatato che un regime di pubblicità, come quello previsto dalla legge italiana del 1992, restringe la libertà di stabilimento poiché costituisce, per le società stabilite in Stati membri diversi dall’Italia, un serio ostacolo all’esercizio delle loro attività tramite una controllata operante in quest’ultimo Stato membro. La Corte ha altresì osservato che tale regime costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi perché impedisce alle società come la Corporación Dermoestética di avvalersi delle prestazioni di servizi pubblicitari televisivi.

 

Tuttavia, la Corte ha ricordato che tali restrizioni possono essere giustificate qualora soddisfino quattro condizioni: devono applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificate da ragioni imperative di interesse pubblico, essere idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo.

 

Così, in primo luogo, la Corte ha constatato che il regime di pubblicità di cui trattasi si applica indipendentemente dallo Stato membro di stabilimento delle imprese alle quali si rivolge. In secondo luogo, essa dichiara che la normativa sulla pubblicità televisiva relativa ai trattamenti medico-chirurgici può essere giustificata alla luce della finalità di tutela della salute. Tuttavia, in terzo luogo, la Corte ha rilevato che, introducendo un meccanismo che determina un divieto della pubblicità relativa ai trattamenti medico chirurgici sulle reti televisive nazionali, offrendo al contempo la possibilità di diffondere una tale pubblicità sulle reti televisive locali, il regime di cui trattasi denota un’incoerenza che il governo italiano non ha tentato di giustificare. Pertanto, la Corte ha ritenuto che una normativa nazionale come quella controversa non sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo di tutela della salute e che essa costituisca una restrizione ingiustificata alle due libertà.

 

Di conseguenza, la Corte ha dichiarato che la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi devono essere interpretate nel senso che esse ostano ad una normativa come quella controversa che vieta la pubblicità sulle reti televisive a diffusione nazionale di trattamenti medico-chirurgici effettuati in strutture sanitarie private, autorizzando al contempo, a talune condizioni, una simile pubblicità sulle reti televisive a diffusione locale.

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