Il conflitto scoppiato nella striscia di Gaza ha colto di sorpresa l’intelligence israeliana ed i mercati finanziari: per farsi un’idea delle implicazioni è sufficiente tenere presente che nelle prime 48 ore il numero delle vittime fra i cittadini israeliani è stato il più elevato nella Storia dai tempi dell’olocausto.
È prematuro fare previsioni perché solo nelle prossime settimane ci si potrà fare un quadro più chiaro dei reali equilibri in gioco: ma il solo fatto che in queste ore si sia appreso che è in corso il richiamo di 300 mila riservisti, il più importante di sempre, non deve lasciare dubbi sulla reale portata degli eventi a cui stiamo assistendo in diretta. Non si può escludere che (1) il conflitto sia destinato a durare a lungo, e che (2) ci sia un’oggettiva possibilità di un’escalation che potrebbe interessare l’Iran con nuove sanzioni e tutto il Medio Oriente.
La geopolitica ancora una volta torna ad essere centrale ed è in grado di scatenare shock esogeni non anticipati in un contesto già segnato da crescente volatilità, con il rischio di riportare i mercati in modalità “risk-off”.
In queste prime ore l’elemento di sorpresa è la resilienza inattesa dei mercati finanziari, che ha comportato per il momento correzioni in negativo ancora contenute, al di sotto della soglia di 1 punto percentuale. Ma è presto per fare previsioni e le prossime settimane da qui a fine mese saranno cruciali.
L’unico dato certo in queste ore è che ci si deve attendere uno scenario di tassi di interesse proiettati verso un aumento di 25 punti base (bps) da qui a fine anno, con l’inflazione destinata a mantenersi a lungo sopra la media del 5%, quindi lontano dal target del 2% su cui puntano le banche centrali.
Quando soffiano venti di guerra, i mercati guardano al prezzo del petrolio ed alle ripercussioni sulla vulnerabilità delle “global supply chain”, perché sono queste le due variabili che impattano sulle prospettiva di crescita: da questo momento in avanti il rischio è quello di una possibile escalation in Medio Oriente, nel cuore del Mediterraneo e quindi dell’Europa Se sarà così, l’unica certezza è che saranno le economie dell’Eurozona ad esserne più colpite, per la semplice ragione che sono quelle più prossime al teatro di guerra.
L’accelerazione degli eventi di questi giorni ha avuto come effetto immediato quello di rimettere in discussione gli equilibri nell’area del Mediterraneo e contestualmente le scelte di asset allocation degli investitori. Sono due i trend di fondo da tenere sotto osservazione sono: (1) l’irreversibile polarizzazione dei mercati che premiano le asset class meno esposte all’impatto del conflitto ed (2) un progressivo raffreddamento degli investimenti dei fondi sovrani del Golfo verso l’Eurozona.
A cavallo dell’estate PIF (Public Investment Fund, il fondo sovrano Saudita) aveva colto di sorpresa i mercati finanziari irrompendo nel mondo dello sport con più di 6,3 miliardi US$ di investimenti, stravolgendo in pochi mesi il mondo del calcio europeo, per poi dare seguito ad un ingresso diretto di STC (Saudi Telecom Company) in Telefonica con una quota del 9,9% per un totale di 2,2 miliardi di euro, senza che il Governo spagnolo ne fosse stato messo anticipatamente a conoscenza. Non è difficile immaginare che non sarà più così: si è entrati in una nuova fase ed è più che probabile che da ora in avanti i governi dell’Eurozona metteranno al vaglio gli investimenti dei fondi sovrani del Golfo con maggiore prudenza e cautela, adottando linee di policy condivise.
Al netto degli eventi di questi giorni, l’effetto immediato è il congelamento dell’afflusso di capitali dei fondi sovrani degli Emirati verso l’Europa e non è una buona notizia: si corre il rischio che si vada incontro ad una contrazione della liquidità (liquidity crunch) sui mercati in una fase critica per le prospettive di crescita dell’Eurozona.
A livello di contesto macro, nel caso in cui il conflitto dovesse estendersi, è prevedibile una contrazione degli investimenti dei fondi esteri nelle infrastrutture che ospitano le società di punta del mondo hi-tech israeliano: solo a Tel Aviv ci sono più di 5.700 start-up tecnologiche, per un controvalore di 215 miliardi US$ e 32 unicorni (società con più di 1 miliardo di euro in termini di enterprise value). Non è da escludere che per mitigare i rischi di un conflitto prolungato la scelta sarà quella di una progressiva rilocalizzazione all’estero, per salvaguardare gli investimenti e garantire maggiore sicurezza in termini di incolumità di persone e strutture fisiche.
Se così sarà e si dovesse assistere ad una “diaspora” tecnologica senza precedenti nella Storia, le implicazioni potrebbero portare a risultati sorprendenti e di certo inattesi: la “contaminazione” dei modelli di innovazione ed il dinamismo della comunità hi-tech israeliana potrebbero avere come effetto quello di innescare un impulso innovativo senza precedenti nel cuore dell’Europa in settori di punta come l’Intelligenza Artificiale, l’high-performance computing, la robotica e la MaaS (mobility as a Service). Le prossime settimane saranno determinati per comprendere meglio le implicazioni a livello geo-politico, perché è ancora troppo presto per fare previsioni. Ma già da ora un dato è chiaro: è sulle nuove tecnologie di punta e sul ruolo dell’intelligenza artificiale che si sta profilando all’orizzonte un “nuovo ordine mondiale”. Potremmo scoprire a breve che il conflitto scoppiato in Medio Oriente è solo il primo passo verso un “global reset”