All’indomani della scomparsa di Silvio Berlusconi, Marco Mele scrive un pezzo “Il Cavaliere: una lunga storia, mai raccontata[1]” che ne contiene i “primi appunti” sotto forma di tre interrogativi iniziali: 1) Berlusconi ha inventato la televisione commerciale? 2) Berlusconi ha inventato la concessionaria di pubblicità che ha cambiato il mercato italiano della comunicazione e le stesse modalità di tale comunicazione? 3) Il duopolio non esiste più? 4) Le tre Telepiù, all’origine, nacquero in una sola notte, senza alcuna autorizzazione…Com’è stato possibile?
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Una lunga storia, intrecciata a quella dell’Italia del dopo boom economico, quella di Silvio Berlusconi. Un’analisi puntuale richiederebbe un libro che, forse, è stato già scritto da diversi autori, e forse no.
Appare più utile porre alcune domande, anche a costo di lasciarne alcune senza risposta e basarsi non sulla persona ma sul percorso delle sue imprese.
Berlusconi ha inventato la televisione commerciale? No. Altri stavano sperimentando nuovi formati, nuovi programmi, nuovi linguaggi, a livello nazionale e locale, prima di lui.
Berlusconi ha inventato la concessionaria di pubblicità che ha cambiato il mercato italiano della comunicazione e le stesse modalità di tale comunicazione? Si.
Publitalia, più di Fininvest, è stata la sua creatura, la società che ha cambiato quello che era un racconto (lo sceneggiato Rai) in prodotto e poi, per dare spessore culturale e sociale alla marca, ha cambiato il prodotto in racconto, integrandolo al suo interno.
E ha introdotto modalità di acquisizione dei budget innovative, come le over-commission, rispetto al vecchio traino della Sipra (vuoi Carosello e la Rai? Compra i giornali).
La costituzione di Auditel è stata fondamentale in questo percorso di trasformazione dei media e della stessa società. Si vendono teste agli inserzionisti: Auditel le rileva e le certifica.
Questo è importante, più che lo share di un programma, che molti giornalisti continuano a scambiare per il rating, contribuendo a favorire la convinzione generale sugli ascolti del mezzo televisivo centrali per gli italiani.
Il duopolio è stata solo una forma di controllo e di difesa di Mediaset, subentrata nel 1993 a Fininvest. La Rai faceva lo sparring partner.
Non è mai stato un duopolio alla pari: le televisioni di Fininvest erano “gratuite”, la Rai ci faceva pagare il canone, quindi era costretta a offrire “di tutto, di più”; e, ovviamente, non ce la faceva per limiti strutturali e organizzativi propri e per la dipendenza da un potere politico nel quale, nel 1994 “scende in campo” anche il proprietario di Mediaset.
Il duopolio non esiste più? Forse, ma continua ad essere prorogato nel futuro: l’attuale governo, a novembre a Dubai, chiederà di lasciare alle televisioni digitali terrestri le attuali frequenze, dopo la cessione della banda 700, oltre il 2030. Traduzione: tre multiplex digitali alla Rai e tre a Mediaset, diventata Mfe, con sede legale in Olanda. Un solo multiplex alla tv locali, in ogni regione.
La crescita di Mediaset prosegue per anni, a scapito degli altri media, a favore delle multinazionali del consumo, attratte dai bassi prezzi degli spot rispetto ad altri paesi europei, concentrando progressivamente ascolti, risorse, diritti di trasmissione e ritrasmissione, frequenze. E cambiando progressivamente, insieme alla televisione, il pubblico della stessa televisione, abituandolo a vedere i film a spezzoni (come oggi i contenuti video in streaming…), un sistema che mandava in onda circa un milione di spot l’anno, 24 ore su 24.
Non senza passi falsi e alcune sconfitte. Come la chiusura de La Cinq in Francia, tutta politica, senza alcun fallimento imprenditoriale. O quella, cocente e costosa, sulla pay tv, con Mediaset Premium, favorita dal clamoroso errore di partenza delle tessere prepagate sul modello telefonico, che impedivano qualsiasi feedback sulle scelte le caratteristiche degli utenti.
Le tre Telepiù, all’origine, nacquero in una sola notte, senza alcuna autorizzazione…Com’è stato possibile?
Lo scontro Berlusconi- Murdoch, tra il Biscione e lo Squalo, contrassegna una fase del sistema italiano, con la Rai che si accoda, togliendo i suoi canali da Sky e rinunciando a centinaia di milioni di euro. E ora che Mediaset e Sky hanno trovato un’intesa, che ha cambiato diverse regole del gioco, la Rai non se n’è accorta, e ancora continua a criptare molti suoi programmi sui decoder di Sky, al contrario di Mediaset, perdendo ascolti e togliendo Olimpiadi e Mondiali a quegli italiani che pagano il canone ma hanno il solo decoder della pay tv oggi passata dallo Squalo a Comcast. Tivùsat è un mistero dell’Antitrust nazionale….
Alcune sconfitte, ma anche diverse vittorie, anche con qualche aiutino arbitrale. Rete Quattro è ancora là, nonostante tutto e tutti, nonostante le sentenze della Consulta, nonostante i progetti di legge per ridurre le tre reti analogiche di Fininvest e togliere la pubblicità a RaiTre, grazie alla Legge Gasparri, ad un successivo decreto e all’avvento del digitale terrestre “pompato” e accelerato per mostrare la crescita del numero dei programmi nazionali (come se questo fosse sinonimo di pluralismo, ma la vicenda delle tv locali in analogico dimostra il contrario). E grazie a quei deputati del centrosinistra che il giorno in cui si votava la costituzionalità o meno della legge Gasparri, furono colpiti da improvvise influenze di stagione. Il digitale terrestre non ha cambiato la televisione italiana, dove solo due soggetti facevano prima e dopo la tv generalista. E’ stato l’avvento di Internet, dei social e dei televisori connessi a cambiare anche il sistema televisivo, non certo il DTT, nonostante cinque Conferenza Nazionali e una martellante campagna sulla “tv del futuro”, che avrebbe fatto il t government tra emittenza e amministrazioni pubbliche.
Una lunga storia dove si intrecciano geniali intuizioni, come i promo televisivi dei programmi, non conteggiati nell’affollamento pubblicitario, adattati ai diversi target di pubblico, per cui si aveva perfino un promo di Rambo adatto al pubblico femminile. O lo sdoganamento in tv degli istinti più pecorecci, coltivati da certi film, con Colpo grosso e dintorni, utilizzando Umberto Smaila, ovvero i resti dei Gatti di Vicolo Miracoli: la tv commerciale è stata anche una lavatrice che riciclava autori, artisti e conduttori (Paolo Pietrangeli da Contessa a regista del Maurizio Costanzo Show, per dirne una…). Vi è un rapporto tra il linguaggio, le immagini, i ruoli che si affermano nel pubblico attraverso l’affermarsi della tv commerciale, Rai compresa, con l’attuale Italia dei social, sguaiata, a volte semianalfabeta, crudele, priva di empatia, che deride gli sconfitti, i perdenti, e chiunque venga visto come “avversario” (esempi: la Corrida e Scherzi a parte, ma anche Striscia). Con Gianfranco Funari geniale. Nell’anticipare il peggio della tv e dei social Poi ci sono le storie tra Berlusconi e le istituzioni e tra Berlusconi e la magistratura, tra Berlusconi e la massoneria, tra Berlusconi e la… (b capito.).
Qui non si può entrare nel merito, ma è chiaro che l’affermazione di un modello, unico in Europa, di televisione commercial, dove un solo soggetto privato fa tv generalista (almeno finora), tiene bassi i prezzi degli spot, accumula una massa enorme di diritti e di frequenze, non avrebbe potuto affermarsi senza un solido “sostegno” dato a tutti i livelli da chi avrebbe dovuto difendere l’interesse generale.
Ma il pubblico non contava nulla in quest’Italia. Ora le cose cambiano, un cellulare, con un programma di editing, può offrire uno scoop audiovisivo rispetto ai professionisti delle immagini. E, infatti, il duopolio sta scoppiando; e per difendersi sta frenando perfino il passaggio al nuovo standard digitale DVB-T2. E’ questa la vera morale di questi appunti, primi appunti, di una lunga storia. Una storia che tutti conoscono. Ma che nessuno ha mai raccontato.
[1] Uscito su tvmediaweb, 13 giugno 2023. Cf. https://www.tvmediaweb.it/il-cavaliere-una-lunga-storia-mai-raccontata/.