Democrazia futura apre un Focus di approfondimento su quelle che a nostro parere rimangono “verità ancora da svelare sulla strage alla stazione di Bologna 43 anni dopo”.
Il dossier contiene critiche molto precise nei confronti delle motivazioni dell’ultima Sentenza processuale e verso una verità processuale che sarebbe stata fortemente condizionata dai desiderata dell’Associazione dei parenti delle vittime e dal suo Presidente Paolo Bolognesi. La rivista sarà naturalmente disponibile ad aprire le proprie colonne a pareri in dissenso con le tesi qui espresse da Lorenza Cavallo, Vladimiro Satta e Salvatore Sechi, convinta della necessità di proseguire l’analisi dei documenti secretati sulla materia ma anche di acquisire nuove testimonianze da alcuni sopravvissuti, il tutto senza entrare in polemiche politiche sterili come quelle prodottesi sui giornali nel corso dell’estate dopo l’anniversario della strage.
Introduzione al Focus di aprofondimento
1.Sulla strage di Bologna ha prevalso una (brutta) verità politica
La sentenza con la quale il Tribunale di Bologna, in diversi gradi e con diversi imputati, ha condannato come autori della strage del 2 agosto 1980 un gruppo di killer (confessi) neo-fascisti non è espressione dell’antifascismo.
Questo è il belletto con cui la vorrebbero incipriare giudici giornalisti orgogliosamente conformisti associazioni dei parenti delle vittime.
La cultura politica dell’antifascismo quando non si ispira al diritto penale sovietico e nazista, ha carattere liberale. Il suo principio si fonda sulla prevalenza della verità storica rispetto a quella politica. Non importa se l’avversario (definito “nemico”) sia di destra o di sinistra, ideologicamente vicino o lontano.
Per l’antifascismo non si può prescindere dall’esigenza fondamentale che per condannare ci siano delle prove, e che queste non siano idee diverse ed opposte.
E’ proprio questa distanza, per non dire avversione, che si può leggere nelle motivazioni (semplicemente allucinanti e da un punto di vista storiografico indecenti) delle condanne emesse.
Per la prima volta nella storia della nostra repubblica si dice, anzi si scrive, che a fare saltare la sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Bologna il 2 agosto 1980 siano state persone che si rifacevano alle nostre alleanze militari (la Nato) e al sistema delle nostre alleanze politiche (il patto atlantico).
Si tratta delle scelte di politica internazionale che dal 1945 ad oggi hanno garantito, anche se non perfettamente, le nostre libertà, la nostra vita quotidiana segnando una differenza invalicabile col mondo del comunismo sovietico e di altri dispotismi. Vi si parla di un “grande disegno stragista atlantico” alimentato dal terrorismo nero e “rosso” (tra virgolette nella sentenza).
Dunque, il principio di legalità, da oggi in poi, come nella Germania nazista e nell’Urss staliniana, si fonda nel trovare, come che sia, un avversario bollandolo come nemico.
L’Italia presentata dai giudici come terreno di sperimentazione di una cospirazione globale guidata dall’alleanza atlantica
Sulla base di questo approccio l’Italia è descritta dai giudici di Bologna come il capolavoro del cosiddetto atlantismo. Si intende, cioè, dire che al posto degli elettori (sempre ostili, con un libero voto espresso e confermato in circa settanta anni, a questa soluzione) gli Stati Uniti e gli alleati occidentali avrebbero impedito “l’accesso dei comunisti al potere”.
Per accreditare questo becera falsità, i giudici hanno perlustrato una saggistica, e convocato come testimoni, tutti i giornalisti e i giudici in pensione che nei loro scritti hanno evocato categorie magico-esplicative come “golpe”, “stragismo atlantico”, “sovranità limitata”, “Yalta”, “guerra rivoluzionaria”, Gladio eccetera.
Pertanto l’Italia, a leggere la prosa dei giudici di Bologna, è diventata, il terreno di sperimentazione di una cospirazione globale guidata dall’alleanza atlantica.
Questo non è un linguaggio giuridico, ma un linguaggio politico, anzi di un partito di estrema sinistra, quello con cui questa sentenza è stata redatta.
Di storiografico ha solo la vernice con cui si racconta un misterioso e interamente infondato complotto contro il nostro Paese. Di probatorio, come prescrivono le regole dello Stato di diritto, queste opinioni non hanno niente.
Da oggi, se questa sentenza farà giurisprudenza, ognuno di noi è in pericolo, ognuno di noi è meno libero. Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, non farebbe male a stimolare l’attenzione del Consiglio Superiore della Magistratura su questo episodio inquietante di una corte di giustizia che alla verità storica preferisca una verità politica, neanche di grande rango.
Santa Teresa di Gallura, 1° agosto 2023
2.Gli Stati Uniti e la Nato non c’entrano niente
La mancata condivisione della sentenza sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980 non deve indurre a pensare che i giudici non si siano attivamente impegnati nelle motivazioni. Hanno perlustrato altri processi, i lavori delle diverse commissioni parlamentari d’inchiesta, gli archivi dei servizi segreti e una selezione (altamente opinabile) della saggistica.
Con una certa spudoratezza hanno considerato opere scientifiche quelle di giornalisti, magistrati e sconosciuti avvocati afferenti all’associazione dei parenti delle vittime. C’è da recarne scandalo?
Avendo fatto proprie in una misura inconcepibile le richieste, le proposte e le narrazioni di quest’ultima (cheera una parte in causa) nel motivare le conclusioni giudiziarie, coerentemente hanno nobilitato operette dastoriografia cominternista (in stile putiniano) e da giornalismo di partito (o se si preferisce di setta) come eccellenze o apporti apicali.
Ovviamente le ragioni della ricerca di esecutori e mandanti e gli interessi al risarcimento dei parenti delle vittime, se la si intende come compensazione delle sofferenze inenarrabili subite, non saranno mai adeguate. Ma dai magistrati si pretende che la loro verità non sia una verità politica, e non sia possibilmente diversa dalla verità storica.
Pertanto altamente controvertibili sono gli argomenti addotti e i modi con cui sono stati fatti valere. Bisogna,però, dire che probabilmente la responsabilità maggiore risiede nella subcultura con cui i media hanno seguito il processo.
Orientare l’opinione pubblica, non informarla
Si è vista all’opera una leva di giornalisti, non solo locali ma anche nazionali, che ha avuto come stella polare non quella di informare, ma quella di orientare l’opinione pubblica.
Lo hanno fatto in questi quaranta anni, e continuano a farlo oggi, schierandosi sempre ed esclusivamente dalla parte dei difensori legali delle vittime, qualunque siano i loro argomenti
Dalla più scollacciata (La Repubblica e Il Fatto Quotidiano) alla più sobria (Il Corriere del la Sera e La Stampa) si è tenuto l’atteggiamento seguente: dare il massimo rilievo a quanto diceva l’avvocato Paolo Bolognesi in quanto espressione dell’antifascismo unito e tacere o citare ogni morte di papa chi (come Gian Paolo Pelizzaro, Gabriele Paradisi, Andrea Colombo, Stelio Marchese, Luigi Cavall,o Mauro Del Bue, Fabrizio Cicchitto, Luigi Manconi, e altri) sosteneva tesi diverse in quanto rubricate come argomentazioni di fascisti o di loro amici in quanto anticomunisti.
La faziosità presupposta di direttori di quotidiani è di esecrare come antidemocratici, nemici del popolo eccetera, non intervistandoli o non dando spazio alle loro analisi, quanti hanno prospettato interpretazioni diverse dell’orrenda carneficina del 2 agosto 1980 nella stazione di Bologna.
Fontana, Molinari, Travaglio e Giannini fanno finta di non leggere le menzogne più oscene che rischiano di fare giurisprudenza.
Al fondo nella strage di Bologna ci sarebbe stato il disegno politico, i soldi e le armi degli Stati Uniti e della Nato. In altre parole lo stragismo che ha tenuto unita la mafia e il terrorismo nero era volto a impedire l’accesso al governo del Pci.
Non si chiedono che senso (a parte le piacevolezze del libero sbracarsi da bar) abbia questo argomento-accusa. Esso è l’asse portante delle motivazioni dei giudici bolognesi. Si sarebbe fatta saltare la stazione di Bologna, massacrandone la popolazione in attesa di prendere un treno per le vacanze, al fine di determinare una reazione popolare e dare vita ad un governo militare alleato ai fascisti in grado di garantire l’ordine.
Dunque, i nostri principali alleati avrebbero trescato con settori golpisti dei servizi e delle forze armate, in combutta con la massoneria deviata di Licio Gelli e avvalendosi delle risorse finanziarie di una banca in liquidazione come l’Ambrosiano, per far intendere ai comunisti che la ricreazione era finita?
Ai magistrati (ai quali si deve ogni merito per l’intenso e improbo lavoro svolto) non mi pare sia venuto il dubbio che non avesse il minimo senso questo rovistare la storia d’Italia con in mente il cruccio che a Washington i comunisti non erano amati. Non hanno tenuto presente un piccolo dato statistico: il Pci non ha mai ottenuto la maggioranza dei voti per governare. Detto diversamente, l’elettorato italiano non ha mai mostrato interesse a munire i comunisti del consenso perché conquistassero Camera e Senato, e ricevessero dal capo dello Stato l’incarico a formare un governo, da soli o di coalizione.
Dunque non c’era nessun bisogno che la Cia, il Pentagono, i marines, le centrali atomiche eccetera degli Stati Uniti e dei Paesi aderenti alla Nato si mobilitassero.
I comunisti italiani non sono mai piaciuti alla maggioranza degli italiani. Essi sono, a modo loro, antifascisti, ma sono anche (fortunatamente) anti-comunisti.
Ernesto Galli della Loggia ha spiegato questo stato di cose sul Corriere della Sera e un liberalsocialista come Mauro Del Bue ha più ampiamente argomentato su La Giustizia.
Galli della Loggia è stato oggetto insulti e di ignobili reazioni viscerali da parte di Fausto Anderlini e del suo blog. Vi trovano una rassicurante siesta quanti a Bologna e in Emilia Romagna non si sono ancora resi conto che il comunismo è stato, sempre e ovunque, un fallimento, ha dato vita a regimi nemici degli operai e dei contadini.
Da Lenin in poi hanno provveduto sistematicamente a sterminarli. In Russia come in Ucraina.
C’è da stupirsi se la storiografia da tempo si è chiesta se tra comunismo e fascismo ci siano, dal punto di vista dei diritti, cioè delle libertà dei cittadini, grandi differenze?
Uno dei fondatori del Pci, Antonio Gramsci, dall’inizio degli anni Trenta cessa di chiamare l’Unione sovietica “Stato operaio” e la descrive come un esempio di neo-bonapartismo. Ma da Togliatti a Berlinguer hanno aspettato la caduta del muro di Berlino per rendersene conto.
Gramsci, sulla base dell’esperienza storica dell’Unione Sovietica, morirà avendo gettato le basi di un anticomunismo, inteso come una domanda del popolo di sinistra.
Santa Teresa di Gallura, 16 agosto 2023
3. Una sentenza senza le carte del Sismi da luglio a novembre 1980
Magistrati e quanti esercitano funzioni pubbliche sono tutti tenuti a rispettare le sentenze emesse dai tribunali della repubblica, compresa quella sulla strage terroristica del 2 agosto 1980 presso la stazione di Bologna.
Studiosi e ricercatori possono discuterla e anche non condividerla. Nelle sedi e nelle sfere di loro competenza e responsabilità godono della libertà e dell’indipendenza che la costituzione, fin quando l’Italia resta un regime liberaldemocratico, ha riconosciuto a chi svolge attività di ricerca.
E’ importante che la verità giudiziaria non si discosti dalla verità storica.
Giudici e ricercatori debbono poter marciare uniti per fronteggiare l’incombente (e fino ad oggi vittorio sa) verità politica. Lo stesso interesse non si vede perché non debba averlo l’associazione dei parenti delle vittime.
Nel processo di cui sto parlando ha avuto un ruolo preponderante rispetto ad altri parti, e alla fine decisivo. La narrazione storico – politica di cui i giudici hanno ampiamente intessuto le motivazioni della sentenza è per lo più modellata sulle analisi di questo organo privato di cittadini colpiti negli affetti. Nessun risarcimento potrà farne scemare l’inaudita sofferenza.
Dall’impostazione del processo e dall’esito finale sulla strage del 2 agosto a dissentire sono stati diversi giornalisti, saggisti e storici. Provo a citarli precisando che non solo lavorano in autonomia l’uno dall’altro, ma non sono rubricabili come membri di una sorta di collettivo di storici: Lorenza Cavallo (moglie del primo comandante delle lotte partigiane nelle valli piemontesi), Valerio Cutonilli, Luigi Manconi, Gabriele Paradisi,Gian Paolo Pelizzaro, Paolo Persichetti, Rosario Priore, Andrea Romano, Vladimiro Satta, Vincenzo Vinciguerra, eccetera.
Non hanno taciuto differenze, anche molto sensibili, di opinioni e di valutazione sia delle indagini sia sull’approccio storiografico.
Di loro agli inquirenti non ne è mai importato nulla.
Chi studia e scrive di terrorismo nero fa parte di un microcosmo della cui esistenza i giudici togati, salvo qualche eccezione, non si accorgono, anche se hanno in comune di avvalersi degli stessi metodi e fonti.
Pertanto i risultati ai quali sono pervenuti questi studiosi indipendenti non hanno un exit pubblico, perché i giornalini e i giornaloni (da Il Fatto Quotidiano a La Stampa e da Il Corriere della Sera e a La Repubblica) hanno preferito assegnarsi un ruolo di spettatori plaudenti, a volte mesto o solo semplicemente ipocrita. Non diversamente dalla stampa di destra che, però, non vedeva l’ora di porre fine al rito funebre, cioè di liberarsi del disagio di avere avuto più di un legame con gli imputati condannati a Bologna.
Il processo ha avuto fin dall’inizio un andamento e un’evoluzione finale in cui la mole degli indizi non ha mai lasciato scaturire la pistola fumante di prove indiscutibili. Ciò vale per chi ha privilegiato la pista neo-fascista come per chi ha indicato l’eventuale responsabilità di libici e palestinesi.
Il dibattito tra gli esponenti dell’una e dell’altra tesi invece di essere di carattere reciprocamente esecratorio dovrebbe essere volto a capire anzitutto se la documentazione di cui i gli inquirenti si sono avvalsi è completa, esaustiva.
Espongo di seguito qualche dubbio nella speranza che sia meritevole di qualche considerazione.
Nella grande quantità di carte del Sismi (il nostro servizio segreto militare) desecretate per il venir meno o l’accorciarsi (come ha deciso saggiamente la premier Giorgia Meloni) dei vincoli temporali del segreto di Stato si può rilevare un vuoto rilevante: dal 2 luglio al 23 settembre 1980.
Questo squarcio è altamente significativo.
Concerne un periodo drammatico, il peggiore del Novecento italiano, in cui hanno avuto luogo episodi gravissimi. Avrebbero potuto incrinare la stessa tenuta del regime repubblicano.
Mi riferisco all’inabissamento-con un’ecatombe di morti – nel mare di Ustica – del DC 9 partito da Bologna e diretto a Palermo; all’azione dell’Italia (tramite il sottosegretario agli Esteri Giuseppe Zamberletti) per riscattare Malta strappandola al controllo avvolgente, di tipo imperiale, della Libia; alla crisi della Fiat, da un lato salvata nel 1977 dall’immissione di 180 miliardi (5.500 lire di valore di ogni azione) pagati dal Colonnello Gheddafi e dall’altra, per lo “scambio” per cui questo atto ha indotto il governo italiano a favorire le esecuzioni sommarie, in territorio italiano, dei suoi oppositori; alle allucinanti stragi di Bologna e di Brescia, fino al novembre 1979 con l’incrinarsi – con minacce purtroppo andate a segno, da parte di George Habbash – dei rapporti col terrorismo del FPLP (una cellula dell’Olp di Arafat), i nostri servizi segreti (Sismi) e lo stesso governo. I primi 32 documenti desecretati del Sismi confermano la volontà – per la mancata liberazione di un suo esponente a Bologna, Abu Salkah Sanzeh – di colpire vittime innocenti, cioè la stessa popolazione civile.
Su questo periodo infernale disponiamo purtroppo di una documentazione parziale, inadeguata. Intendo dire che le carte disponibili sono vistosamente insufficienti a produrre – a parte proclami, collegamenti spericolati e irrefrenabili fantasie – pronunciamenti giudiziari che non siano folate di indizi e sacchi di dossier trasbordanti di congetture.
Anche grazie alla disorganicità con cui è stata gestita, una studiosa indipendente come la Dott.sa Giordana Terracina in questo agosto 2023 ha potuto rilevare su Start Magazine quanto segue: cioè che
“oggi in ACS (Archivio Centrale dello Stato) non ci sono documenti sull’attività del Sismi tra il 2 luglio e il 23 settembre 1980, accomunati dal fatto di essere stati coperti dal segreto di Stato fino al 28 agosto 2014 e custoditi fuori dall’ACS, dove probabilmente il resto dei fascicoli è rimasto”.
Chi è responsabile della selezione dei documenti che sono stati in così malo modo versati?
E’ opera della totale autonomia nella gestione, selezione e conservazione della documentazione di cui hanno fruito, e si sono avvalsi, non saprei dire quanti ministeri (Interni, Difesa, Esteri, Giustizia eccetera) di concerto col Comando generale dei Carabinieri.
Hanno voluto fare di testa loro, grazie all’incapacità della politica di esercitare una guida e un controllo. Pertanto hanno proceduto a delle de-classifiche per nulla concordate.
Con chi, domine Dio, se non con le istituzioni che hanno una competenza specifica, come la Commissione di sorveglianza sugli archivi e la Direzione generale degli archivi che normalmente ha titolo per approvarle.
Giordana Terracina ne trae l’unica conclusione possibile:
“Nella declassifica gli Archivi di Stato, non sono entrati in nessun modo nell’individuazione della documentazione oggetto delle Direttive (dei governi Renzi, Draghi e Meloni). Di conseguenza, non avendo accesso diretto ai titolari, ai repertori dei fascicoli e ai registri di protocollo, oggi è impossibile verificare l’integrità delle unità archivistiche”.
Dunque, i magistrati – e gli stessi ricercatori soi-disant reclutati dalle parti in causa nei processi -hanno lavorato, prendendoli per buoni (cioè convincenti), su materiali non integri, parziali.
Che cosa cambia, e accade, con la legge 124/07 – che riforma la precedente 801/77 – varata dal governo Prodi? Diciamo in estrema sintesi le seguenti cose: muoiono SISDE e SISMI e prendono vita al loro posto, per assicurare il sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, AISE (per i servizi esterni)e AISI (per quelli interni) posti sotto l’alta Direzione del Presidente del Consiglio (il DIS), che nel 2007 era Romano Prodi; le 195 informative entrano a far parte di un unico elenco; le agenzie di sicurezza versano le proprie carte direttamente all’Archivio Centrale dello Stato; viene preservata l’integrità del fascicolo con l’obbligo della conservazione permanente della documentazione dei Servizi e l’obbligo di renderla consultabile, presso l’ACS, ai ricercatori di storia.
Che cosa farne derivare per le vicende prima descritte del nostro paese? La Terracina è esplicita:
“In questo quadro dai contorni così sfumati, di fronte all’evidenza di una difficile (se non impossibile…) certezza circa il contenuto dei faldoni e i ruoli dei protagonisti, bisogna chiedersi come sia possibile proclamare con assoluta certezza che nelle carte non c’è nulla da scoprire“.
Si possono fare i nomi dei magistrati e degli avvocati che hanno ripetutamente fatto ascoltare questo vecchio refrain. Mi pare preferibile insistere chiedendo quel che la sentenza della Corte di Bologna non ha ancora spiegato: perché il generale Carlo Alberto Della Chiesa, occupandosi del terrorismo internazionale e del traffico di armi, si era intestardito a seguire ogni passo di Abu Saleh Anzeh, cioè un esponente delle cellule armate del FPLP che abitava Bologna, era legato a Carlos e al colonnello Stefano Giovannone? Gli studiosi del caso Moro immagino vorranno sapere, e capire, di più sul manoscritto trovato addosso al brigatista rosso Giovanni Senzani al suo arresto. Al pari della Dott.sa Terracina, vorranno chiedere ai giudici di spiegare il significato di quel che si leggeva in tale appunto, cioè che Arafat, leader indiscusso dell’OLP, riferendosi «agli ultimi attentati gravi in Europa (Sinagoga, Bologna e Trieste)», aveva detto che andavano letti in chiave internazionale, come tentativo dell’URSS «di far saltare questa politica europea».
Tutti, invece, si chiedono che cosa contengano le informative sul rapporto SISMI-OLP inviate a Roma dal colonnello Stefano Giovannone riguardanti la strage del 2 agosto 1980 a Bologna. Poiché le carte relative non ci sono (ancora) pervenute, dobbiamo davvero dedurne che non ha senso discutere della pista palestinese e del “lodo Moro”, cioè dei rapporti dell’Italia col terrorismo e il traffico di armi di cui per molti anni il nostro paese è stato teatro?
Non posso credere che i magistrati di Bologna non sentano stringente la responsabilità di indagare ancora, e che il capo dello Stato Sergio Mattarella non intenda sollecitarli in qualche modo a riaprirle. Non si deve avere timore, se si è di cultura liberale e non fascista o comunista, di riformare eventualmente una sentenza fondata su troppi indizi e poche prove a carico di una manica di killer fascisti (rei confessi spesso) dediti alla più efferata e ripugnante criminalità politica.
Ringrazio per le osservazioni, anche critiche, Lorenza Cavallo e Vladimiro Satta.
Santa Teresa di Gallura, 17 agosto 2023