A Ferragosto, si sa, si tirano le somme della prima parte dell’anno ed è un ottimo momento per fare delle riflessioni sul presente e sul futuro, per decidere cosa fare alla ripresa.
Come sapete, siamo stati i primi, e per un lungo periodo anche gli unici, a denunciare la situazione disastrosa di Open (ormai senza) Fiber. Ora sulla stampa quotidiana più accreditata si legge ogni giorno di questa o quella vistosa manchevolezza di Open (senza) Fiber o della sua situazione finanziariamente ed organizzativamente disastrosa.
L’azienda ci ha accusato di aver fatto una campagna contro e ci ha denunciati. Ci ha chiesto 1,5 milioni di euro di danni per diffamazione. Francamente, non si capiscono i motivi di una reazione così spropositata. Abbiamo sempre detto la verità, solo la verità, come è nostra abitudine, e riportato numeri accertati e fatti incontrovertibili. Abbiamo anche invitato continuamente Open (senza) Fiber a replicare con tutto lo spazio necessario eventualmente richiesto sulle pagine del nostro giornale. Ma, guardo caso, l’azienda non è mai stata in grado di smentirci. Questo vorrà pur dire qualcosa.
L’attuale guida aziendale di Mario Rossetti non ha solo denunciato noi.
Ha fatto fuggire da Open (senza) Fiber i migliori dirigenti e dipendenti, quelli con lunghe esperienze nel settore, e quelli che sono rimasti sono (a quanto ci risulta) stanchi, sfiduciati e preoccupati per i loro futuro, perché non hanno trovato altre alternative o perché in attesa di imprevedibili e poco rassicuranti cambiamenti. Ormai sono iniziate anche le guerre interne: uno contro continuo, con gli uni armati contro gli altri, tutti impegnati a scaricarsi vicendevolmente le responsabilità del disastro. Una brutta aria.
C’è in tutti coloro che, per una ragione o per un’altra, sono rimasti in Open (senza) Fiber la consapevolezza che l’azienda sia stata guidata in maniera disastrosa da Mario Rossetti e dal management da lui scelto, un management incapace, inadeguato e in alcuni casi raccomandato. D’altra parte, prima di Open (senza) Fiber, Mario Rossetti aveva avuto una esperienza come Amministratore Delegato solo in una modesta azienda, Cobra Spa, una società di antifurti. E successivamente, come Chief Financial Officer di Open (all’epoca ancora con) Fiber si è sempre mostrato (come i risultati testimoniano) non all’altezza del controllo di gestione. A questo punto, nessuno sa cosa succederà all’azienda e quale sarà il suo futuro. Open (senza) Fiber è diventata una “patata bollente”, molto bollente, per il Governo, per Cassa Depositi e Prestiti (CDP), per Macquarie e, aggiungiamo noi, per il Paese.
Proviamo a fare una ipotesi di cosa potrebbe succedere.
La strada meno dolorosa sarebbe quella di seguire le stesse scelte fatte venti anni fa con il caso Blu, la società di telefonia mobile che andò in default. E allora cosa si può fare per Open (senza) Fiber? Smantellare l’azienda e dividerla in due tronconi, sembra la soluzione più ragionevole. Vendere subito le Aree nere in sovrapposizione con la rete di TIM, cosa che ci eravamo permessi di suggerire nel lontano mese di gennaio passato, ben 7 mesi fa (Macquarie potrebbe essere l’acquirente e potrebbe, in questo modo, rientrare del suo investimento di 2 miliardi di euro circa in Open (senza) Fiber. Pari e patta. Che è sempre un bel risultato, quando il rischio è di rimetterci l’osso del collo.
Ma cosa resterebbe? Quali sono gli asset che rimarrebbero?
Al momento il resto dell’azienda rimarrebbe solo nelle Aree bianche con circa 180mila clienti (ripetiamo 180mila clienti…), ma ricordiamo che nelle Aree bianche la rete è in concessione ed è di proprietà dello Stato. Nelle Aree grigie, di fatto, i lavori non sono praticamente ancora cominciati e sono appena poche migliaia le unità connesse.
Open (senza) Fiber potrebbe cercare di conferire queste parti restanti alla NewCo che rileverà la rete di TIM, ma il valore è quasi pari a zero. Anzi l’acquirente potrebbe anche chiedere una dote al Governo, per poterli rilevare. E pensare che appena 2 anni fa o poco meno, al momento dell’uscita dell’ENEL, l’azienda fu valutata oltre 7 miliardi di euro.
Allora cosa resterebbe?
Una azienda a cui fanno capo debiti, solo debiti, che alla fine dell’anno potrebbero avvicinarsi alla cifra monstre di 6 miliardi di euro, e con essi i rischi per ulteriori multe di centinaia di milioni, penali da pagare, cause legali. Insomma solo macerie. Chi pagherà il conto per questo disastro? Cassa Depositi e Prestiti (CDP), che fa sempre più muro nella difesa di Mario Rossetti, AD di Open (senza) Fiber? L’attuale management di Open (senza) Fiber? Vedremo, intanto c’è da sperare che la Corte dei Conti si muova in fretta per valutare possibili danni erariali. Vedremo.
Ma, al momento, il danno più grosso che ha fatto la gestione di Mario Rossetti ad Open (senza) Fiber è stato quello di discreditare il ruolo di Cassa Depositi e Prestiti (CDP), che pure (è il caso di ricordarlo) gestisce il risparmio postale degli italiani.
Come si sarebbe potuta affidare, come qualcuno aveva ipotizzato, la rete unica alla gestione di Open (senza) Fiber, dal momento che questa azienda ha dimostrato una totale incapacità nel fare quello che avrebbe dovuto fare. Eppure il compito era chiaro e semplice: scavare e costruire una rete in fibra per il Paese.
E per colpa di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) abbiamo perso anche la “rete nazionale”, che adesso ob torto collo sarà affidata a KKR, un fondo che sarà sicuramente in grado di gestirla meglio rispetto a quanto abbia fatto CDP con Open(senza) Fiber.