Il nuovo dossier di Legambiente “Comuni Ricicloni” edizione 2023
Gli italiani producono troppi rifiuti e molto spesso le amministrazioni comunali non sono in grado di gestire questo volume di immondizia, né in termini di economia circolare, né di inserimento degli stessi nei tortuosi e costosi circuiti nazionali ed internazionali di smaltimento.
Di fatto, i rifiuti sono un problema economico, sanitario e sociale, ma non per tutti. L’edizione 2023 del dossier di Lagambiente dal titolo “Comuni Ricicloni” ci restituisce una mappa dei Comuni più virtuosi nella gestione dei rifiuti in continuo aggiornamento.
Sono 629 (+39 rispetto alla scorsa edizione) i Comuni Rifiuti Free in Italia (dati relativi al 2022), cioè quelli in cui la produzione annuale procapite di rifiuti avviati a smaltimento è inferiore ai 75 Kg.
“Il numero più alto finora raggiunto nell’ambito dell’iniziativa”, si legge nel documento.
Regioni bocciate e promosse sui rifiuti, il dato peggiore per il Centro Italia
Non si arresta la crescita del Sud Italia, che conta 176 Comuni Rifiuti Free (il 28%, + 11 rispetto alla scorsa edizione). Il primato resta ancora del Nord Italia con 423 (67,2%, +32 rispetto alla scorsa edizione). Fanalino di coda ancora il Centro Italia.
Tra le regioni che registrano una crescita maggiore, troviamo: la Sicilia che, rispetto alla scorsa edizione, ha più che raddoppiato il numero di Comuni Rifiuti Free (da 9 a 23); e la Sardegna che addirittura lo triplica (da 10 a 30 comuni).
Poi c’è il Piemonte, che passa da 18 a 49 Comuni, e il Veneto, che, dopo l’arresto dello scorso anno, aggiunge 18 Comuni arrivando così a 169 Comuni Rifiuti Free. Peggiorano le performance in graduatoria di Abruzzo (-7 Comuni), Lombardia (-21 Comuni) e Campania (-20 Comuni).
Guardando poi alla classifica generale, salta all’occhio il dato del Lazio, per due motivi: il primo perché ospita la Capitale d’Italia, Roma, il secondo perché solamente 5 Comuni sono stati classificati “Rifiuti Free”, appena l’1,3% del totale.
Nel Lazio solo lo 0,8% della popolazione può godere di un centro abitato con una gestione dei rifiuti assolutamente virtuosa, cioè appena 43.857 cittadini su 5.707.112.
Peggio hanno fatto solo Liguria e Puglia.
Una situazione, questa del Lazio, che probabilmente è frutto di una gestione assolutamente sbagliata e dannosa del ciclo dei rifiuti, di cui Roma è il simbolo.
Il caso Roma
Secondo l’Ispra, la Capitale d’Italia ha solo da poco superato il 50% di differenziata (dati 2022), il che significa che la rimanente quota di rifiuti la ritroviamo in strada, nei tradizionali secchioni, con tutti problemi che ben conosciamo in termini di igiene, qualità della vita e del servizio, e in termini sociali (con l’esplodere di proteste, spesso violente, il rogo dei secchioni pieni di immondizia e conseguenti emissioni tossiche).
A leggere i giornali e ad ascoltare i funzionari capitolini, Sindaco compreso, tutti attendono il termovalorizzatore, come fosse la soluzione ad ogni problema, quando non è così e comunque prima del 2026 non sarà pronto. Che si farà fino ad allora? Non c’è un percorso alternativo da provare?
Molto spesso si tira in ballo il grande termovalorizzatore di Copenaghen, in Danimarca, come esempio di grande efficienza e sostenibilità, ma recenti ricerche hanno evidenziato un livello molto alto di emissioni nocive generate dall’impianto (1,3 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, il 5% quasi di tutte le emissioni nocive della Danimarca e poi un 20% del bruciato diventa scoria da dover trattare ulteriormente).
Ambiente, inquinamento, salute
La qualità dell’aria a Roma è già piuttosto compromessa, ulteriori fonti inquinanti sarebbero assolutamente da evitare, vista anche la fetta di popolazione con età superiore ai 65 anni (circa il 26-27% del totale), la cui salute è messa a serio rischio dall’inquinamento.
L’unica strada rimane un contenimento dei consumi (quindi un approccio anche culturale al problema) e un potenziamento dell’economia circolare ad ogni livello.
Ce la faremo?
Secondo l’edizione 2032 del Green Book di Utilitalia e Fondazione Utilitatis, realizzato quest’anno in collaborazione con ISPRA e con la partecipazione di Enea ed Ancitel Energia e Ambiente, però, per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità e circolarità nella gestione dei rifiuti in Europa, nel nostro Paese mancherebbero all’appello circa 6-7 miliardi di euro di investimenti in nuove infrastrutture e nuovi impianti per il trattamento dei prodotti di scarto.