Secondo Giampiero Gramaglia “In Ucraina la controffensiva può determinare l’esito del conflitto[1]. In un senso o nell’altro in caso di successo o di fallimento dell’iniziativa di Zelenskyj”, essa non sarà probabilmente priva di conseguenze sull’esito del conflitto. Riprendendo un’analisi del Washington Post “la controffensiva ucraina, in corso da alcuni giorni e cominciata quasi in sordina, “può decidere il destino della guerra”: “Se la controffensiva riesce e gli ucraini ricacciano i russi sulle posizioni di partenza, o anche solo nel Donbass, rompendo nel Sud-Est del Paese la continuità territoriale con la Crimea, Mosca – osserva Gramaglia – si troverà – dopo oltre 500 giorni di guerra e centinaia di migliaia di morti – senza nulla in mano e costretta sulla difensiva – un atteggiamento, del resto, assunto ormai dall’autunno 2022, salvo Bakhmut e poche altre eccezioni –. Il presidente Vladimir Putin potrebbe a quel punto accettare un’intesa al ribasso rispetto agli obiettivi di partenza della sua ‘operazione speciale’. Se, invece, la controffensiva fallisce o ottiene risultati troppo limitati ed evidenzia dei limiti dell’Ucraina nel liberare porzioni di territorio occupate, l’Occidente potrebbe interrogarsi sull’entità degli aiuti militari ed economici e del coinvolgimento necessari per ‘fare vincere’ Kiev sul terreno e Zelenskyj potrebbe ricevere pressioni per accettare un negoziato”.
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Se è una controffensiva, anzi se è la controffensiva dell’Ucraina a lungo annunciata e tanto attesa, non è certo una ‘Blitzkrieg’. C’era da aspettarselo, e i militari ci avevano avvertito, che non ci sarebbero state avanzate fulminee ucraine e caporetto rovinose russe, almeno nell’immediato.
C’è ancora spazio per beffarde ritorsioni: i russi non cessano di bombardare le città ucraine. La notte tra lunedì 12 e martedì 13 giugno missili sono caduti nell’Ucraina centrale su Kryvyi Rih, dov’è nato il presidente Volodymyr Zelenskyj, colpendo edifici residenziali e facendo almeno una decina di vittime civili e una trentina di feriti – per le autorità locali, missili o spezzoni di cruise hanno colpito un condominio di cinque piani, in un quartiere prevalentemente abitato da insegnanti -. La notte dopo è toccato a Odessa: anche qui, vittime e feriti fra i civili.
Eppure, la controffensiva ucraina, in corso da alcuni giorni e cominciata quasi in sordina, “può decidere il destino della guerra”: la sintesi, icastica, è del Washington Post, che riesce a esprimere in poche parole una percezione diffusa nelle capitali occidentali e di cui forse sono consapevoli anche Mosca e a Kiev.
Se la controffensiva riesce e gli ucraini ricacciano i russi sulle posizioni di partenza, o anche solo nel Donbass, rompendo nel Sud-Est del Paese la continuità territoriale con la Crimea, Mosca si troverà – dopo oltre 500 giorni di guerra e centinaia di migliaia di morti – senza nulla in mano e costretta sulla difensiva – un atteggiamento, del resto, assunto ormai dall’autunno 2022, salvo Bakhmut e poche altre eccezioni –. Il presidente Vladimir Putin potrebbe a quel punto accettare un’intesa al ribasso rispetto agli obiettivi di partenza della sua ‘operazione speciale’.
Se, invece, la controffensiva fallisce o ottiene risultati troppo limitati ed evidenzia dei limiti dell’Ucraina nel liberare porzioni di territorio occupate, l’Occidente potrebbe interrogarsi sull’entità degli aiuti militari ed economici e del coinvolgimento necessari per ‘fare vincere’ Kiev sul terreno e Zelenskyj potrebbe ricevere pressioni per accettare un negoziato. Non accadrà prima del Vertice della Nato di Vilnius in luglio: il premier canadese Justin Trudeau è stato l’ultimo leader occidentale, in ordine di tempo, a recarsi a Kiev, promettendo di addestrare i piloti ucraini (che, però, non hanno, per ora, aerei adeguati).
La situazione sul terreno: avanzate, ma non sfondamenti ucraini
Secondo analisti occidentali, le truppe ucraine equipaggiate con armi occidentali stanno saggiando le linee difensive russe, consolidate nella lunga stasi dei combattimenti tra inverno e primavera. Lo stallo, palese su tutto il fronte – tranne che a Bakhmut -, ha permesso alle unità russe d’incrementare i propri effettivi e migliorare le proprie dotazioni e ai generali russi di affinare le loro tattiche.
Per gli ucraini, “potrebbe essere problematico – scrive l’Associated Press – mettere a segno qualsiasi rapida e decisiva vittoria”. Kiev rivendica tuttavia la liberazione, in meno di una settimana, di circa 100 kmq di territorio e sostiene di avere penetrato le linee difensive russe in diversi punti del fronte complessivamente lungo circa 1500 chilometri. Mosca contesta le affermazioni, parla di attacchi respinti e rivendica la cattura di blindati statunitensi e tedeschi.
Contestualmente – scrive Politico -, Putin ammette che la Russia non ha armi e droni a sufficienza: se Zelenskyj ne chiede ai Paesi della Nato e all’Occidente in generale, Putin non li riceve dalla Cina e può solo contare su forniture dall’Iran. Gli Usa hanno indizi che Teheran stia fornendo a Mosca tecnologia e materiali per costruire ed alimentare una fabbrica di droni.
Mentre gli arsenali russi vanno svuotandosi, gli Stati Uniti annunciano ulteriori aiuti per 325 milioni di dollari all’Ucraina inclusi veicoli da combattimento Bradley e Stryker. Il segretario di Stato Antony Blinken spiega, in una nota, che Washington continua a essere a fianco degli ucraini, “il cui coraggio e la cui solidarietà ispirano il mondo”, e che armi e mezzi servono a “rinforzare gli ucraini sul campo di battaglia”. E il segretario alla Difesa Lloyd Austin torna a Bruxelles per consultazioni alla Nato.
Secondo il Wall Street Journal, l’Amministrazione Biden potrebbe fornire a Kiev munizioni all’uranio impoverito come per dotarne i carri armati Abrams: proiettili che hanno anche i russi e che suscitano preoccupazioni per gli effetti sulla salute dei soldati che li maneggiano e sull’ambiente.
La cacofonia diplomatica e la determinazione vaticana
E’ stato Zelenskyj stesso a dichiarare lanciata la controffensiva, che doveva essere di primavera e finisce con l’essere d’estate: i comandanti – dice – hanno sensazioni positive, le truppe ingaggiano aspri combattimenti e stanno guadagnando terreno specie a Bakhmut e nell’area di Zaporizhzhia. Gli ucraini hanno l’iniziativa, confermano le intelligence da Londra a Washington.
Frasi di prammatica a parte, l’Occidente attende di capire che piega prenderà la controffensiva, magari con l’idea di tirarne le somme al Vertice di Vilnius in luglio. Nel frattempo, s’intrecciano abbozzi di dialogo confusi. L’iniziativa di pace cinese pare in secca, forse nell’attesa della missione a Pechino il 18 giugno di Blinken, che vedrà il ministro degli Esteri Qin Gang e forse il presidente Xi Jinping. E’ la missione rinviata a inizio febbraio, nella scia delle polemiche per il pallone sonda – o spia – cinese intercettato sui cieli degli Stati Uniti. Blinken arriva in Cina dopo avere affermato che un cessate-il-fuoco sarebbe “una pace alla Potemkin” e legittimerebbe le conquiste territoriali russe.
Il presidente turco Racep Tayyip Erdogan, che aveva messo in pausa le manovre diplomatiche causa campagna elettorale, deve ancora riannodare i fili dei contatti. E le sortite indonesiana e brasiliana appaiono velleitarie.
La trama diplomatica più fitta è, in questo momento, quella vaticana. Dopo la missione a Kiev dell’inviato del Papa, e presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, ipotizza un incontro di Zuppi col capo della chiesa di Mosca, il patriarca Kirill, che mesi fa Papa Francesco bollò come “chierichetto di Putin” per le posizioni ultra-nazionaliste.
Ma perché il passo di Zuppi a Mosca sia bilanciato con quello a Kiev, l’inviato del Papa non potrà accontentarsi di vedere Kiril, ma dovrà avere accesso a Putin. Che ora sta ostentatamente sulle sue. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz dice di volergli parlare “a breve”, ma il Cremlino chiude la porta: “Non è previsto nessun incontro”.
Il presidente francese Emmanuel Macron discute con Scholz e il presidente polacco Andrzej Duda di aiuti a Kiev e del Vertice di Vilnius, dove sarà sul tappeto l’adesione dell’Ucraina alla Nato. Giorni fa, l’ex segretario generale dell’Alleanza atlantica, l’ex premier danese Anders Rasmussen, ha suscitato un vespaio, ipotizzando che la Polonia e gli Stati Baltici possano inviare proprie truppe in Ucraina, se da Vilnius non uscirà un percorso di adesione chiaro.
A fare da sponda all’azione di Francesco, c’è tutto un fermento di manifestazioni di buona volontà. A Vienna il ‘Vertice internazionale dei popoli per la pace in Ucraina’: centinaia di partecipanti che vogliono “dare dal basso” un contributo a percorsi di tregua e pace. E a piazza San Pietro, collegata con altre otto piazze di tutto il Mondo, c’è il meeting mondiale della Fraternità, con 76 associazioni e trenta premi Nobel, tra cui il fisico Giorgio Parisi. E la Santa Sede prosegue l’azione diplomatica e umanitaria per restituire alle loro famiglie 19 mila bambini ucraini che Kiev sostiene siano stati deportati in Russia.
Drammi umanitari, l’acqua e il fuoco
Sul terreno, l’intelligence britannica, che fa spesso da cassa di risonanza a quella ucraina, conferma che le forze ucraine sono penetrate nella prima linea delle difese russe in alcune aree del fronte e dice che la reazione russa è altalenante. Gli ucraini rivendicano di avere liberato dall’occupazione quattro villaggi nel Donetsk. Il Cremlino parla di “perdite devastanti” subite dagli ucraini, ma Putin, nel contempo, critica i suoi generali e pare schierarsi dalla parte del capo dei mercenari del Wagner Evgheny Prigozhin nella disputa con il ministro della Difesa Sergej Shoigu.
Se sul terreno bada a tenere le posizioni, Mosca insiste, come abbiamo visto, ad attaccare dal cielo: Kiev, Odessa, Kherson e molte altre sono le località colpite nell’ultima settimana, anche con droni di produzione iraniana con componenti cinesi, denuncia il Wall Street Journal.
Tra Zaporizhzhia e Kherson, resta l’emergenza umanitaria dopo Kakhovka, sul cui sabotaggio non s’è ancora fatta chiarezza: se le acque defluiscono, è precaria la situazione degli sfollati (alcune migliaia, ma le cifre variano di molto nel tempo e a seconda delle fonti).
L’Onu lancia l’allarme per un disastro agricolo, industriale ed ecologico fra i più gravi in Europa nel XXI Secolo; e Zelenskyj accusa i russi di avere bombardato scuole trasformate in centri d’accoglienza degli sfollati. Fonti di Kiev dicono che oltre 2300 persone hanno abbandonato l’area di Kherson controllata dall’Ucraina, sulla riva destra del fiume Dnipro, e che oltre 3600 abitazioni sono state invase dalle acque-
Esclusive riprese con droni della diga collassata, fatte dalla Associated Press, mostrano l’entità del danno: villaggi sotto occupazione invasi dalle acque; campi sommersi; centinaia di abitazioni, granai, chiese, scuole, strutture produttive inondate. Ma non chiariscono nulla sulla dinamica dell’accaduto, neppure se si sia trattato di sabotaggio o di cedimento strutturale.
C’è sempre timore per la centrale nucleare di Zaporizhzhia, occupata dai russi all’inizio dell’invasione. Zelenskyj ne ha di nuovo parlato a Kiev con il direttore generale dell’Aiea, l’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica, Rafael Grossi, i cui tecnici presidiano l’impianto.
Le informazioni di guerra continuano a essere intrise di reciproca propaganda. Un esempio recente: la Russia afferma di avere distrutto un carro armato ucraino e diffonde un video in merito, immagini poco nitide e in bianco e nero; ma una video-analisi condotta dai media Usa accerta che la clip mostra un elicottero che attacca un trattore.
[1] Scritto per La Voce e il Tempo 15 giugno 2023. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2023/06/15/ucraina-punto-controffensiva-esito-conflitto/