L’Italia “chiederà alla Commissione maggior approfondimenti, per avere maggiori evidenze e numeri” sull’ipotesi di fair share sulle Big Tech per finanziare le reti in fibra e 5G. Mentre sul fronte della connettività, “La situazione è critica, l’Italia deve correre per chiudere il gap che si sta sempre più allargando, nelle aree bianche ma anche nelle aree grigie finanziate dal PNRR e in quelle nere”, e per questo è in arrivo una nuova strategia per la banda ultralarga, che sarà pronta entro fine giugno o al massimo ai primi di luglio. Lo ha detto oggi il sottosegretario con delega all’innovazione tecnologica Alessio Butti in occasione di un evento che si è tenuto oggi a Roma.
Fair Share, Butti: ‘Potrebbe ricadere sui consumatori’
“La cosiddetta “tassa su internet” potrebbe incidere sulla qualità dei contenuti messi a disposizione dagli OTT o sul prezzo finale al consumatore – ha detto Butti – Ciò a sua volta porterebbe a un circolo vizioso di prezzi più̀ alti, minore attrazione, minore scelta e minore utilizzo, che in ultima analisi significa minore domanda di reti ad altissima capacità (VHCN), lasciando gli operatori telecom con reti in fibra inattive. Gli OTT sono presentati come generatori di traffico, senza verificare se tale ipotesi sia effettivamente corretta. E in realtà è una ipotesi non corretta. Il traffico è generato dagli utenti degli operatori telecom, non dagli OTT stessi. Inoltre si presuppone erroneamente che i costi di investimento nella rete siano direttamente correlati alla crescita del traffico. E anche questo non è effettivamente fondato nel caso dele reti in fibra”.
Tassa su Internet, Butti: ‘Penalizza il consumo e rischia di essere anticoncorrenziale’
Imporre una “tassa di rete” sui fornitori di contenuti di qualità “non fa altro che indebolire l’opportunità di investire in ulteriori contenuti di qualità – aggiunge il Sottosegretario – Penalizzare quindi la distribuzione su Internet con una “tassa di rete” incoraggerebbe un ritorno all’uso di piattaforme del passato come i canali TV trasmessi via cavo o DTH, incidendo negativamente sugli enormi sforzi dell’UE per promuovere l’innovazione e il lavoro verso gli ambiziosi obiettivi europei della “Digital compass””.
Per Butti è incoerente tassare proprio ciò che si vuole di più, vale a dire la digitalizzazione. “Una “tassa su internet” può ostacolare in modo significativo l’evoluzione del mercato digitale e limitare la scelta per i cittadini dell’UE. Costituirebbe un cambiamento radicale del quadro tariffario esistente e, in ultima analisi, scoraggerebbe gli investimenti nella digitalizzazione in Europa e imporrebbe oneri alle imprese europee, favorendo nel contempo gli operatori con sede al di fuori dell’Europa. Inoltre, rappresenterebbe una violazione delle regole di concorrenza. Come si potrebbero far pagare degli oneri alle sole piattaforme OTT e non ai servizi di content provider come, ad esempio, i servizi pubblici televisivi? In Italia faremmo pagare anche RaiPlay e le dirette TV dei Broadcaster?”.
Tassa su Internet, Butti: ‘OTT potrebbero spostarsi sul satellite’
Inoltre, “se dovesse scattare la “tassa sulla rete” , avremmo delle zone franche, come TV via cavo e satellite, che sarebbero escluse dal nuovo regime di tassazione di rete. In tal caso le piattaforme degli OTT si potrebbero agevolmente rivolgere alla distribuzione via satellite, (oggi in condizione di offrire ampiezze di banda ragguardevoli e capaci di trasmettere in 4K e addirittura in 8K), con un rallentamento del processo di digitalizzazione e di passaggio alla fibra, anzi con l’annullamento degli sforzi sin qui fatti per spostare tutti i contenuti sulla fibra, per renderla appetibile agli occhi dei consumatori”.
“Per queste ragioni ribadisco quanto comunicato anche pubblicamente nei giorni scori, di allinearci con la maggioranza dei Paesi europei sulla necessità di promuovere in Europa le misure di approfondimento e valutazione di tutti gli aspetti del fenomeno, con la produzione di evidenze e numeri, prima di proporre qualsiasi nuova misura che, se assunta senza tali requisiti, sarebbe solo arbitraria e prevaricatrice, con danno per il mercato e per i consumatori”, conclude Butti.
Lavori di Open Fiber: ‘Ritardi in aree bianche, ma anche grigie e nere con fondi PNRR’
Il Sottosegretario ha poi parlato dei gravi ritardi dei lavori di Open Fiber. “Per quanto riguarda le Aree Bianche (aree, lo ricordo, a fallimento di mercato e per questo finanziate con soldi pubblici europei e regionali) siamo ormai arrivati a giugno del 2023 e sono solo 2.653.073 le unità immobiliari “collaudate” (dati pubblici Infratel aggiornati alla fine di aprile 2023)”, ha detto Butti.
A seguito della Concessione e delle Convenzioni firmate da Infratel ed Open Fiber, “i lavori di tutti i lotti si sarebbero dovuti concludere entro questo mese di giugno, per un totale di circa 6,4 milioni di unità immobiliari. Purtroppo siamo arrivati a solo poco più del 40% dei lavori che si sarebbero dovuti eseguire, come stabilito appunto nelle Convenzioni”.
Prima milestone aree grigie disattesa
Dalla lentezza dei lavori in corso sembra evidente che i ritardi con la gestione di Open Fiber purtroppo siano aumentati e si stiano ulteriormente accumulando. “Per le Aree grigie, finanziate con i soldi europei del PNRR, la situazione è molto preoccupante e c’è il rischio che una grande parte dei fondi vada persa. E non possiamo permettercelo. La prima milestone delle Aree grigie di Open Fiber, scaduta lo scorso 31 dicembre e che riguardava appena l’1% dei numeri civici da collegare su un totale di 3,9 milioni, non è stata raggiunta. Neanche la seconda milestone, che prevede l’obiettivo di collegare il 15% dei numeri civici e con scadenza 30 giugno 2023, sarà rispettata, come peraltro comunicato dalla stessa azienda”.
“La situazione non va meglio nelle Aree nere”, aggiunge Butti, auspicando un cambio totale di business model per le telco, da trent’anni appiattite sulla vendita dell’accesso alla rete.