Stefano Rolando in un articolo intitolato “La meteora Draghi[1]. Un saggio su immagine e potere” illustra e recensisce un saggio di Guido Barlozzetti nato dalla rielaborazione di alcuni suoi contributi scritti nel 2021 e 2022 per Democrazia futura “La meteora? Mario Draghi. L’anomalia di un’immagine”, Chiugiana (Perugia) Bertoni, 2023, 219 p. “Studiare un governo è materia che abitualmente vede all’opera politologi, analisti istituzionali, macroeconomisti, geopolitici (soprattutto per le implicazioni della guerra). Mentre lo sguardo dell’autore qui dipende dalle cose che lo hanno sempre interessato: i media, la comunicazione, la costruzione dell’immaginario”.
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Quello di Guido Barlozzetti[2] è un libro ben lavorato: nella documentazione, nella tempistica narrativa, nei linguaggi.
Soprattutto è un libro che ricapitola una storia importante per l’Italia – quella di Mario Draghi capo del Governo – che solo nel tempo si potrà capire se sia stato solo una meteora (nel titolo c’è un punto interrogativo e comunque l’autore la paragona al passaggio notturno del Rex in Federico Fellini) o anche altro. Studiare un governo è materia che abitualmente vede all’opera politologi, analisti istituzionali, macroeconomisti, geopolitici (soprattutto per le implicazioni della guerra). Mentre lo sguardo dell’autore qui dipende dalle cose che lo hanno sempre interessato: i media, la comunicazione, la costruzione dell’immaginario.
Condivido per ragioni disciplinari questo sguardo. Io stesso ho lavorato sul dibattito pubblico e soprattutto mediatico che ha accompagnato la complessa vicenda del governo Draghi, raccogliendo credo accuratamente soprattutto opinioni di terzi.
Guido Barlozzetti invece, ha montato una lunga sequenza di tante scene teatrali per collezionare un centinaio di definizioni della figura poliedrica del Protagonista (è questa una delle cento definizioni, scritta ovviamente con la P maiuscola) nella parabola del Salvatore (altra definizione) che vede trasformare gli Alleati in Antagonisti fino al duro ma dignitoso epilogo. Aggiungo che vorrei dedicare questo commento allo scandalo mediatico del silenzio forzato attorno a Draghi (anche con la sua complicità) dal giorno stesso della sua uscita di scena, con l’eccezione di una ampia intervista al Corriere.
Diciamo che questo di Guido Barlozzetti è un fluido e connesso viaggio di un uomo formalmente visibilissimo ma che ha mantenuto il controllo della sua prudente visibilità (qualche volta anzi è apparso addirittura invisibile) in ordine agli equilibri tra navigazione e coraggi.
In un contesto – quello della politica italiana dei nostri giorni – che è tanto rumoroso quanto poco leggibile in ordine alle sue patologie e ai rischi per lo stesso regime democratico. Un contesto che si è un po’ semplificato dopo le elezioni – che hanno avuto luogo, tuttavia, grazie anche alla decisione di Draghi di rimettere il mandato – ma aprendo un nuovo ciclo di interrogativi, anche pesanti, rispetto a cui metà degli italiani hanno dichiarato con il non-voto il loro pieno disinteresse.
La chiave di questa analisi è dunque quella del nostro mestiere, cioè la complessità della traiettoria reputazionale della classe dirigente. Soprattutto quando la soglia è già molto alta all’inizio del percorso ed è messa poi a prova appunto dall’inizio da un principio che a un certo punto prende corpo e consistenza: l’uomo che interpreta la salvezza riserva per molti il rischio di essere anche un fattore di minaccia. Se vogliamo collocare questo libro nella linea dei noir (dove c’è un delitto, una vittima e degli imputati) beh, questa è in sintesi la trama.
Dunque, una partenza regolata da una egemonia morale che riesce anche a trasformare il silenzio come lo spettacolo del decoro. Ma che cammin facendo adotta una narrativa pedagogica (così la descrive Lionel Barber, per quindici anni direttore del Financial Times, che ha scritto la prefazione alla raccolta dei discorsi di Draghi nel percorso di Governo, pubblicati di recente dalla Treccani[3]) che sorregge, se vogliamo, un vecchio stile di istituzione sociale, che si rivela così diversa dalla narrativa di scontro a volte becero e non argomentato a cui si dedicano molti, troppi politici, tanto da fare di una differenza un baratro. Una “differenza” in cui una certa politica indocile a ogni rigenerazione – come si diceva – ha temuto il caro prezzo del crescente consolidamento del Salvatore.
La parola nel racconto ha peso, come lo stile, la postura, l’atteggiamento comunicativo. La fascinazione appare come lo stupore per l’uso di un modo ironico, persino felpato di far polemica, quando ci eravamo abituati all’uso abituale della clava. E ciò soprattutto nei momenti più acuti, come è stata ad esempio l’ultima conferenza stampa del mandato[4].
Il libro non molla mai la presa interpretativa su un uomo in carne e ossa, pur contornato dalla – per così dire – luminosità dei corpi celesti. Ma – attenzione – non è un testo psicologico, non indaga su radici ancestrali, non scava sulle pulsioni, non ci parla di infanzia e genitori. È tutto dentro i contorni di una chiave abituale della sociologia dei media e della politica: il potere della percezione e la percezione del potere. L’incipit e le conclusioni del testo sono indispensabili per questa indagine.
Ho colto tre elementi di validità in questo approccio, scritto con arguzia e che si legge come un romanzo.
Il nastro che scorre senza soste nelle pagine è quello della narrazione dei fatti, che ci tengono legati a una trama abbastanza nota. Lo spazio del racconto è largamente per lui, il Protagonista. Tutto il resto è schizzo occasionale. L’adesione sentimentale (in senso civile) dell’autore non è dissimulata, Draghi gli sta simpatico senza scendere nella tifoseria ma va detto che nemmeno gli assetti scivolosi del percorso sono tenuti a margine.
La sequenza – tesa come deve essere una storia che riguarda il governo di un grande Paese – dura 17 mesi. In cui il Protagonista conquista nella traiettoria la virtù dei perdenti, cioè la Solitudine. Passa dalla Apparizione alla Sparizione. Le verità che questa traiettoria sottende sono rimaste abbastanza velate per la maggioranza degli italiani, che hanno continuato a dare per mesi, dopo la Caduta, più del 60 per cento di stima e fiducia a Draghi. Ma diventano materia per un racconto della atipia del rapporto tra un premier indipendente (non tecnico, attenzione) e il sistema dei partiti rappresentati. Il racconto di questa atipia è, secondo me, corretto e costante.
La narrativa riguarda il fascino della parabola: Immagine, Ascesa, Caduta. Ma la sub-narrativa è tutta sul ruolo poliedrico del Salvatore che nel percorso diventa Protagonista – uso sempre le maiuscole come fa Barlozzetti – anche della sua oggettiva minaccia. Questo – come dicono gli sceneggiatori – è il plot.
Sostengo che l’approccio di Draghi allo schema politico per la durata dei 17 mesi non sia tecnico ma pattizio. In tutta la sequenza: Sicurezza, Soluzioni, Sfarinatura. Si costruisce nel tempo una sub-sub narrativa: l’erosione della fiducia non degli italiani ma degli Alleati, convinti che l’allungamento del governo a tutta la legislatura avrebbe significato una Santificazione (probabilmente quirinalizia, tema che anche questo libro considera un “passo falso”) che i più pensano ed esprimono in modo frammentario, a passo di gambero, e quindi anche con un po’ di ipocrisia.
Mentre a un certo punto Massimo D’Alema (relativamente fuori gioco) esplicita invece con parole aspre che andrebbero bene per quasi tutta la politica professionale. Ma che la politica professionale ha pensato, ma a denti stretti, attenta a non rischiare impopolarità.
E qui veniamo alle 85 definizioni che appartengono alla rielaborazione personale di Barlozzetti in questo libro che i posteri chiameranno “il Lapidario dell’Orvietano”, a cui si aggiungono almeno una quindicina di definizioni di commentatori e giornalisti, tanto per fare cifra tonda.
La pretesa letteraria dell’autore è di non considerare questa esercitazione come l’ampiezza dello spettro del vocabolario della politica. Ma come il disegno del volto dei limiti del Potere (in cui si assiste ad un conflitto di fondo su cui bisogna andare cauti nei giudizi: in questa storia appare chiaro che non sempre quel che è buono per l’Italia è anche buono per la democrazia che la costituzione ritiene essere incarnata nel ruolo dei partiti. E questa riflessione pesa molto sugli interrogativi attuali della crisi, in generale, della politica rappresentata nel nostro Paese.
Tanto che alla fine del racconto il velo della reticenza si squarcia. E la politica italiana, sulla figura di Draghi, torna ad essere quella che è d’abitudine: duale e bipolare. Così finalmente può uscire dalle cronache felpate e tornare ad assaporare lo scontro verbale e il vituperio come la sua colonna sonora preferenziale. Non posso dar conto esatto di questi “cento passi”, ciascuno per descrivere i dettagli diversi e anche sommabili di una persona. Posso però almeno dire che – usando le parole dell’autore – questo libro avrebbe potuto avere almeno altri tre possibili titoli:
La fine di una anomalia (suprema sintesi, anche se come titolo un po’ noioso).
“Mi piace moltissimo stare al telefonino” (lo dice Draghi al direttore del Corriere della Sera ed è il mio titolo preferito).
Una promessa sentita anche come una minaccia (comunque l’alfa e l’omega della storia).
Come fanno spesso gli editor, il libro – sempre usando le parole dell’autore – avrebbe potuto avere altri tre titoli diciamo così intellettualistici:
“La razionalità borghese del governare”.
Dominus inter pares (capite la differenza, no?).
Il Nocchiero aureolato (mica male).
Ma visto che questo libro finirà forse nello scaffale Comunicazione anche se Barlozzetti lo vorrebbe vedere nello scaffale La Bibbia e gli epigoni, ecco – sempre tratti dal testo – altri tre titoli massmediologici:
Silenzio, stile o strategia?
Draghi no-social (mica male anche questo)
“Sì, che ero distante” (anche questa frase finisce a quel fortunato del direttore del Corriere e permette di misurare l’evoluzione della postura pubblica del premier).
E provo così, per concludere, anche a vedere se lo stesso Draghi, con parole sue, possa suggerire delle espressioni di cornice a tutto questo racconto.
A proposito dell’Italia, ma nel giorno della Caduta, scelgo questa:
“Sono qui in quest’aula, oggi, a questo punto della discussione, solo perché gli italiani lo hanno chiesto. Agli italiani non a me dovete dare le risposte alle domande che ho formulato”
(c’è chi apprezzerà ma c’è anche chi gli rimprovererà questo tu per tu col Popolo nel momento diciamo così “supremo”).
A proposito dell’Europa (con l’incombere della guerra):
“In certi momenti della storia, il non agire, il non prendere parte, è immorale”.
Si parva licet componere magnis[5], provo anch’io – per concludere – a dare una mia versione introducendomi di soppiatto nel Lapidario di Barlozzetti (che è appunto molto più “lapidario” di me: il Nocchiero, il Traghettatore, l’Eroe, il Salvatore, l’Impareggiabile, il Gestore delle compatibilità, il Garante, il Collante, l’Attore ascoltato e autorevole. Ma anche: Deamicisiano e da Lessico famigliare, Un lucido e consapevole Candide, Artù e i Cavalieri della Tavola rotonda, il Pompiere, eccetera). Per non apparire agiografici con le citazioni devo anche ricordare che nel libro c’è anche il Lapidario degli oppositori, ovviamente, con battute maliziosette che sono cresciute nell’ultimo arco del mandato. Per esempio: “La quintessenza delle oligarchie occidentali” (Tommaso Montanari), “La solita arietta da Maria Antonietta” (Marco Travaglio), “L’effimero monarca” (Barbara Spinelli).
Do dunque la mia versione con un micro-raccontino.
Non ho mai visto Mario Draghi agire nel quadro della vicenda di Governo come un “tecnico” (come per certi versi fu Lamberto Dini, schiacciato dalla crisi che si era aperta con il breve governo Berlusconi che fu travolto ma aprì la storia della seconda Repubblica).
L’ho visto come il responsabile di un negoziato pattizio, dunque un politico, sia pure parteggiante per le istituzioni e non per un partito in causa. Un patto con tre poste in gioco: gli interessi nazionali, la potenziale rigenerazione della politica, le basi da gettare per le transizioni.
Tre poste alte rese possibili dal suo paradigma (l’esprit républicain); dal contesto storico (l’emergenza politica non solo sanitaria), da un requisito che – in tandem con Sergio Mattarella – avrebbe potuto esprimere un Giuliano Amato, ma Mario Draghi usciva dall’esperienza recente di grande forza della Banca Centrale Europea: il patto di credibilità con l’Europa, quello che, al di là della propaganda, si sta deteriorando, dopo sei mesi di governo Meloni che ha il suo paradigma soprattutto nella rivincita della destra più che in quegli interessi nazionali che non basta sbandierare, bisogna che siano riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale.
Dunque, dire “adesso sì che c’è un governo politico”, rispetto al predecessore, mi pare una inesattezza.
[1] Pubblicato come podcast sul magazine online Il Mondo nuovo il 28 maggio 2023. Può essere ascoltato collegandosi al link: https://www.ilmondonuovo.club/meteora-draghi/
[2] Guido Barlozzetti, La meteora? Mario Draghi. L’anomalia di un’immagine, Chiugiana (Perugia) Bertoni, 2023, 219 p.
[3] Mario Draghi, Dieci anni di sfide. Scritti e discorsi. Prefazione di Lionel Barber, Roma, Biblioteca enciclopedica Treccani, 2022, 292 p.
[4] Se ne ascolti ad esempio il frammento dal minuto 39’14” al minuto 41’06” di questa conferenza stampa. Cf: https://www.youtube.com/watch?v=bevOQm68DHM
[5] ossia “Se è piccolo, è possibile abbinarlo a quelli grandi”