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Tornano i Beatles grazie all’IA (video)

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Riascoltare la voce di John Lennon, o sentire Paul McCartney cantare altro, o magari Freddy Mercury che rifà i REM, l’IA generativa è bravissima a creare cover dal nulla, anche inventando. Un gioco che diverte, ma non si deve dimenticare il problema del diritto d’autore: l’IA può essere proprietaria di un’opera? E come mettere a confronto l’operato umano da quello di una macchina?

I Beatles rivivono grazie all’IA

Sono passati più di 50 anni dallo scioglimento ufficiale dei Beatles. Era infatti il 10 aprile 1970 quando Paul McCartney annunciò la sua uscita dal gruppo. Pochi giorni dopo, l’8 maggio, usciva l’ultima fatica del gruppo, “Let it be”, poi ognuno per la sua strada. I miti non muoiono mai, lo sappiamo, ma grazie all’intelligenza artificiale (IA) a volte tornano tra noi, in questo caso con le note e le voci dei Beatles.

Come ha raccontato Andy Meek per brg.com, l’IA generativa ha ridato voce sia a McCartney, sia a John Lennon, facendo cantare all’uno la canzone dell’altro. Nello specifico, l’IA ha atto cantare a McCartney l’eterna “Imagine” di Lennon, e a Lennon il brano “Junk”, ballata del primo album di Paul.

https://www.youtube.com/watch?v=eHXP1UZ7IOY&t=24s&ab_channel=AICOVER

Va subito detto, che se anche sappiamo benissimo che tutto questo è opera di un’intelligenza artificiale, si rimane colpiti dall’effetto realtà raggiunto ormai da questa tecnologia. Le voci sembrano reali, in una parola: vere.

E’ il caso del brano incompiuto “Watching Rainbows” del 1968 (vedi videoplayer in alto), oggi rifinita dall’IA e quindi ascoltabile con le voci e gli strumenti dei Beatles.

Il gioco delle AI cover

Ovviamente, per le orecchie più attente, di problemi nell’esecuzione ce ne sono, dopo la sorpresa iniziale, qualcosa che non va si percepisce con il passare dei secondi/minuti.

Resta il fatto che l’IA è uno strumento potentissimo nel creare fake e plagi di ogni tipo. In questo caso non è né l’uno, né l’altro caso, è stato un esperimento, anche ben riuscito, come nel caso del brano “God only knows”, un brano dei Beach Boys “rifatto” con l’IA da McCartney e Lennon.

https://www.youtube.com/watch?v=X_7PJVAgLyI&t=70s&ab_channel=AlternateUniverseRecords

In un altro caso, infine, Lennon ha rifatto sempre tramite IA il celebre pezzo pop anni Novanta del secolo scorso “Wonderwall” degli Oasis (da sempre fan dei Beatles), per un risultato finale tutto sommato di livello inferiore rispetto ai titoli sopra elencati.

Di altri esempi di IA impegnata in cover di canzoni famose, c’è “Leti t be” rifatta tramite IA da Freddie Mercury, o sempre Lennon che canta “Losing my religion” dei REM.

IA, musica e diritto d’autore

Si tratta di intrattenimento puro, di un gioco, ma che deve far riflettere sulla grandissima capacità di questa tecnologia di riprodurre qualsiasi cosa attraverso qualsiasi altra. Se vuoi far cantare una canzone di Laura Pausini a Frank Sinatra non c’è problema, come non c’è problema a far disegnare a Picasso un quadro del Pinturicchio.

Se un’artista, in qualsiasi campo, ha uno stile definito e delle particolarità espressive tipiche e facilmente riconoscibili, il gioco è fatto. L’IA riprodurrà qualsiasi cosa seguendo un determinato “tratto”, o “tono”, o “stile”.

Di deepfake o di AI cover i social sono ormai pieni, in primis TikTok, con situazioni al limite del grottesco, come l’ex Presidente americano Barack Obama che rifà “Let it go” dal film animato “Frozen”, o Michael Jackson che canta “Due Vite” di Marco Mengoni.

Rimane il problema dei diritti d’autore e degli altri diritti collegati alla proprietà intellettuale, come nel caso della musica (anche se il problema è estendibile ad altri settori editoriali). Fin dove l’IA può arrivare? È da considerarsi amica o nemica dell’industria creativa e culturale? Per non sbagliare, la Human Artistry Campaign ha lanciato nel mese scorso una campagna di sensibilizzazione per sottolineare la centralità del fattore umano nella creazione di contenuti, in questo caso musicali. Basterà come mossa?

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