Scenari

Sottomarini e Ucraina

di James Hansen |

La Russia al centro di tensioni geopolitiche crescenti. Da una parte la guerra con Kiev e Washington, dall’altra la grande alleanza con Pechino, attorno a cui si stringe l’anello di fuoco di Gran Bretagna, Stati Uniti e Australia per evitare l’espansione cinese nel Pacifico.

James Hansen

L’effettiva attivazione dell’accordo Aukus tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia—che prevede la fornitura a quest’ultima di una flotta di sottomarini nucleari molto avanzati—è passata sostanzialmente sotto il radar della stampa continentale, se non per l’infelicità della Francia ad esserne rimasta esclusa all’epoca della firma. È però una netta indicazione che l’alleanza anglosassone si stia preparando a una guerra che considera sempre meno ipotetica.

La colpa—anche se in questi casi sono i vincitori ad assegnare la colpa, ‘dopo’—è di Vladimir Putin. L’incuria con cui spende le vite dei propri soldati e dei civili ucraini per proseguire con un’invasione fallita suggerisce agli osservatori angloamericani che, piuttosto di ammettere la sconfitta, la Russia sarebbe disposta a tirare il grilletto atomico senza troppe esitazioni… Forse non sarà probabile, ma il rischio è del tutto inammissibile. La lettura delle intenzioni cinesi è invece che stia emergendo un asse sino-russo in cui la Cina userebbero la Russia—non più in condizioni di dire di ’no’—come Putin sta usando le truppe della Wagner in Ucraina, cioè, come carne da macello.

L’Australia—che sente quotidianamente il fiato di Pechino sul collo—si prepara da tempo a respingere un’invasione da parte della Repubblica Popolare. È un paese scarsamente popolato, quasi vuoto, mentre è molto ricco di risorse che servirebbero come il pane alla Cina. È difficile da difendere: se non trovando la maniera di rendere l’eventuale attacco troppo ‘costoso’ agli aggressori…

È qui che c’entrano i sottomarini. Quelli inclusi nell’accordo Aukus sono della classe ‘Virginia’, il non plus ultra dei sistemi di difesa americani, per niente ‘l’usato militare’ che i paesi potenti cedono agli alleati meno fortunati. Un autorevole analista americano di affari militari, James Stavridis, li descrive come ‘superpredatori’, ovvero l’ultimo anello di una sorta di catena alimentare della violenza guerresca. I Virginia, dice Stavridis, supererebbero di molto i mezzi equivalenti russi e cinesi “in stealth, range and offensive firepower”.

La marina australiana non ha mai posseduto sottomarini nucleari, ‘avanzati’ o meno. L’accordo prevede che al Paese vengano forniti non solo questi mezzi, ma anche le tecnologie per costruirli in proprio. Per gli americani il costo è alto, ma ricevono in cambio qualcosa di strategicamente prezioso: una barriera all’espansione navale cinese nei Mari del Sud. Per quanto la sinistra europea preferisca definire gli Usa come un ‘Impero’, non lo sono in senso territoriale, sono piuttosto una talassocrazia, un impero marittimo. È il controllo dei mari la vera base del potere americano—una cosa non da poco se si stima che il 90% di tutti i commerci mondiali prima o poi viaggia su una nave.

L’Europa continentale è passata attraverso tutti gli ingranaggi della storia. Ama molto credere che la guerra sia ormai impensabile, che ‘l’ultima’ sia stata quella finale. Ha gli archivi pieni di documenti che l’attestano. Purtroppo, altri attori—come i presenti alla firma del Patto di Monaco del 1938, con cui Hitler rinunciò all’aggressione territoriale—non la vedono alla stessa maniera.

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