Italia
Nel passaggio alla Tv digitale trova la naturale collocazione la proposta lanciata oggi dal ministro per i Beni Culturali, Sandro Bondi, dalle colonne di Repubblica, di una rete Rai senza pubblicità e senza Auditel: ne è convinto il sottosegretario alle Comunicazioni, Paolo Romani.
“La proposta di Bondi – ha detto Romani, ospite questa mattina della rubrica ‘Un caffe’ con’ su Sky Tg 24 – è anche una risposta alla provocazione lanciata da Baricco sulla destinazione dei fondi con finalità culturali: la tv, infatti, é un importante strumento di diffusione culturale. Probabilmente – ha aggiunto il sottosegretario – la proposta può per certi versi ritenersi superata dal passaggio al digitale, che fra un anno e mezzo vedrà digitalizzato il 70% dell’Italia. E digitale vuol dire moltiplicare per cinque l’offerta televisiva, con tanti canali di servizio pubblico, anche tematici, che probabilmente non avranno al loro interno
Romani ha anche sottolineato che “…è allo studio una riforma del contratto di servizio con la Rai, che scade a fine 2009: tra le ipotesi c’é quella di riperimetrare il servizio pubblico, definendo meglio cosa si intende appunto per tv pubblica, che ovviamente deve avere una proiezione più culturale che commerciale. Dal combinato disposto tra le due cose, il passaggio al digitale e la ridefinizione del contratto di servizio – ha concluso romani – si può ragionevolmente risolvere il problema”.
“Sono deciso a chiedere ai nuovi vertici della Rai di svincolare una rete dal sistema di rilevazione dell’auditel e della pubblicità, come è stato deciso da Sarkozy in Francia”, ha affermato Bondi nella sua lettera.
“…Ritengo che una televisione pubblica che vive anche degli introiti del canone, debba fare degli sforzi per elevarsi a vero servizio pubblico. Una rete del genere – ha osservato il ministro – non potrebbe che avere tra i suoi contenuti precipui quelli della cultura e del patrimonio culturale che contraddistingue nel mondo l’Italia”.
Bondi ha concluso sostenendo che “una rete svincolata dall’auditel permetterebbe di sperimentare nuovi linguaggi e nuovi format e consentirebbe a maggior ragione la messa in onda di temi ignorati come quelli della cultura, che solo negli aridi palinsesti della tv italiana sono considerati meno proficui dell’intrattenimento, spesso inutilmente volgare”.
Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo21, ha però osservato che “…in qualsiasi altro paese europeo, la proposta del ministro Bondi relativa alla possibilità di togliere pubblicità ad una rete Rai per sganciarla dalla rilevazione Auditel, potrebbe essere considerata interessante comunque discutibile e tutt’altro da disprezzare. L’obiettivo di riformare il sistema televisivo e migliorarne la qualità non può che essere condiviso”.
“…Il medesimo Ministro, tuttavia, è troppo intelligente per non sapere che – ha sottolineato Giulietti – in Italia dal momento che il conflitto di interessi non è stato né affrontato né risolto, e non solo per responsabilità del centrodestra, qualsiasi intervento unilaterale sulla pubblicità non può che favorire il diretto concorrente della Rai che è di diretta proprietà del Presidente del Consiglio“.
“…Una simile proposta, se non viene inserita dentro una radicale riforma del sistema, rischia così, al di là delle migliori intenzioni, di essere una ulteriore espansione del conflitto di interessi medesimo. Sarebbe comunque bene -ha proseguito Giulietti – che si aprisse un confronto su questi grandi temi e si cominciasse a ragionare sulla riforma della fonte di nomina della Rai e sull’assetto societario dell’azienda”.
“…Sarebbe una bella cosa sentire parole da parte di Bondi sulla possibilità di creare, al pari di altre grandi esperienze europee, un comitato editoriale di garanti per la Rai dando largo spazio al mondo della cultura, degli autori. Un comitato editoriale che raccolga le migliori sensibilità culturali, musicali, artistiche del Paese. Questo – ha suggerito Giulietti – può essere fatto immediatamente da Bondi”.
“…D’intesa con i grandi network televisivi, lo stesso Ministro potrebbe promuovere un fondo dedicato alla valorizzazione dei produttori e autori indipendenti e proporre corsie preferenziale per l’accesso di nuovi talenti, autori, registi e simili nell’azienda di servizio pubblico. Posizioni queste -ha terminato Giulietti – peraltro espresse più volte dagli attuali presidente e direttore generale della Rai Claudio Petruccioli e Claudio Cappon”.
Soddisfazione per la proposta di Bondi da parte di Luca Borgomeo, presidente del Consiglio Nazionale degli Utenti (Cnu), organismo dell’Agcom, che ha commentato: “…Positiva per una rete Rai senza spot e Auditel, ma la risposta non può arrivare dai nuovi canali introdotti con il digitale. La pubblicità deve infatti sparire da una delle tre reti attualmente visibili sull’analogico, perché è su queste che si concentra l’ascolto”.
“…Abbiamo il massimo rispetto per Rai4 o per Rai Storia – ha continuato Borgomeo – ma si tratta di canali di nicchia. Se davvero vogliamo abolire la pubblicità dobbiamo farlo su Raiuno, Raidue, o Raitre, reti generaliste che raccolgano la stragrande maggioranza dell’ascolto. Se vogliamo imitare la Francia facciamolo fino in fondo”.
Condivide l’idea anche Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc: “…E’ una ricetta che io propongo da tempo anche se in questo momento di crisi appare difficoltosa ma proposte come quelle di Bondi non vanno lasciate cadere. Togliere una rete Rai dall’affanno quotidiano della pubblicità è una cosa da approfondire”.
Lo scorso 24 febbraio, sul Corriere della Sera, Giuseppe Richeri, economista e docente di scienze della comunicazione all’Università di Lugano, ha sottolineato che sono due le cose che l’Italia dovrebbe copiare dall’ Inghilterra: finanziare la Rai con il solo canone, togliendole la pubblicità, ed estendere il concetto di sistema televisivo pubblico alla televisione commerciale, cioè a Mediaset, attribuendole alcune finalità che il ruolo comporta.
“La Rai – ha sottolineato Richeri – va perciò ripensata non alla luce del cambiamento tecnologico ma dei cambiamenti della società”. Per adeguarsi alle trasformazioni, dicono alcuni, la tivù pubblica deve cambiare, ma per cambiare dev’essere rifinanziata. E indicano l’ esempio della Bbc, che incassa dal canone molto più della Rai (139,50 sterline, ovvero 155 euro, per abbonato contro 107,50 euro).
No, rispondono altri, nessun aumento del canone, a meno che non salga di pari passo anche la qualità dei programmi. E se l’emittente pubblica potesse creare servizi a pagamento basati sugli archivi digitali, come propone qualcuno? Ma gli archivi appartengono già a chi ha sempre pagato il canone, si obietta. Perché dovrebbe pagarli una seconda volta? Che fare allora?
“La Rai – ha detto Richeri – dovrebbe essere finanziata soltanto con il canone, come la Bbc, la sua missione ridefinita con l’ obiettivo di alzare nettamente la qualità dei programmi e l’ organico snellito valorizzando le molte professionalità interne e facendo più ampio ricorso alle produzioni esterne. Questo aumenterebbe il pluralismo delle fonti e renderebbe più dinamico il sistema”.