l'editoriale

Tim, l’inutile bolla dell’offerta di KKR sulla rete

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Se Giorgia Meloni dovesse cedere, se le pressioni indebite di CDP andassero a centro, si verificherebbe un tradimento programmatico sul punto più importante della campagna elettorale che ha portato Giorgia Meloni al governo: la proprietà e il controllo pubblico della rete.

Ci risiamo. Il fondo americano KKR, già azionista di minoranza con TIM in Fibercop (37,5%), ha avanzato la propria offerta non vincolante sull’acquisto della rete di TIM.

Il fondo KKR batte e ribatte

Dicevamo “ci risiamo”, perché ci aveva già provato nel novembre 2021, annunciando di voler lanciare un’OPA sull’intera proprietà di TIM. Si, ci aveva solo provato, perché in effetti l’offerta non fu mai formalizzata. KKR si fermò, dopo averla annunciata con un po’ di grancassa, e secondo alcuni a fermare le avance di KKR all’epoca fu il NO del governo dell’epoca, quello di Mario Draghi, che si rifiutò di dare la copertura a un’operazione di quel genere.

E già perché operazioni del genere non si fanno senza l’assenso del governo. Del resto, come è noto, nessun fondo d’investimento farebbe mai un affronto del genere al governo del paese in cui opera. KKR rientrò così formalmente nell’ombra, pur rimanendo sul pezzo, e di quell’OPA non si parlò più. Oggi ci riprova con una nuova offerta, che sollecita i quesiti e le considerazioni che vi sottoponiamo.

L’impostura del MoU

Da allora, quando fu fatta la prima proposta, sono successe molte cose. La gestione dell’allora ministro Vittorio Colao sulle tlc italiane, che certo non ha contribuito a fare chiarezza sul futuro del settore, infine la sottoscrizione lo scorso 30 maggio del Memorandum of Understanding (MoU) tra CDP, TIM, Open Fiber, Macquarie e KKR, finalizzato alla vendita della rete da parte di TIM e all’unificazione con Open Fiber.

È partita così una telenovela che si è tirata sino a fine novembre scorso, ovvero sino al momento in cui il MoU è stato dichiarato ufficialmente non perseguibile. Morto.

Le ragioni? Non la mancanza dell’assenso del governo appena insediato di Giorgia Meloni, ma il fatto che quell’architettura finanziaria non reggeva ed i numeri dicevano inequivocabilmente di NO.

Inoltre, perché mai imbarcarsi in una operazione di una rete come quella di TIM, con la vendita della rete su un approdo di futuro dubbio e la gestione da parte dell’ex incumbent dei rimanenti servizi, con attività del tutto prive di sostenibilità anche agli occhi dei più sprovveduti osservatori.

Il tavolo? Rilanciare il MoU, già morto

Poi è partito il cosiddetto tavolo presso il Mimit, promosso dal ministro Adolfo Urso, con la partecipazione delle parti in causa citate, a cui si è aggiunta una piccola pattuglia di rappresentanti del mondo della finanza internazionale, da Credit Suisse a Rothschild. Un tavolo a cui è però rimasto estraneo il fondo KKR.

Il tavolo ha via via registrato un inesorabile sgranamento dei partecipanti, con le prese di distanza di Giancarlo Giorgetti (Mef) e Alessio Butti (Dipartimento per la trasformazione digitale).

Ciononostante i convitati rimasti hanno pervicacemente (e contro ogni evidenza) continuato la loro marcia anche davanti all’evidenza che il MoU non potesse essere più rivitalizzato.

La ragione? Meglio andare avanti lo stesso. Si potrebbe provare a convincere il governo ad un assenso motivato dalle condizioni di emergenza di TIM (cosa che non appare essere) o dalla necessità di tutelare il personale (senza dare nessuna garanzia).

Nel caso in cui le cose andassero a rotoli si potrà sempre dire: “…In effetti noi non eravamo pienamente convinti, ma di fronte ad un esplicito invito del governo Meloni, abbiamo obbedito…”. Se così fosse, diciamocela tutta, sarebbe un comportamento davvero censurabile.

Intanto il tavolo presso il Mimit si è trascinato per l’intero mese di dicembre pervenendo ad un nulla di fatto, nonostante l’impegno a dare un responso entro la fine dell’anno appena chiuso.

Con le stesse modalità è volato via lo scorso mese di gennaio, anche se da giorni si parlava di una possibile offerta di KKR sulla rete. Anzi, per la verità, qualcuno giura di averla vista girare nei corridoi qualche giorno prima…

Il primo comunicato di TIM

E alla fine, l’offerta non vincolante di KKR viene formalizzata nella prima mattinata di ieri 2 febbraio. Nessuno sa ancora, con esattezza quale sia la cifra proposta. Si dice tra i 16 e i 20 miliardi, una cifra ben al di sotto di quanto reclamato da Vivendi, ma l’importo fissato, sarà noto quando saranno rese pubbliche le condizioni. Da notare che KKR è uno dei soggetti sottoscrittori del MoU firmato il 30 maggio.

In prima mattinata TIM diffonde un comunicato in cui dichiara: “…di aver ricevuto da KKR un’offerta non vincolante per l’acquisto di una partecipazione in una costituenda società, coincidente con il perimetro gestionale e infrastrutturale della rete fissa, inclusivo degli asset e attività di FiberCop, nonché della partecipazione in Sparkle (cd. “Netco”). L’offerta non vincolante è riferita a una quota partecipativa da definire, fermo restando che dall’acquisto scaturirebbe la perdita dell’integrazione verticale rispetto a TIM. Il Consiglio di Amministrazione si riunirà nella giornata di oggi per avviare il processo relativo all’esame dell’offerta non vincolante”.

Quindi si tratta di una offerta per una quota partecipativa, di cui non si dichiara il valore economico, ma che comprende Sparkle. Si precisa quindi che nella riunione del cda previsto nella giornata di ieri si sarebbe avviato l’esame della proposta. In fondo appare tutto molto generico ed equivalente alla messa del cappello sulla sedia da parte di KKR, giusto per dire che “non avendoci invitato al tavolo, sappiate che siamo comunque interessati”. Ma il valore e, a un tempo, l’insidia di questa offerta è anche altro. È l’effetto scatenante connesso all’offerta di CDP, mai venuto fuori per l’incertezza del proponente, un’offerta che rimane sempre in attesa di un assenso del premier Giorgia Meloni.

Gli effetti dell’offerta di KKR

L’offerta di KKR crea di fatto una sollecitazione che fa comodo alle altre parti in causa. Un po’ come dire: “…se KKR fa questa offerta vuol dire che i valori in campo sono questi”, ma anche “…fatta l’offerta di KKR, dobbiamo sbrigarci a fare la nostra”.

Il che suona come una ulteriore implicita pressione indebita nei confronti del premier Giorgia Meloni.

Il punto è uno solo. Se CDP vuol fare la propria offerta, la faccia.

Si assuma tutte le responsabilità in prima persona della sua formalizzazione. Lasci fuori il governo. Perché se i numeri dicono di NO e si tenta di usare l’assenso del governo come foglia di fico per coprire la impraticabilità del progetto, allora si creerebbe un vulnus che trascinerebbe il governo stesso a sbattere contro un muro.

Guarda caso, nel secondo comunicato di TIM, diffuso nella tarda serata di ieri, si specifica la decisione del CdA : “…di convocarsi nuovamente il 24 febbraio prossimo per decidere in ordine all’offerta non vincolante ricevuta da KKR per NetCo. TIM rimane aperta a valutare ogni eventuale alternativa che dovesse nel frattempo concretizzarsi, e continuerà nel dialogo con i propri stakeholders”.

Che è come dire: “…ora ci aspettiamo l’altra offerta”. Quella tanto attesa. Quella di CDP, per intenderci. Sempre che il governo si decida ad assicurare la copertura politica e mettere finalmente quella ambita foglia di fico su una proposta insensata, che farebbe spendere ingiustificatamente una montagna di soldi pubblici, anzi di soldi del risparmio postale degli italiani, a favore di una società estera.

TIM: cosa farà il governo di Giorgia Meloni?

I fatti sin qui descritti indicano le volontà di costruire un sistema di pressione nei confronti del premier Giorgia Meloni, che in queste settimane di tavoli e di offerte è rimasta impassibile sul tema.

Quello della rete, rappresenta il dossier più importante del governo, ben più importante di ITA, che ormai è ‘ita’ in mano ai tedeschi, o di ILVA. La rete vale molto di più, dell’una e dell’altra, per valori economici e per strategicità.

L’intera campagna elettorale di Giorgia Meloni è stata segnata dalla proposta inderogabile della proprietà e del controllo pubblico della rete.

Se Giorgia Meloni dovesse cedere, se le pressioni implicite quanto indebite di CDP andassero a centro, si verificherebbe un tradimento programmatico sul punto più importante della campagna elettorale che ha portato Giorgia Meloni al governo. E la vittoria di Giorgia Meloni e del suo partito, scaturita dalle elezioni dello scorso settembre, è da ricondurre innanzitutto al fatto che gli italiani hanno premiato la coerenza del premier nel corso degli anni e il mantenimento delle promesse e delle parole date.

Francamente credo che quanto atteso dai vari soggetti in campo (tra MoU e tavolo) non avverrà.

Dubito che il premier voglia essere additata come colei che nei primi mesi del governo ha ceduto la compagnia di bandiera ai tedeschi e la rete agli americani. Una delle ipotesi sul tappeto è infatti che la rete potrebbe finire in mano ad una società controllata con quote paritetiche da CDP, Macquarie e KKR, secondo il modello di ASPI-Autostrade per l’Italia (dove CDP è presente, ma non controlla, con quote paritetiche assieme ai fondi Blackstone e Macquarie).

Personalmente, credo che Giorgia Meloni manterrà la coerenza sulle promesse elettorali e terrà l’occhio lungo sull’orizzonte futuro del settore.

Per il resto, non si può non notare come l’intera vicenda ci presenti, in modo sconcertante, un tema di così grande delicatezza, maneggiato con confusione da soggetti molto autorevoli, alcuni dei quali tradiscono il ruolo di responsabilità a cui sono invece chiamati per missione statutaria.

Ora qui, come altrove, occorre fare chiarezza e assunzione di responsabilità sulle scelte da fare.

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