Pacchetto tlc: scontro tra Consiglio e Parlamento Ue sulle misure contro il download illegale

di Alessandra Talarico |

Unione Europea


Viviane Reding

L’attesa riforma delle norme europee in materia di telecomunicazioni è minacciata dal nodo della lotta al download illegale di contenuti protetti da copyright.

Una questione emersa solo nella fase finale delle negoziazioni e che sembra più politica che sostanziale.

Anche se c’è un ampio consenso sull’insieme della riforma – avviata dalla Commissione nel novembre 2007 – Parlamento e Stati membri non riescono infatti a trovare un accordo sulle procedure per imporre restrizioni all’uso di internet a quegli utenti che reiteratamente scaricano o mettono in rete illegalmente materiale protetto da diritti d’autore.

 

Il seconda lettura, la Commissione Industria del Parlamento Ue – con 40 voti a favore, 4 contrari e due astensioni – ha ripristinato l’emendamento in base al quale “nessuna restrizione può essere imposta ai diritti e alle libertà fondamentali degli utenti, senza una previa autorizzazione da parte delle autorità giudiziarie (…) salvo quando è minacciata la sicurezza pubblica”.

 

Gli Stati membri sono d’accordo sul fatto che per limitare o tagliare la connessione internet di un utente ci voglia un’autorizzazione giudiziaria, ma – secondo una fonte vicina ai negoziati – insistono sulla necessità di  inserire il provvedimento nelle linee guida che precedono il corpo della legge e non nella legge stessa, come invece vorrebbero alcuni membri del Parlamento, così da mandare un messaggio forte ai trasgressori.

 

Tra gli Stati membri più intransigenti c’è la Francia, che sta lottando per l’approvazione di una legge nazionale che prevede la sospensione dell’abbonamento a internet da due mesi a un anno per chi scarica file illegalmente.

 

I negoziati tra Parlamento e Presidenza Ceca per raggiungere un accordo su questo tema, che non rientrava nella riforma Reding – che riguarda le infrastrutture più che i contenuti – continueranno.

 

Accordo invece per quanto riguarda l’Authority europea per le tlc: deputati e Presidenza ceca concordano sul fatto che, prima di prendere decisioni normative, le autorità nazionali di regolamentazione dovranno consultare la Commissione e il nuovo corpo di regolatori europei per le comunicazioni elettroniche (BEREC).

 

BEREC sarà composto dai rappresentanti delle Autorità nazionali e da un rappresentante della Commissione e adotterà provvedimenti con la maggioranza dei due terzi. L’Authority sarà finanziata dal budget comunitario e da contributi volontari degli Stati membri.

In base al compromesso, BEREC potrà muovere delle osservazioni in merito alle decisioni regolamentari prese dagli Stati membri, attraverso delle raccomandazioni non vincolanti. Se però, dopo un tempo massimo di due anni, la situazione nello Stato oggetto della raccomandazione non avrà registrato progressi, allora la Commissione europea potrà emanare una decisione che sarà a quel punto vincolante.

 

In questo modo, i governi dei Paesi Ue avranno il tempo di adeguarsi ai ‘consigli’ della Ue, ma non potranno in alcun modo eludere le regole comunitarie.

 

Anche questo nuovo organismo è stato al centro di un lungo braccio di ferro tra la Commissione e gli Stati membri: nella sua proposta, Bruxelles proponeva di introdurre un diritto di veto sulle decisioni prese dai regolatori nazionali: una misura che – secondo l’esecutivo europeo – avrebbe permesso una reale armonizzazione del mercato europeo delle telecomunicazioni e favorito i servizi transfrontalieri. Ma i ministri si sono opposti con forza, proponendo di dare alla Commissione soltanto il potere di emettere delle ‘opinioni’ e delle raccomandazioni non vincolanti.

 

Germania e Spagna, in particolare, erano in favore del mantenimento dello status quo, secondo cui a occuparsi delle questioni legate alle telecom avrebbe dovuto continuare a essere il gruppo dei regolatori europei.

 

Riguardo il ricorso alla separazione funzionale delle reti – che richiede a un operatore dominante di separare la sua infrastruttura di rete dal ramo servizi (senza cambiare la struttura proprietaria) per migliorare la concorrenza nel mercato – il rimedio potrà essere imposto soltanto dopo che le autorità nazionali avranno stabilito che: tutti gli altri rimedi esistenti e previsti dalla normativa hanno fallito; nello Stato membro che vorrebbe imporre il rimedio lo sviluppo della concorrenza tra le infrastrutture sia “molto improbabile” e che “la separazione non minaccerà gli incentivi dell’operatore incumbent ad investire nello sviluppo della propria rete”.

 

Parlamento e presidenza ceca sono quindi d’accordo sul fatto che per migliorare la cooperazione, la pianificazione strategica e l’armonizzazione dello spettro radio tra gli Stati membri, la Commissione dovrebbe presentare una proposta legislativa per un programma d’azione pluriennale.

 

La riforma del quadro regolamentare delle comunicazioni elettroniche dovrebbe quindi introdurre la neutralità tecnologica e dei servizi come principi vincolanti: ogni banda di frequenza potrà cioè essere utilizzata per qualsiasi applicazione conforme con i piani nazionali di assegnazione delle frequenze. L’introduzione di questo principio consentirebbe ad esempio l’assegnazione delle frequenze lasciate libere dal passaggio al digitale per l’offerta di servizi a banda larga wireless.

 

Riguardo infine gli investimenti nelle reti di prossima generazione e la condivisione delle infrastrutture, il compromesso prevede che in futuro, l’operatore in posizione dominante potrà essere obbligato ad aprire l’uso di “elementi di rete e risorse correlate” – cablaggio all’interno di edifici, antenne, torri, e condotti – ai concorrenti. 

 

Le Autorità nazionali di regolamentazione dovrebbero promuovere – precisa quindi l’accordo – “gli investimenti efficienti e l’innovazione in nuove e migliori infrastrutture”, quali le reti in fibra ottica.

Qualsiasi obbligo di accesso per l’apertura di questa nuova infrastruttura dovrà comunque tenere conto “del rischio di investimento sostenuto dalla imprese” e dovrebbe permettere “accordi di cooperazione tra gli investitori e le parti in cerca di accesso”, al fine di diversificare i rischi di investimento.

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