Con la rivoluzionaria e per molti versi inattesa sentenza n. 7878/2022, comunicata lo scorso venerdì sera alle parti, il Consiglio di Stato ha destabilizzato il mondo dell’emittenza locale, dichiarando illegittimo il Decreto del Presidente della Repubblica n. 146 del 2017, adottato durante il Governo di Paolo Gentiloni con Carlo Calenda Ministro dello Sviluppo Economico, con cui sono stati all’epoca definiti i criteri di riparto e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali.
Sentenza retroattiva
La sentenza, che potete trovare qui per esteso (link alla sentenza), è destinata a pesare come un macigno sull’attività ventura della DGSCERP, la Direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica, di radiodiffusione e postali del Ministero dello sviluppo economico che aveva appena rimediato ai ritardi e agli errori del Governo Conte, realizzando l’ennesimo switch-off digitale terrestre senza danni per i cittadini e che ora sarà costretta a un estenuante tour de force per riparare questo ulteriore errore che arriva dal passato, possibilmente senza provocare scosse telluriche nel già fragile comparto dell’emittenza locale.
Va applicata alle graduatorie dal 2016
Già perché la sentenza – così come la successiva sentenza gemella, numero 0780/2022 – è retroattiva e dovrà essere applicata a tutte le graduatorie già emanate dal 2016 ad oggi, e per cui sono ovviamente già stati corrisposti i contributi a centinaia di emittenti locali. Se, infatti, il Supremo Collegio Amministrativo, con le due sentenze, ha espressamente annullato le graduatorie degli anni 2016 e 2017, il Ministero sarà comunque obbligato a rivedere tutte le altre graduatorie degli anni 2018, 2019, 2020 e 2021. Una rivoluzione che rischia di diventare una tragedia se il Ministero non riuscirà a trovare un escamotage per rispettare la sentenza e, al tempo stesso, tutelare le emittenti locali che hanno già avuto i contributi (che verosimilmente hanno già speso) e che saranno costrette a restituirli in un periodo, come questo, in cui i costi dell’energia – uniti al maggior costo per l’affitto della capacità trasmissiva conseguente al refarming delle frequenze – stanno mettendo a rischio la sopravvivenza stessa del comparto.
Pluralismo carente
La lettura della sentenza evidenzia che il Regolamento, pur avendo individuato criteri selettivi che resistono al vaglio di legittimità, è carente dal punto di vista della tutela del pluralismo informativo perché non ha tenuto conto degli ambiti territoriali di operatività delle emittenti locali e non ha, pertanto, previsto alcun accorgimento tale da consentire un’effettiva parità tra i concorrenti.
Esso, infatti, prevede “…uno scalino preferenziale che riserva alle prime cento classificate, a prescindere dall’ambito territoriale di operatività, la quasi totalità dei contributi pubblici (pari al 95%), per di più a fronte di criteri selettivi formulati in valore assoluto e suscettibili di influire diversamente a seconda dell’ambito territoriale di operatività di ciascun concorrente (se maggiormente o meno popolato)…”.
E secondo Palazzo Spada, in questo modo “…si è introdotta una misura incompatibile con il principio del pluralismo informativo…”, non garantendo che in ciascuna Regione potesse esserci più emittenti beneficiarie di un effettivo e adeguato finanziamento pubblico, anzi permettendo “…di riservare la contribuzione, nell’ambito del singolo mercato locale, in favore di una sola impresa (o di un numero di emittenti insufficiente per la tutela del pluralismo informativo) e configurando, pertanto, aiuti illegittimi (anche) sul piano concorrenziale”. In questo senso si era espressa anche l’Antitrust con la segnalazione n. S3892 ai sensi dell’art. 21 della legge n. 287/90.
Il padre del ricorso
Padre del ricorso è Gianni Tanzariello, editore di Canale 7, che da anni svolge un’isolata battaglia contro il Regolamento e che adesso ottiene finalmente una (parziale e beffarda) soddisfazione. Parziale perché è stata riconosciuta la legittimità dei criteri selettivi, contrariamente a quanto da lui sostenuto, ma soprattutto beffarda perché Canale 7, per merito di un’esclusione fatta dal MiSE nei confronti di un’emittente, era appena passato dal 101esimo al 100esimo posto in graduatoria.
Compito prevedibile del MISE è ora quello di rideterminare le graduatorie del 2016 e del 2017 (ma inevitabilmente, come abbiamo detto, anche del 2018, 2019, 2020 e 2021), destinando il 100% dello stanziamento annuale a tutti i graduati e liquidando il contributo a ciascuno di essi spettante in proporzione del rispettivo punteggio senza l’applicazione dello scalino preferenziale annullato con la sentenza del Consiglio di Stato.
Per quanto riguarda le modalità, la sentenza prevede che il MiSE regoli “anche attraverso la compensazione delle rispettive posizioni creditorie, i rapporti obbligatori nelle more instaurati con le parti private sulla base della disciplina in parte qua annullata” oppure, in alternativa, di emanare una nuova normativa “nell’osservanza dei criteri conformativi discendenti dalla presente sentenza (funzionali a garantire il pluralismo informativo in ogni ambito regionale e ad evitare distorsioni concorrenziali), provvedendo, all’esito e sulla base della disciplina per come eventualmente riformulata, ad una rideterminazione dei contributi dovuti per l’anno 2016 ai concorrenti classificati, con successiva regolazione (anche attraverso la compensazione delle rispettive posizioni creditorie) dei rapporti obbligatori nelle more instaurati con le parti private sulla base della disciplina in parte qua annullata”.
La reazione delle associazioni maggiormente rappresentative non si è fatta attendere.
Preoccupazione di Confindustria Radio TV e Aeranti Corallo
Alle febbrili telefonate registrate a Palazzo Colonna, nella sede romana di Confindustria Radio TV, ha fatto eco in serata una circolare di Aeranti Corallo, in cui si da atto del prossimo avvio delle consultazioni con la DGSCERP, che si trova ora stretta tra i principi fissati dalla sentenza e la necessità di sostenere le emittenti locali in questa delicatissima fase di transizione. Con il Governo in uscita, peraltro.
Ci auguriamo, in questa prospettiva, che al MiSE non manchi il coraggio di fare scelte selettive, che possano suonare anche inizialmente impopolari ma che sono ineludibili, se vogliamo avere in Italia un’emittenza locale in grado di competere sul tempo consumato dagli spettatori davanti allo schermo e svolgere il proprio ruolo a fronte delle operatività delle emittenti nazionali e dei più invasivi giganti del web, come Netflix, Disney e Amazon, solo per citarne alcuni.
È finita, in altre parole, l’era dei contributi a pioggia a chi non li merita e questa sentenza, presa per il verso giusto, è una grande occasione. Cerchiamo ora di non sprecarla.