il ricordo

Modernizzazione, quel che attirava l’attenzione e preoccupava Pasolini

di Massimo De Angelis, scrittore e giornalista, si occupa di filosofia. È condirettore di Democrazia futura |

Nel centenario pasoliniano torna in libreria per i tipi di Castelvecchi il saggio di Italo Moscati dedicato allo scrittore regista e poeta friulano scritto nel 2015 Pier Paolo Pasolini: vivere e sopravvivere. Ne parla per Democrazia futura Massimo De Angelis che lo considera "Un grande intellettuale inattuale incompreso dal sessantotto" vedendo "in ogni modernizzazione [...] la perdita di autenticità e di bellezza dell’esistenza. Che si esprimeva nella vita dei corpi. Ma questo - aggiunge De Angelis - rimanda al punto originario della personalità di Pasolini, al suo punto di vista sul mondo e al destino stesso di Pier Paolo: la sua omosessualità".

In Pier Paolo Pasolini: vivere e sopravvivere, saggio risalente al 2015 recentemente rieditato da Castelvecchi[1]), Italo Moscati ci conduce, attraverso la storia delle opere cinematografiche del maestro, lungo le vie della sua vita. 

Un artista, un letterato e uomo di cinema inattuale, Pasolini, anche e proprio per l’inestricabile congiunzione in lui tra arte e vita.

Cruciale, in tale racconto, è la vicenda, che occupa vari capitoli del libro, della presentazione del suo film Teorema, alla Mostra del cinema di Venezia, nel 1968. Il clima para-rivoluzionario suscitato lì dal movimento studentesco, il rapporto con esso ambiguo e strumentale sino allo spasimo delle istituzioni, dei partiti di sinistra, del sindacato dei registi di sinistra Anac, costituiscono uno spaccato assai condensato, insieme triste e divertente, di tutte le tensioni, e anche delle miserie, di quel tempo, della cultura e della politica italiana. E in mezzo la fatica e l’inevitabile ambiguità, anche, la solitudine del “compagno di strada” Pier Paolo Pasolini

Non manca il colpo di scena. Quel Teorema contestato dai compagni della sinistra, “rivoluzionaria” e non, è premiato dall’Ufficio cattolico internazionale del cinema, salvo poi essere stigmatizzato dall’Osservatore romano e dallo stesso pontefice. Vicenda anch’essa emblematica delle tensioni presenti nella Chiesa postconciliare. 

Ma emblematica soprattutto della persona Pasolini. 

Al crocevia di diverse speranze, politico-rivoluzionaria e mistico-religiosa, ché egli si viveva come militante comunista e come devoto alla Chiesa cattolica ancorché non credente. Emblematica ancor più a fondo della interiorità di Pier Paolo: sempre sul crinale tra sacro e dissacrazione, sempre inattuale perché fondamentalmente antimoderno, alla ricerca, infine, di una trasfigurazione e di una santità, per sé e per il mondo. È questo, infine il senso riposto di uno dei suoi capolavori: Il vangelo secondo Matteo.

Tutti questi elementi lo rendono ai miei occhi assai vicino a Friedrich Wilhelm Nietzsche. A cominciare dalla tendenza di entrambi al mascheramento, come per bilanciare e proteggere una propria esposizione e vulnerabilità. Così come comune alla creatività di entrambi è il partire dal corpo. Dalla sacralità originaria del corpo.

Modernizzazione come perdita dell’autenticità 

Quel che attirava l’attenzione e preoccupava Pasolini in ogni transizione, in ogni modernizzazione era la perdita di autenticità e di bellezza dell’esistenza. Che si esprimeva nella vita dei corpi. Ma questo rimanda al punto originario della personalità di Pasolini, al suo punto di vista sul mondo e al destino stesso di Pier Paolo: la sua omosessualità. Lo racconta bene Moscati. 

Da quella scampagnata in ottobre a Casarsa di Pier Paolo, giovane e autorevole insegnante di italiano, con alcuni suoi giovani studenti, il suo appartarsi con due ragazzi, le accuse di aver compiuto lì atti osceni, la sospensione dall’insegnamento, l’espulsione dal Pci, la rottura col padre che non sopporta l’infamia, l’alleanza a quel punto totale con la madre e solo con lei che diverrà la sua convivente e il suo più grande amore, la partenza per Roma e per l’avventura di Cinecittà. Questo è il punto di partenza. Quello di arrivo è l’idroscalo di Ostia, la sessualità vissuta sino alla temerarietà, la violenza, la morte straziante e orrenda. Inizio e fine di un’esistenza segnata, in tutto ciò che di grande, di bello e anche estremamente problematico essa ha avuto, dalla omosessualità. Nella quale si esprimeva quel suo amore illimitato per la la physis originaria, per la vitalità in tutte le sue forme e nella quale si congiungevano grande speranza e vitalità disperata

“È dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data. E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima”.

Sono alcuni versi della stupenda poesia di Pasolini “Supplica a mia madre”, e costituiscono come un sigillo alla sua esistenza. La via. La via della vita di Pier Paolo Pasolini. Il motivo più riposto, forse, anche di quel bisogno di mascheramento di cui prima ho detto e di quel suo apparire sfuggente, inafferrabile e comunque solitario, anche lungo le vie della storia.

Qualcosa che forse si esprime in un’altra sua opera sublime, come ricorda Italo Moscati, Ricotta, in cui viene raccontato di un film che si sta facendo e di una comparsa, Stracci, che diviene protagonista finendo in croce. 

In croce finisce il cinema dice giustamente Moscati. Certo, ma anche Pier Paolo Pasolini stesso.

Roma, 2 agosto 2022  


[1] Italo Moscati, Pier Paolo Pasolini: vivere e sopravvivere, Torino, Lindau, 2015, 275 p. Nuova edizione: Roma, Castelvecchi, 2022, 216 p. 

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