Il sistema ‘federale’ degli Stati Uniti è un mistero per gli europei, come lo è pure per molti americani. È facile dimenticare che il paese nasce come una federazione di singoli ‘Stati’ indipendenti—e che questi mantengono tuttora un buon grado di sovranità. Così, negli Usa non esiste l’anagrafe, né la ‘fedina penale’, né una patente di guida nazionale—e il Paese ha un Congresso che non è un Parlamento e un Presidente ‘esecutivo’ che non è un Primo Ministro.
Il funzionamento costituzionale americano è alquanto misterioso anche per i corrispondenti stranieri presenti nel paese. È per questo che ciò che avete letto o sentito riguardo alla presunta abolizione da parte della Corte Suprema Usa del ‘diritto costituzionale’ all’aborto è perlomeno fuorviante. Non si è mai trattato di un ‘diritto’ nominato nella Costituzione Usa—un documento del 1789.
La nota decisione della Corte Suprema nel caso di ‘Roe v. Wade’ del 1973 ha avuto l’effetto di liberalizzare l’aborto perché—per l’interpretazione della Corte di allora—effettivamente trasferiva la competenza sul tema dai singoli Stati al Governo Federale, il quale poi, per non impegolarsi in un ginepraio tremendo, ha ritenuto di non prendere altri provvedimenti. La recente decisione dunque non vieta l’aborto. Piuttosto, restituisce il tema ai singoli Stati, di cui una minoranza è favorevole e gli altri sono contrari.
La tensione tra il potere federale e la sovranità degli Stati individuali è una costante della contesa politica nazionale americana. È, almeno in senso lato, una delle grandi questioni che nutre la divisione ideologica tra i Democratici, di tendenza ‘federale’, e i Repubblicani, altrettanto tendenzialmente portati a difendere la sovranità degli Stati. La Corte Suprema, per com’è costituita, è invece ‘asincrona’ riguardo all’andamento della politica quotidiana. Gioca su un tavolo diverso…