L’Antitrust ha avviato un’istruttoria nei confronti di Google ipotizzando un abuso di posizione dominante.
Il gruppo Alphabet/Google detiene una posizione dominante in diversi mercati che consentono di acquisire grandi quantità di dati attraverso i servizi erogati (Gmail, Google Maps, Android) e nel 2021 ha realizzato un fatturato di 257,6 miliardi di dollari. Google rischia una multa fino al 10% del suo fatturato globale, pari ad un massimo di 25,7 miliardi di euro (secondo l’articolo 15 della legge Antitrust 287/90).
Nello specifico Google avrebbe ostacolato l’interoperabilità nella condivisione dei dati presenti nella propria piattaforma con altre piattaforme, in particolare con l’APP Weople, gestita da Hoda, un operatore attivo in Italia che ha sviluppato una banca di investimento dati.
Google non rispetta l’articolo 20 del GDPR
L’abuso di posizione dominante è in violazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea. Secondo l’Autorità, il comportamento di Google è in grado di comprimere il diritto alla portabilità dei dati personali, disciplinato dall’articolo 20 del GDPR, e di limitare i benefici che i consumatori potrebbero trarre dalla valorizzazione dei loro dati. La condotta contestata determina una restrizione della concorrenza perché limita la capacità degli operatori alternativi a Google di sviluppare forme innovative di utilizzo dei dati personali.
In particolare, Hoda ha rappresentato all’Autorità gli effetti negativi della condotta di Google sulla sua iniziativa volta a valorizzare i dati personali con il consenso del titolare degli stessi e che offre opportunità di utilizzo innovative e prospettive merceologiche ancora inesplorate.
L’istituto della portabilità dei dati, nella misura in cui permette di facilitare la circolazione dei dati e la mobilità degli utenti, offre ad operatori alternativi la possibilità di esercitare una pressione concorrenziale su operatori come Google, che fondano la propria dominanza sulla creazione di ecosistemi basati sulla gestione di quantità tendenzialmente illimitate di dati, funzionale solo al proprio modello di business.
Inoltre il diritto alla portabilità, se accompagnato da effettivi meccanismi di interoperabilità, può offrire agli utenti la possibilità di conseguire il massimo potenziale economico dall’utilizzo dei dati personali, anche attraverso modalità di sfruttamento alternative a quelle attualmente praticate dall’operatore dominante.
Ieri l’Autorità ha condotto accertamenti ispettivi nelle sedi di Google, avvalendosi della collaborazione dei militari della Guardia di Finanza.
Il Commento di Google
“Da quasi dieci anni Google offre alle persone la possibilità di estrarre e trasferire i propri dati. Sono strumenti pensati per aiutare le persone a gestire le proprie informazioni personali, e non per permettere ad altre aziende o intermediari di accedere a più dati da vendere”, ha commentato Google in una nota.
“Questo significherebbe mettere a rischio la privacy delle persone, oltre che a incoraggiare attività fraudolente. Per le aziende esistono già modalità per incrementare la portabilità diretta dei dati nei propri servizi, ad esempio tramite il progetto open source Data Transfer Project, a cui qualsiasi organizzazione è invitata a partecipare”.
Abuso di posizione dominante, per Big G non è la prima volta
Già nel 2017 la Commissione Ue ha imposto a Google la maximulta record da 2,42 miliardi di euro, la più alta mai comminata dalla Ue, per abuso di posizione dominante nel campo dei motori di ricerca, dando un vantaggio competitivo illegale al suo servizio di comparazione degli acquisti Google Shopping ai danni dei concorrenti, penalizzati nei risultati del motore.
Per la Commissione (qui il comunicato della Commissione in Pdf), Google ha sistematicamente dato maggior risalto al suo servizio di comparazione degli acquisti: quando un utente cerca su Google un prodotto, il suo servizio di shopping gli propone le varie possibilità accanto ai risultati in alto, quindi molto visibili. I servizi di comparazione degli acquisti dei suoi rivali, sono invece lasciati nella colonna dei risultati generici, selezionati dagli algoritmi generici. “Le prove dimostrano che il competitor messo maggiormente in risalto compare soltanto a pagina 4 dei risultati”, scrive la Commissione. Il problema è che i consumatori cliccano molto più spesso sui prodotti più visibili, e quindi su quelli sponsorizzati da Google. I numeri non lasciano dubbi, spiegano i regolatori europei: i risultati sulla prima pagina guadagnano il 95% di tutti i click, quelli sulla seconda solo l’1%.
Nel novembre del 2021 il Tribunale dell’Unione europea ha rigettato il ricorso del gigante dei motori di ricerca e della sua società madre, Alphabet, riconoscendo “il carattere anticoncorrenziale della pratica controversa” messa in atto con il suo servizio Shopping.
“Google si è allontanata dalla concorrenza nel merito” attraverso un posizionamento più favorevole del suo servizio di comparazione degli acquisti, declassando invece i servizi concorrenti, relegati nella colonna dei risultati generici.
L’ultima multa per abuso di pozione dominante risale al 20 marzo 2019 quando la Commissione europea ha inflitto al colosso americano un’ammenda pari a 1,49 miliardi di euro per violazione delle norme antitrust dell’UE.
Secondo la Commissione Google ha abusato della propria posizione dominante sul mercato imponendo una serie di clausole restrittive nei contratti con siti web di terzi che hanno impedito ai concorrenti di Google di inserire su tali siti le proprie pubblicità collegate alle ricerche.