Piccolo supermercato della mia città. Una vecchina domanda alla cassiera perché una certa bottiglia d’olio è aumentata di prezzo (quasi il 20%!). La cassiera risponde: “sta aumentando tutto!”. Lo sguardo della vecchina è rassegnato. Come rassegnata sa essere la povera gente di fronte alle difficoltà. Penso a quanto si stia complicando la vita delle classi meno abbienti – ma anche di buona parte di quelle medie – per effetto degli aumenti indiscriminati dei prezzi come conseguenza della guerra in Europa. Ed è evidente che questi aumenti non servono alla causa del popolo ucraino, ma soltanto alle tasche dei produttori e degli speculatori, che, nella maggior parte dei casi, sono occidentali in affari con i loro compari russi.
Qualcuno ha scritto, di recente su “Huffpost”: “Cari pacifisti cinici, la libertà vale più delle bollette”. Si dà il caso che l’inventore di questa acuta invettiva ha un reddito così ben rimpinzato da consentirgli di scialacquare anche dinanzi al raddoppio, alla triplicazione, alla quadruplicazione del costo dei beni di prima necessità. Mentre guardo la vecchina che s’allontana mesta, penso agli ospiti dei talk show televisivi: giornalisti di grido, politici, professori universitari, presidenti di fondazioni finanziate da grandi aziende ed enti pubblici, generali dell’esercito, analisti e consulenti vari: tutta gente con redditi a cinque o sei zeri! E con compensi per ogni comparsata in TV, che vanno, in media, da 1000 a 5000 euro, secondo quanto scrivono “The Post Internazionale”, “Il Giornale.it” ed altre testate che si sono occupate del fenomeno.
Ad aver sentenziato su bollette e libertà, a ripetere la litania che non possiamo piangere per i rincari se è in ballo la libertà è stato proprio uno di loro: Paolo Mieli, ex sessantottino, ex “Potere Operaio”, giornalista e direttore di grandi testate, docente in corsi universitari, conduttore giornaliero del format sulla Storia di RAI3 “Passato e presente”, ospite fisso dei maggiori talk show televisivi italiani. Non ho bisogno di spiegare perché, per Mieli, il caro bollette non è un problema, a differenza che per la vecchina al supermercato!
Cambiamo scena: dal supermercato di una cittadina del Sud a Piazza Montecitorio, qualche anno fa. Mi trovo a Roma per lavoro. Ne approfitto per far visita ad un amico giornalista, in pensione, che ha un appartamento in centro. Prima di pranzo mi invita a fare due passi. “Voglio mostrarti una cosa”, dice. Mi guida in un tour fra i capannelli dei reporter a caccia di “onorevoli” che rilasciano dichiarazioni. Dopo un ampio giro in mezzo al chiarore dei marmi della piazza, mi dice: “Vedi, chi è eletto al Parlamento, perde quasi sempre il contatto con la realtà. L’aula, questa piazza, le pressioni dei lobbisti, il conformismo, le adulazioni, portano gli eletti a vivere per cinque anni in una bolla mediatica, completamente disconnessi dagli assilli e dai bisogni della gente comune.”
Due scene, due realtà tanto scollegate fra loro. Mai come nel caso della guerra che sta martoriando il cuore dell’Europa, la distanza fra potenti e gente comune influisce negativamente nelle scelte amministrative concrete come pure nel dibattito politico. Danni per la vecchina del supermercato e per gli 11 milioni di persone che in Italia sono a rischio povertà, secondo il Centro Studi di Unimpresa. Danni per la classe operaia (quella che una volta piaceva a Mieli) e per quella contadina, per gli impiegati, per gli artigiani, per le partite iva, per i professionisti a basso reddito. Danni anche per le piccole e medie imprese: insieme ad esse rischia di andare in frantumi il cerchio magico produzione-occupazione-consumi che regge il sistema economico in cui viviamo. E tutto questo non certo a vantaggio degli ucraini.
È lo scenario che i “potenti” disconnessi di Piazza Montecitorio e i loro sostenitori mediatici ci stanno apparecchiando per i prossimi mesi, in nome di ideali come “libertà”, “sovranità”, “popolo”, “patria”, “resistenza”, che sino a ieri sembravano morti e sepolti, se non addirittura abiurati (ricordate le invettive contro il sovranismo e il populismo?): trascinandoci in una guerra per procura fra USA e Russia; dicendoci che dobbiamo mandare armi agli aggrediti e contemporaneamente, comprare gas, grano e petrolio dall’aggressore, e pure pretendere che questo rispetti i contratti; mettendo gli italiani, gli uni contro gli altri, divisi in modo manicheo fra chi starebbe dalla parte dei buoni e chi da quella dei cattivi; facendoci credere che a convincere a fermarsi il “dittatore”, “criminale”, “macellaio” (definizioni loro), debbano essere dei campioni di democrazia come il turco Erdogan ed il cinese Xi Jinping e non i potenti “buoni” dell’Occidente liberale.
A loro resta solo la grave, cervellotica missione di imbonirci e, soprattutto, di convincere la vecchina del supermercato che gli ideali sono più importanti della pancia vuota.