l'analisi

L’anno del fintech? Per Gen Z e Millennial lo è già da tempo

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Uno nuovo studio di Cornerstone Advisors ha mostrato quanto in USA sia radicato il fintech nelle nuove generazioni, Millennial e Generazione Z; una situazione che ha portato al moltiplicarsi dei rapporti di tipo bancario.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

È l’anno del fintech, ha dichiarato pochi giorni fa Corrado Passera, ex ad di Intesa Sanpaolo e ministro dello Sviluppo Economico con il governo Monti, commentando gli ottimi risultati della sua creatura, Illimity, che in soli quattro anni ha già raggiunto un miliardo di euro di capitalizzazione e ha raddoppiato gli utili nel 2021. Per molti, in realtà, si tratta di una profezia che si è già avverata da parecchio, perché l’utilizzo di strumenti finanziari basati non più sulla filiale e sul consulente d’investimento di fiducia, ma sullo smartphone e sugli algoritmi, è ormai un dato assodato.

Fa, certo, impressione vedere una startup come ScalePay – un nome relativamente sconosciuto fino a due settimane fa, o perlomeno noto solo agli specialisti – raccogliere la bellezza di 497 milioni di dollari in un solo round di finanziamento, arrivando così a un totale di 700 milioni di dollari in finanziamento e superando la valutazione di 1 miliardo di dollari, la soglia per poter essere un «unicorno». Forse tempo fa questo non sarebbe successo, soprattutto in Italia. L’idea alla base è quella del pagamento dilazionato, con la possibilità di ricevere subito i prodotti che si vogliono e pagare con tre formule agevolate: dopo 14 giorni, oppure in 3 o in 4 rate. Semplice ma efficace, soprattutto dopo che Amazon, che già ha sufficienti vantaggi sulla concorrenza, ha introdotto per alcune delle merci in vendita sul suo marketplace proprio l’opzione di pagare a rate, a interessi zero. Insomma, il settore fintech non riguarda soltanto complicate applicazioni per l’investimento e per il trading a cui non tutti sono interessati, ma anche gli acquisti di tutti giorni, che sempre più spesso, lo si è visto soprattutto dall’inizio della pandemia, sono online.

Fintech: non un conto, ma tanti conti

Uno nuovo studio di Cornerstone Advisors ha mostrato quanto in USA sia radicato il fintech nelle nuove generazioni, Millennial e Generazione Z; una situazione che ha portato al moltiplicarsi dei rapporti di tipo bancario. La spiegazione è certamente anche nella grande facilità che oggi si ha ad aprire un nuovo abbonamento: si può fare da PC o, meglio ancora, direttamente da telefono mobile, senza perdere tempo e senza spendere nulla. Di norma basta caricare il proprio documento (che sempre più persone, ormai, salvano sul cloud per averlo sempre a portata di mano) e, al massimo, avere una conversazione tramite webcam con il customer care dell’azienda, e il gioco è fatto.

Così, se una volta la modalità tradizionale con la quale si gestivano patrimoni e pagamenti era “il” conto corrente, rigorosamente al singolare tranne che per imprenditori e persone facoltose, ora è tutto cambiato. Sistemi di pagamento come Apple Pay o PayPal, banche online di nuova generazione come Revolut o N26, carte di credito emesse da Nexi, account su SatisPay, investimenti su eToro o Robinhood (al centro della clamorosa vicenda dei titoli Gamestop l’anno scorso), “porcellini” per raccogliere i propri spiccioli e vederli crescere com Oval o Acorns, e più ne ha più ne metta. Secondo lo studio, gli utenti più giovani possono avere anche 30 o 40 relazioni bancarie di questo tipo, il che complica notevolmente il quadro per chi vuole trarre delle conclusioni.

L’idea di avere un solo conto corrente, di fatto, è tramontata. Un tempo, quando i tassi d’interesse erano alti e lasciare i soldi in banca significava avere un incremento tutt’altro che disprezzabile delle proprie sostanze, le banche potevano permettersi di applicare canoni mensili o annuali di una certa rilevanza, ma ora non più così. Ora i canoni dei conti correnti sono molto più bassi, se non pari a zero (basta un’occhiata al comparatore di SOSTariffe.it per rendersene conto). Adesso avere cinque o sei conti, ognuno dei quali, magari, destinato a una specifica tipologia di spesa (spese per il lavoro, spese per la casa, spese personali…) costa solo pochi euro. È, ancora una volta, la riproposizione di quel modello “tutto, e a poco” che ha fatto la fortuna di Spotify, Netflix e di chiunque riesca a dominare il mercato a medio e lungo termine con il dominio del settore, più che con il profitto immediato.

Come sostiene l’articolo di Forbes sullo stardio, le banche digitali non sono più le sfidanti: hanno vinto. Merito anche di opzioni che diventano alla portata di tutti e che con le nuove possibilità d’utenza sono semplicissime da implementare: per esempio, vedere che le criptovalute continuano a crescere – anche se da anni in tanti ne prevedono il futuro crollo – fa gola a molti, che magari hanno qualche soldo da spendere ma non capitali ingenti (per i quali un portafoglio diversificato è più prudente e, alla lunga, più conveniente); ebbene, con le app più moderne investire anche un caffè al giorno in Bitcon o Ethereum è questione di un tap, null’altro. E chi cerca un servizio “diverso” di tutto questo se ne accorge, eccome.

Quale conto corrente? L’età conta

Basta, d’altronde, guardare come il predominio negli USA delle “megabanche” – i conglomerati come Bank of America, JPMorgan Chase o Wells Fargo – rispetto ai conti correnti primari dei consumatori sia rapidamente crollato nelle generazioni più giovani: i Gen Z che hanno in uno di questi colossi il proprio conto principale sono il 25%, e solo due anni fa erano il 35%; ma anche i Gen X – i quarantenni e i cinquantenni, insomma – e i Millenial abbandonano sempre di più queste banche, con un decremento che si attesta intorno alla metà di quello registrato nei più giovani.

Viceversa, la percentuale di chi in America ha il conto corrente principale in una banca digitale si è alzata in maniera impressionante: oggi più di un quarto dei Gen Z (il 28%) utilizza soprattutto i conti digitali, insieme al 31% dei Millennial e al 22% dei Gen X: le percentuali, due anni fa, erano rispettivamente dell’11%, del 13% e dell’8%. E i boomer? Sempre più attardati: la percentuale è del 6%, la stessa dell’anno scorso e solo due punti percentuali in più rispetto al 2020. Ma il mercato è cambiato, e ora guarda da un’altra parte.

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