Decreto Romani. Le norme sul web al centro della polemica. Per il viceministro: ‘Nessun modello cinese, ma opportune precisazioni’

di Raffaella Natale |

Italia


World Wide Web

Il governo è pronto a intervenire sulle disposizioni del Decreto Romani che riguardano il web e che hanno sollevato pesanti polemiche.

Lo ha annunciato lo stesso viceministro alle Comunicazioni, Paolo Romani, che ha replicato duramente ai rilievi del presidente dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, Corrado Calabrò.

A giudizio del presidente dell’Agcom, la soluzione indicata dallo schema di decreto, “è tanto pesante quanto inefficace“. Senza contare che “è fuori dal quadro della direttiva e questo la rende in contrasto con la normativa europea: come tale può far sorgere questioni con la Commissione europea che indubbiamente farebbe dei rilievi su questo” terreno.

 Aggiungendo poi che “Un filtro generalizzato su internet da una parte è restrittivo, come nessun paese occidentale ha mai accettato di fare, dall’altra è inefficace perché è un filtro burocratico a priori”.

 

Oggi e domani le Commissioni di Camera e Senato voteranno il parere, formulato dai relatori di maggioranza Bergamini e Butti.

L’opposizione presenterà un parere di minoranza, puntando anche su qualche malumore nel Pdl (ieri alla Camera Luca Barbareschi ha detto che gli ex An voteranno contro la maggioranza). Romani, ha dichiarato Paolo Gentiloni del Pd, dovrebbe ascoltare l’Agcom anziché criticare, e modificare ulteriormente la parte sul web, sui cui resta una “stretta grave”. Mentre Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, chiede che il presidente della Camera Gianfranco Fini acquisisca la relazione di Calabrò.

 

Nel suo intervento in commissione alla Camera, Romani ha stigmatizzato i “toni accesi” e le affermazioni “discutibili” di Calabrò, lamentando la scarsa collaborazione con l’esecutivo: “Un’interlocuzione preventiva con il governo prima di prendere una posizione ufficiale – ha accusa il viceministro – la ritengo infatti non sono auspicabile, ma in molti casi doverosa”.

Secondo Romani, Calabrò sbaglia, in particolare, a criticare le norme sul web: “Non abbiamo nessuna intenzione di avvicinare l’Italia al modello cinese“. Su questi aspetti, comunque, il testo sarà meglio precisato. Se “è la stessa direttiva Ue a stabilire che web tv e live streaming siano da considerare servizi tv”, i siti che “mettono a disposizione on demand video realizzati da terzi e li sfruttano sul piano commerciale vanno assimilati al video on demand tradizionale”.

 

Quanto all’autorizzazione generale, cioè alla revoca di inizio attività per i nuovi siti, ha spiegato Romani, riguarda solo gli aspetti amministrativi e spetta al ministero sulla base però dei criteri fissati dall’Autorità.

Quello che il governo si propone è solo che “nell’apertura di un sito siano rispettati i requisiti puramente amministrativi” che dovranno essere indicati dalla stessa Agcom.

La cosiddetta autorizzazione generale “si basa sul rispetto di requisiti che dovranno essere indicati dall’Autorità. Se Paolo Romani – ha spiegato il viceministro – vuole aprire un sito ci si vuole solo assicurare che sia Paolo Romani”.

Resta la scelta di prevedere la responsabilità editoriale per i siti con video on demand, “prevedendo un catalogo di contenuti sfruttati a fini commerciali“. Il viceministro ha ribadito che, secondo la stessa direttiva Ue, i live streaming e le web tv sono ricompresi tra i servizi televisivi classici.

“Che si tratti di programmi televisivi – ha osservato il viceministro – lo dice la direttiva. Il problema che vogliamo evitare è che si utilizzi un prodotto editoriale che appartiene ad altri per fini commerciali, in quel caso pensiamo si debba assimilare a un video on demand tradizionale. Nessuno vuole censurare internet o regolamentare il mondo dei blog”.

 

Per Romani le dichiarazioni del presidente dell’Autorità “in generale si risolvono in un’invocazione di maggiori poteri regolamentari ed applicativi per l’Autorità, fondata sulle virtù dell’indipendenza”. Il viceministro ha rimarcato che “come Governo abbiamo sempre rispettato l’Autorità, il suo compito di organismo di garanzia indipendente e la sua competenza” e che da inizio legislatura “abbiamo lavorato con spirito costruttivo e collaborativo“. Se anche in questo caso “avesse prevalso lo spirito di collaborazione – ha aggiunto – si sarebbero potuti evitare molti dei rilievi formulati. Una interlocuzione preventiva con il Governo prima di prendere posizione ufficiale la ritengo infatti, non solo auspicabile ma in molti casi doverosa”.

Romani, criticando il paragone del Governo italiano con regimi autoritari ha auspicato “un chiarimento da parte dell’Amministrazione audita”.

 

La fondazione Farefuturo è intervenuta nel dibattito, sostenendo che “La censura preventiva non rende il web più sicuro”.

“Vogliamo fare un processo alle intenzioni, allora? Vogliamo riesumare pratiche censorie di controllo preventivo della circolazione di informazioni? Vogliamo emulare sistemi che ancora oggi, come la recente disputa Cina-Google ci ha fatto vedere, censurano lo scambio libero di idee e opinioni? Ricorrere a un filtro su internet, come propone il decreto Romani rischierebbe di ottenere questo risultato”.

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