Putin sperava di dare scacco matto in pochi giorni all’Ucraina. Per ora i fatti lo hanno smentito. Non solo per la forte resistenza incontrata sul campo di battaglia. Ma per eventi esterni. Da un lato la reazione dell’opinione pubblica occidentale rimasta inizialmente timida, è cresciuta nel corso di questo primo week end di conflitto con imponenti manifestazioni di sostegno nelle piazze occidentali alla resistenza ucraina, ma anche con piccoli quanto determinati assembramenti in Russia per protestare contro l’intervento del proprio presidente in un paese fratello del popolo russo come l’Ucraina.
Dall’altro lato credo che il giocatore di scacchi al Cremlino non avesse messo in conto sul piano militare la capacità di tenuta dell’esercito ucraino sostenuto dalla volontà di resistenza di larga parte della sua popolazione ivi compresa talora anche quella di origine russa, sostenuta anche dagli aiuti materiali di paesi vicini a cominciare dalla Polonia e della Lituania, fra i più determinati a chiedere un forte reazioni di tutto l’Occidente, ma soprattutto dell’Unione europea.
In terzo luogo Putin non aveva previsto la capacità di reazione dell’Occidente e soprattutto dell’Europa. Nonostante l’immediata convocazione da parte dello zar sin dall’inizio dell’azione militare dei principali capitani d’industria per rassicurarli, Putin ha decisamente sottovalutato la forza dell’azione politica dell’Europa ancora sotto gli effetti della pandemia, giudicandola troppo divisa al suo seno, sia sul piano militare con una Nato definita ancora dal Presidente Macron nel mese di dicembre 2021 in stato di morte cerebrale, sia sul piano politico a causa degli appuntamenti elettorali e degli avvicendamenti al governo nei due paesi guida dell’Unione europea ovvero la Francia e la Germania, e delle debolezze che conosce l’attuale Amministrazione oltre Oceano, essendo la Presidenza statunitense di Joe Biden alle prese con un crescente malcontento nell’opinione politica interna che potrebbe sfociare nella perdita della maggioranza democratica alla Camera dei Rappresentanti e al Senato.
Noi stessi nel nostro pezzo di venerdì 25 febbraio, pur evidenziando l’importanza delle contromosse europee per fare della crisi ucraina una grande occasione per rilanciare una politica comune europea in materia di difesa e politica estera, non credevamo in una capacità di ricompattamento di tutta l’Unione europea su un pacchetto di misure sanzionatorie contro la Russia che avrebbero rischiato di colpire in maniera molto diversa le proprie economie interne. Misure che temevo avrebbero in fin dei conti penalizzato in particolare quei paesi europei fortemente dipendenti dalla Russia nel proprio approvvigionamento energetico a cominciare dall’Italia e dalla Germania spingendo entrambi a favorire l’adozione di misure blande contro la Federazione russa. Al contrario l’azione di fermezza nel denunciare l’intervento di Putin vede in queste ore in Italia la fragile maggioranza nata dall’emergenza Covid – 19, ricompattata intorno alle misure approvate da Mario Draghi con il sostegno persino dell’opposizione di Fratelli d’Italia, e in Germania il nuovo governo semaforo sotto la guida del socialdemocratico peraltro pragmatico e moderato Olaf Scholz, impegnato non solo a confermare, a differenza della Francia, il suo disimpegno dal nucleare. Al contrario Scholz, rompendo con la tradizionale Ost Politik socialdemocratica, condanna senza alcuna ambiguità Vladimir Putin per avere avviato “a sangue freddo una guerra di aggressione”, parlando di “ingiustizia che grida al cielo” e annunciando lo stanziamento di 100 miliardi per rafforzare il proprio esercito, ovvero imprimendo al proprio paese una svolta politica verso il riarmo con la partecipazione al governo dei Verdi, giudicata impensabile sino a pochi giorni or sono.
Evidentemente stiamo vivendo un momento eccezionale di forte accelerazione di alcuni processi storici i cui effetti si vedranno probabilmente solo nel medio lungo termine.
Ma non possono che colpirci molto anche sul piano simbolico altri eventi di queste ultime ore come il lungo applauso al diplomatico rappresentante dell’Ucraina all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nonostante il veto russo alla risoluzione di condanna dell’intervento, l’ipotesi ventilata della Finlandia di aderire alla Nato e la fine della tradizionale neutralità di due paesi come la Svezia e la Svizzera in questo conflitto dove entrambe hanno chiaramente preso posizione a difesa dell’Ucraina.
La diplomazia occidentale sembrerebbe infine esser riuscita a spingere la stessa Pechino a non allinearsi completamente con la Russia astenendosi in occasione della risoluzione di condanna dell’Onu dell’invasione russa in Ucraina bloccata solo dal potere di veto del rappresentante permanente di Mosca. E’ vero che Pechino ha definito illegali le sanzioni economiche sancite dall’Europa ribadendo la sua amicizia verso la Russia, ma oltre che sul piano politico a favore el mondo occidentale, tali sanzioni sembrano almeno oggi essere state incisive sui mercati e sull’economia, provocando altri due effetti che probabilmente il giocatore Putin non si aspettava al momento dell’avvio delle operazioni: il crollo del rublo e le critiche all’operazione voluta dl Cremlino, formulate in queste ora da alcuni oligarchi che sinora erano stati tra i principali sostenitori del regime putiniano.
La stessa chiamata di correità richiesta da Putin a futura memoria a tutti i rappresentanti del Consiglio di sicurezza della Federazione russa, in occasione della decisione dell’intervento non possiamo interpretarla come un segno di forza dello zar ma forse di debolezza e non fa che accrescere lo scetticismo da parte dell’entourage che da 23 anni lo aveva sempre sostenuto. Significativo il prolungato silenzio di alcune personalità come il ministro degli esteri Lavrov, fine diplomatico di lungo corso, che, ancora poche ora prima dell’inizio delle operazioni, smentiva come del tutto infondate le voci americane di intervento militare russo in Ucraina.
Tutti questi sembrano essere segnali di un progressivo isolamento in queste ore dello zar del Cremlino.Come se Putin giocasse la partita decisiva della sua vita, una sorta di Lascia o raddoppia?.
Tutto ciò di cui sopra non esclude purtroppo ancora una possibile vittoria di Vladimir Putin o comunque presunta tale in seno alla propria opinione pubblica. In cambio della fine delle sanzioni economiche occidentali, dell’impegno ucraino a non entrare nella Nato e di misure a tutela dell’autonomia del Donbass senza che esse comportino necessariamente l’annessione delle due repubbliche separatiste alla Federazione russa, non è impensabile mettere in conto una svolta radicale, ovvero una giravolta e un improvviso mutamento del comportamento russo nel conflitto, magari per effetto di un’azione di persuasione da parte della Cina prima che sia troppo tardi e che la Russia si impantani in una lunga guerriglia contro gli eroici resistenti ucraini. Troppo vicino è ancora il ricordo di quanto avvenuto dopo l’occupazione sovietica dell’Afghanistan nel 1979, o quello degli effetti devastanti subiti dagli Stati Uniti costretti ad abbandonare dopo tanti anni di guerra il Vietnam.
Un uomo dell’intelligence come Putin probabilmente qualora percepisse un proprio eccessivo isolamento in seno al Cremlino, potrebbe peraltro sorprenderci trasformando machiavellicamente una situazione di oggettiva difficoltà se non di accerchiamento interno in una nuova opportunità di uscire vincitore ricorrendo ad azioni spericolate. Comprese quelle che in qualche modo potrebbero prefigurare il ricorso paventato ieri all’uso di armi atomiche o di azioni ritorsive magari contro i servizi di intelligence occidentali. Non è dato sapere fino a dove potrebbe spingersi.
Un fatto è certo: Putin non può più permettersi di guadagnare tempo. Il tempo gioca sempre più a suo sfavore rafforzando l’immagine di un’Ucraina capace di resistere a lungo e di fronteggiare l’esercito russo con una lunga azione d guerriglia urbana.
Al momento in cui chiudiamo la delegazione di Kiev è arrivata a destinazione e dovrebbe intavolare le prime trattative vicino alla frontiera Bielorussa con una delegazione di Mosca dopo aver accettato di incontrarla vicino alla Bielorussia, ovvero non certo in campo neutro. Difficile pensare che delegazioni di basso profilo come quelle che si stanno incontrando in queste ore possano produrre risultati significativi che vadano al di là di un temporaneo “cessate il fuoco”. Tuttavia le trattative che si aprono vicino a Chernobil potrebbero perlomeno impedire un’escalation militare con l’arrivo di ceceni da un lato e di legioni straniere dall’altro che potrebbero davvero aggravare la situazione suscitando reazioni impulsive a sostegno dell’Ucraina da parte di Paesi vicini a cominciare dai Pesi Baltici.
Viviamo ore difficili come all’epoca della crisi cubana della Baia dei Porci. Ma in questo caso l’Europa non è divisa come durante la guerra fredda e le due ex superpotenze devono fare i conti con il gigante d’Oriente che aspira ad accrescere il proprio ruoli di arbitro dei conflitti internazionali. La Cina giocando di sponda con l’Europa credo – ma il mio è anche un auspicio – impedirà l’operato di un Dottor Stranamore costringendo anche uno zar come Putin a più miti consigli.