L'allarme

Telefonica, DT, Orange e Vodafone sul piede di guerra sul Financial Times: ‘Situazione insostenibile, Digital Compass 2030 a rischio’

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L’Italia non è tra i firmatari della lettera aperta dei Ceo dei principali operatori Tlc europei sulla situazione di crisi della industry. Che fine hanno fatto i Big Five?

Dove sono le Big Five della industry delle Tlc? Che fine ha fatto l’Italia nel novero delle Tlc internazionali? L’Italia non è tra i firmatari della lettera aperta dei Ceo dei principali operatori Tlc europei al Financial Times per lanciare l’ennesimo allarme rosso su una industry, che ormai si trova in una profonda crisi. Una crisi non soltanto economica, ma anche di identità, stretta nella morsa fra necessità di investire per le nuove reti in fibra e 5G, calo inesorabile dei ricavi e concorrenza impari con gli OTT.

E l’Italia non c’è fra i firmatari che sono soltanto 4 e non più 5: José María Álvarez-Pallete López Chairman e Ceo di Telefónica; Tim Höttges, Ceo di Deutsche Telekom; Nick Read, Ceo di Vodafone; Stéphane Richard Chairman e Ceo di Orange.

Ma che fine ha fatto Tim?

Tim ormai è assente dai circuiti internazionali: troppo assorbita da problemi domestici e di governance per guardare all’Europa?

E dire che Telecom Italia e con essa l’Italia, almeno fino ai primi anni del decennio scorso, si trovava ancora ben radicata nel gruppetto di testa delle Tlc europee. Franco Bernabè, presidente di GSMA, e Luigi Gambardella, presidente di ETNO, rappresentavano presso le istituzioni europee le istanze del gruppo dei Big Five (Deutsche Telekom, British Telecom, Telecom Italia, France Telecom e Telefonica) per difendere e promuovere un settore in ascesa. Caso unico, l’Italia al vertice delle principali associazioni industriali del mobile  a livello mondiale e del fisso a livello europeo.

Big Five ridotte a Big Four

Oggi le cose sono profondamente cambiate e Tim è costretta dalle mutate condizioni di mercato ad uno sguardo rivolto al suo interno, privo di un respiro internazionale.

Connettività vitale

Nel frattempo, le principali telco europee (oggi son 4 e non più 5 come in passato, non c’è più Tim e British Telecom è stata sostituita da Vodafone) scrivono appunto all’FT: “Con le attività digitali che crescono a rotta di collo, la connettività è semplicemente vitale per la nostra società, la nostra economia e in definitiva per la nostra vita di tutti i giorni”, si legge oggi nella missiva pubblicata dal Financial Times.   

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Le telco europee “hanno investito in modo massiccio per l’aggiornamento delle reti e per aumentare la capacità” garantendo così la connettività online nonostante i picchi di traffico durante il Covid-19.

 Ma “continuare a investire è fondamentale per assicurare l’accesso illimitato e la partecipazione dei cittadini alla nostra società digitale”, si legge nella lettera. “Ma la situazione attuale è semplicemente insostenibile. Il peso degli investimenti deve essere diviso in un modo più proporzionato”, aggiungono.

Il 70% del traffico generato da un pugno di OTT

Il 70% del traffico è generato da video streaming, gaming e social media prodotto da un pugno di piattaforme.

“Le piattaforme digitali traggono vantaggio da modelli di business “iperscalabili” a costi contenuti, mentre gli operatori di rete si fanno carico degli investimenti necessari nella connettività. Allo stesso tempo, i nostri mercati al dettaglio sono in perenne declino in termini di redditività. Allo stato attuale, gli operatori di rete non sono in grado di negoziare condizioni eque con queste piattaforme giganti a causa delle loro forti posizioni di mercato, del potere contrattuale asimmetrico e della mancanza di condizioni di parità di condizioni normative”, prosegue la missiva.

Ricavi delle telco insufficienti

Impossibile quindi per le telco Ue ottenere “ritorni redditizi” dai loro “significativi investimenti”. Il che mette a rischio “lo sviluppo ulteriore delle infrastrutture”.

“Con le grandi piattaforme di contenuti digitali che spingono continuamente per uno streaming di qualità superiore – si legge ancora – il cambio di passo nel traffico dati che stiamo vivendo aumenterà costantemente senza limiti. Se non risolviamo questa situazione squilibrata, l’Europa resterà indietro rispetto ad altre regioni del mondo, degradando in definitiva la qualità dell’esperienza per tutti i consumatori”.

Altrove a livello globale ci sono dei segnali di cambiamento, indicano le principali telco europee.

Cosa succede in Corea del Sud

“La Corea del Sud sta discutendo una legge nazionale per creare condizioni normative per un contributo più equo ai costi di rete. Ciò segue il contenzioso in corso dopo l’aumento del traffico guidato dalla serie Squid Game”, si legge.

Cosa fanno negli Usa

“E negli Stati Uniti – prosegue la lettera – i politici si stanno orientando verso il servizio universale finanziato anche dalle piattaforme digitali. Tali investimenti condivisi sono anche vitali per accelerare la connettività verde e le tecnologie digitali che contribuiscono a economie più sostenibili e promuovono l’efficienza, rafforzando la leadership verde internazionale dell’Europa e la spinta verso lavori verdi”.

Senza una soluzione Digital Compass al 2030 a rischio

“In assenza di un “prezzo” per i dati emessi, l’incentivo per i grandi fornitori di contenuti a ottimizzare il proprio traffico dati rimarrà basso – si legge – Accogliamo con grande favore il recente impegno della Commissione europea a sviluppare strutture adeguate in modo che “tutti gli attori del mercato traggano vantaggio dalla trasformazione digitale”. . . contribuire in modo equo e proporzionato ai costi dei beni pubblici, dei servizi e delle infrastrutture”. Chiediamo ora urgentemente ai legislatori di introdurre norme a livello dell’UE per trasformare questo principio in realtà. Il tempo stringe forte, soprattutto visti gli ingenti investimenti ancora necessari per raggiungere gli obiettivi di connettività per il 2030 fissati dalla Commissione nella sua comunicazione “Il decennio digitale dell’Europa”. Senza una soluzione equa, non ci arriveremo”, chiude la missiva.

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